INTERVISTA TC D'Agostino: "Dal (quasi) Real Madrid ad Anzio, ora sogno col Francavilla"

17.01.2018 13:00 di Francesco Ferrari   vedi letture
INTERVISTA TC D'Agostino: "Dal (quasi) Real Madrid ad Anzio, ora sogno col Francavilla"
TMW/TuttoC.com
© foto di Federico De Luca

“La mia carriera in una parola? Totale”. Dal calcio giocato alla panchina, mister Gaetano d’Agostino ha vissuto il mondo del pallone a 360 gradi. Dopo una carriera da giocatore chiusa presto e l'aver sfiorato il gotha del football mondiale, il Real Madrid e la Juventus, per il 35enne romano si sono aperte in estate le porte della terza serie e il suo desiderio è portare la sua Virtus Francavilla ai playoff. Ma il nostro viaggio, oltre all’esperienza in Puglia, abbraccia anche i sogni sfiorati da giocatore. Che, una volta passato in panchina, sono diventati i suoi obiettivi da tecnico. Quali sono? Lo dice lui stesso, nell’intervista esclusiva rilasciata a Tuttoc.com.

Come mai una carriera 'totale'?
“Perché sono sempre stato sul campo di calcio, il mio sogno. E sto continuando a lavorare, portando avanti ciò che sono stato da giocatore. Ogni giorno mi sveglio e so di andare in due posti che amo: lo spogliatoio e il campo”.

Lei si cambia in quello del Virtus Francavilla: settimo nel girone C, a -3 dal quarto posto del Siracusa.
“Nessuno se lo aspettava. Per tanti motivi. Statisticamente l’anno scorso è stato fatto qualcosa di meraviglioso, giocando nel proprio piccolo stadio che è un vero e proprio catino. Quest’anno c’è una buonissima squadra, con direttore e allenatore giovani: sono rimasti 5/6 calciatori dall’anno scorso, mentre 19 sono nuovi. Team giovane con presidente oculato ma ambizioso. Abbiamo formato un bel gruppo, la cosa più importante secondo me”.

Lei è il secondo tecnico più giovane della terza serie (il primo è Paolo Zanetti, del Sudtirol, ndr), facile che i giocatori la possano vedere ancora come uno di loro.
“E’ la cosa fondamentale: un allenatore, nel calcio moderno, deve essere parte integrante della squadra. Non c’è più il padre-padrone: guardate Jurgen Klopp (tecnico del Liverpool, ndr) e Antonio Conte (Chelsea, ndr), loro esultano con la squadra. Il senso d’appartenenza lo devono mostrare per primi gli allenatori”.

Le pesa giocare a Brindisi e non a Francavilla Fontana?
“Non è facile, anche se sono 35 km. Abbiamo perso solo con il Catania quest’anno in casa, perciò a livello di risultati non ci pesa. Però noi ci alleniamo in un campo in sintetico durante la settimana, mentre giochiamo in un campo in erba la domenica. Forse qualche partita, se avessimo giocato a Francavilla, avremmo vinto anziché pareggiato… Però dico che se dovesse continuare così, alla lunga il senso d’appartenenza si farà sentire”.

Un salto all’indietro. Come mai la decisione di smettere con il calcio giocato?
“Perché al calcio devo tutto e, per rispetto ad esso, ho preferito dire basta. Mi avevano chiamato squadre di B e Lega Pro, ma ci sarei andato senza la voglia di spogliarmi. Ringrazierò quel fantastico attrezzo che è il pallone, che mi ha dato la possibilità di prendermi gioie, soddisfazione e delusioni. Avevo però voglia di una nuova esperienza”.

Rimpianti?
“Ma… direi di no. Forse uno, aver detto no al Napoli. La Juve in quel momento mi pressava e mi voleva. Il club azzurro mi fece una proposta, ma non accettai: se avessi scelto Napoli avrei fatto una carriera ancora più grande”.

Totti, Sanchez, Jovetic, Cuadrado e Handanovic. Suoi compagni di squadra tra Roma, Udinese e Fiorentina. Chi le ha lasciato qualcosa?

“Tutti loro. Ho esordito l’anno dello scudetto (nel 2000/01, ndr) e con Totti ho avuto il grande privilegio di allenarmi. Ma il giocatore con cui ho condiviso di più è Di Natale”.

Come mai?
“A Udine eravamo un bel duo. Assist, gol e poi lui era il capitano, io il vice”.

Un momento in particolare che vi lega?
“Quando mi chiamò nella sua stanza in ritiro e mi disse “Ti ho scelto io come vice capitano”. Fu una bella responsabilità, ma abbiamo fatto 4 anni meravigliosi. C’era stima e rispetto fuori e dentro il campo: Totò si arrabbiava con tutti, però tra noi bastava un cenno”.

Nell’anno dello scudetto giallorosso, difficile dimenticare la festa del Circo Massimo.
“Chi se la scorda! C’erano un milione e mezzo di persone, una cosa mai vista. Poi Sabrina Ferilli… Per uscire da quella festa impiegammo 5 ore”.

Nella sua carriera anche cinque presenze in Nazionale.

“Ho avuto il privilegio di essere nella nazionale più forte dopo quella dell’82. Quando ti spogli con Buffon, Cannavaro, Nesta e Pirlo, è un privilegio unico. Poi c’era Lippi, allenatore carismatico. Per arrivare in Nazionale ci ho messo 182 partite, adesso dopo qualche gara sei già nel giro delle convocazioni… Nel mio ruolo c’erano Liverani, Palombo e Pirlo: per diventare il vice di quest’ultimo ci ho messo anni”.

Ci sembra di capire che l’azzurro non fosse una seccatura per lei.
“Non so chi possa ritenerlo tale. E’ soltanto un onore. La partita prima di andare in Nazionale la giocavo sempre male perché avevo paura di infortunarmi”.

Riguarda ogni tanto quel pre-contratto firmato con il Real Madrid?
“No. Lo sto vivendo come un insegnamento: se perdi un treno importante è difficile che ripassi, in quest’epoca invece può ripresentarsi 2-3 volte. La grande squadra prima ti chiamava a 27 anni, oggi non c’è più un parametro ed è troppo facile arrivare nelle big”.

Era l’estate del 2009, quella dell’arrivo di Ronaldo, Kakà e Benzema. Che fece 96 punti nella Liga. Che effetto le avrebbe fatto sentire il suo nome in mezzo a questi campioni?

“Lì sarebbe cambiata la mia carriera. In tutti i termini: da quelli economici al prestigio, è innegabile. Essere accostato a quella squadra, dove c’erano i più forti, è un orgoglio. Però il sogno fin da bambino mio era di spogliarmi e giocare e sarei stato tranquillo anche a Madrid nel giocarmi le mie chance. Per due stagioni l’ho pagata un po’ a livello mentale: in un mese ho perso due sogni come Juventus e Real Madrid, non è stato facile riprendere”.

E’ meglio d’Agostino allenatore o calciatore?
“La fame è superiore. Voglio vivere ancor più emozioni di quelle che ho vissuto da calciatore. Non ci sono arrivato da giocatore a Juventus e Real Madrid? Ora voglio farlo da tecnico”.

Più difficile salvare l’Anzio in D o portare il Francavilla ai playoff?

“I playoff. Con Anzio l’obiettivo è stato raggiunto, con il Francavilla ancora no”.

Però l’anno scorso non fu facile…
“E’ stata l’esperienza più formativa della mia vita: la società aveva poca disponibilità economica, però mi ha aperto le porte e li ringrazierò per sempre. Eravamo nel girone H, quello più duro e i giornali ci davano per spacciati: per un periodo eravamo a due punti dai playoff e ci siamo salvati alla penultima giornata. Abbiamo vinto il titolo di squadra più giovane. Lì è emerso il credo del D’Agostino allenatore”.

Qual è?
“Ciò che ho detto all’inizio. Che prima di tutto bisogna fare gruppo. Se trasmetti positività e c’è unione, nel calcio di oggi si possono fare grandi cose”.

Sente la responsabilità di essere il nuovo Antonio Calabro?
“No. Lo rispetto e lo stimo e ha fatto la storia di questa società. Però porto avanti il mio progetto. Mi ha lasciato una bella eredità, però non mi pesa”.