Orticelli di un calcio “coltivato” nei debiti. Seppellito da avventurieri. I guai della Reggiana finiti in Piazza. Diesse snobbati da norme e presidenti

08.06.2017 08:15 di  Vittorio Galigani   vedi letture
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© foto di Luigi Gasia/TuttoNocerina.com

Il pianeta calcio italiano non fa più parte di un sistema. Vive dei sussulti  di categoria. L’insieme di tanti “orticelli” dove ognuno coltiva, esclusivamente, i propri interessi. Con un comune denominatore imprescindibile. Il “dio” denaro. In fin dei conti si corre, tutti, dietro allo stesso pallone. Non si lavora però per un obbiettivo comune, come ragione consiglierebbe. 

All’interno di uno stesso “orticello” emergono contrasti e divisioni, spesso insanabili, che stanno facendo appassire ogni “germoglio”. Lo si dimostra/evidenzia dai piani più in alto. Il commissariamento della serie A. L’infinita diatriba che non permette l’elezione del presidente nella Lega di serie B. Gabriele Gravina che minaccia di non far partire i campionati di serie C. Tutto ruota attorno ad un fattore economico. La scarsa propensione nel voler ragionare a sistema. Un “impeachment” che potrebbe diventare un affare di Stato. Nell’Italia dove i bimbi giocano ancora nelle strade, nei cortili sotto casa, non è possibile abbattere la frontiera dei campanili. Il potere economico del calcio non potrà mai appartenere solo e soltanto ai cinque/sei club di serie A che vanno per la maggiore.

Nel frattempo si scoperchiano pentoloni in continua ebollizione. La Guardia di Finanza starebbe indagando sul Palermo per un buco da 120 milioni di euro (le smentite di facciata si sprecano). Il Latina, fallito, scompare dalla geografia del calcio professionistico. Il Como, salvato per i capelli dal fallimento, non risulta ancora affiliato alla Federcalcio (problemi di fidejussione). Qualche club di serie B denuncia notevoli affanni di natura finanziaria. In serie C diverse società, da gennaio in poi, non hanno rispettato scadenze e impegni nei confronti dei propri tesserati e dello Stato. In sede di iscrizione al campionato si paventa un taglio notevole. Come si evidenzia, un quadro niente affatto rassicurante.

Gli effetti più devastanti della crisi si avvertono in serie C. La poca capacità imprenditoriale di taluni presidenti e la loro scarsa autonomia economica sono causa di campionati “esileranti”. Inevitabilmente destinati al naufragio. I parametri di gestione sono standardizzati da tempo. Chi non sa rispettarli è un incapace. Deve rimanere al palo. Sono innumerevoli le rateizzazioni del debito Iva e dei contributi, accumulati negli anni, che gravano sulla maggior parte dei club di terza serie. Rappresentano il risultato negativo, una pessima cartina di tornasole, sulla scarsa salute di tante Società. Occorre l’entrata in vigore di una normativa nuova e più severa. Chi accumula debito su debito, anno dopo anno, deve essere escluso dai campionati. 

I presidenti che non sanno fare impresa debbono farsi da parte. Risulta che la Pistoiese, per portare un primo esempio calzante, sia alla ricerca di un direttore generale/sportivo. Deve portare in dote 300mila euro (li vale, nel presente, il club toscano?). In pronta cassa, per provvedere alle operazioni di iscrizione al campionato. Sulle difficoltà del Messina, del Mantova, della Maceratese, del Vicenza abbiamo già argomentato. Se ne stanno aggiungendo delle altre. Catanzaro, Lucchese. Antonio Caliendo, a Modena, vive, con il territorio, una situazione da separato in casa.  Una situazione di precariato evidente che coinvolge quasi un terzo dei club appartenenti alla serie C. 

Venti presidenti, forse di più, alla ricerca perenne di denaro. La moda degli “zainetti” l’abbiamo definita. L’abbruttimento della categoria. In determinate società non ci si fa alcun ritegno nel chiedere. Spudoratamente. Tutto all’insegna del “quantum”. 

Una esempio tipico di queste gestioni: direttori con la dote, allenatore (a volte) con lo zainetto, qualche calciatore con il “sostegno” paterno. Qualche valorizzazione proveniente da club di seria A. Il tutto condito dai proventi istituzionali (minutaggio ed ammennicoli diversi). Iva e contributi che si rateizzano, la società che si indebita. Retrocessione quasi assicurata. In due anni si può arriva alla radiazione.  Un “identikit” spietato sul quale diversi presidenti possono identificarsi.

Sulla situazione societaria della Reggiana e sulle decisioni recentemente assunte nei confronti di alcuni dipendenti, meglio stendere un “grande” velo pietoso. Le motivazioni di Mike Piazza sono pretestuose. Denotano grande incapacità. Una carenza di programmazione disarmante. L’uso, disastroso, dei tempi e dei metodi. Che il “carburante” sia già in esaurimento potrebbe non essere soltanto una sensazione. Sergio Mezzina è un mio allievo. Un vanto per me. Una persona seria, professionalmente preparata. Ligio alle regole,  rispettoso del prossimo. Scrupoloso, meticoloso nell’assolvere al mandato. Mai una parola sopra le righe. Il settore giovanile dei granata è un fiore all’occhiello per tutto il club. In questo bisogna riconoscere i grandi meriti di Mezzina. E’ stato accantonato con una totale mancanza di rispetto.  Il trattamento che gli è stato riservato è tutto da censurare. Piazza aveva mille modi e opportunità, per risolvere il suo rapporto di collaborazione. Ha scelto il peggiore. Un gesto che si (s)qualifica da solo, del resto: la classe non è acqua e non si compra a fiaschi!

Direttore sportivo (poi generale). Una professione che ho esercitato per anni. Mi ha regalato emozioni entusiasmanti. Scariche di adrenalina incomparabile. Nelle vittorie e nelle sconfitte. Una professione che il tempo ha però svilito. Poco rispettata dai regolamenti, ancor meno dai presidenti. Imperversano gli abusivi. Gli squalificati. Quelli forniti di “zainetto”.  Poco importa se sono diplomati, o meno, nei corsi organizzati dal Settore Tecnico della Federcalcio.

Norme lacunose permettono ai presidenti di surrogare il ruolo. Di assumere a stagione in corso. Di ovviare con qualifiche alternative vuote di contenuti professionali. Proliferano, in tal modo, i consulenti di mercato ed i responsabili di area tecnica. Possono essere allenatori, procuratori o intrusi prestati al calcio. Il più delle volte sono sponsorizzati. Lavorano perché portatori di denaro. In alcuni casi sono anche squalificati. Con un gruppo di amici (Adicosp) ci siamo prefissi di tracciare un solco. Lavoriamo per il rispetto e la tutela della professione. In tal senso le Istituzioni, lo stesso Tavecchio, risultano sensibili. Non siamo il contraltare di altra associazione (peraltro mai riconosciuta a livello Istituzionale). L’intelligenza fa la forza. La collaborazione porta i risultati. I direttori sportivi, seppur “laureati” a Coverciano (come gli allenatori) sono l’unica categoria non rappresentata in Consiglio Federale. Segno evidente di una lacuna mai colmata dall’Adise. Con Beppe Marotta partecipammo al primo corso, nel lontano 1982, organizzato dall’allora rettore dell’università del calcio Italo Allodi. Siamo sempre rimasti buoni amici. Maturità non ci manca. Sarei lieto potessimo tracciare un solco e lasciare una traccia in favore dei giovani che stanno crescendo dopo di noi.