CARO CALCIO, NON È FACILE DA DIRE, MA FORSE È ARRIVATO IL MOMENTO DI PRENDERCI UNA PAUSA DI RIFLESSIONE

Siciliano, ex studente a tempo perso, lettore per necessità, scrittore per passione. Da dieci anni giornalista per divertimento.
16.08.2018 00:00 di Dario Lo Cascio Twitter:    vedi letture
CARO CALCIO, NON È FACILE DA DIRE, MA FORSE È ARRIVATO IL MOMENTO DI PRENDERCI UNA PAUSA DI RIFLESSIONE
© foto di TC

Tutti noi, donne e uomini, salvo rarissime eccezioni, il calcio lo abbiamo amato sin da bambini. Ci siamo innamorati delle partite della Nazionale trasmesse in televisione, di 90° minuto, dei grandi campioni. Oppure di una piccola squadra di provincia, un campo in terra battuta, una tribuna fatta di tubi di lamiera e sedute di legno, quando nostro padre di accompagnava per mano e ci sollevava per aria quando si faceva gol. Ci siamo innamorati giocandolo da bambini, magari anche per la strada, gridando "macchina!" quando ne arrivava una in lontananza, provando in qualche scuola calcio. Forse qualcuno di noi ce l'ha fatta a fare del calcio una professione: c'è chi è diventato un giocatore, più o meno bravo, chi allenatore, direttore, agente, magazziniere, massaggiatore. Giornalista di calcio, perché no. Se non sei bravo a colpire un pallone puoi sempre scriverci su, l'amore non è inferiore.

Ma tutte le storie d'amore come si deve, si sa, possono passare dei momenti di crisi. E l'amore per il calcio, così come è oggi, è davvero in crisi.

Alzi la mano chi si ricorda un'estate peggiore per il calcio italiano. A nostro modesto avviso neanche lo scandalo Calciopoli, nemmeno il calcioscommesse, hanno colpito il sistema in maniera così trasversale, talmente in profondità, da schiacciare tante, troppe certezze.

Questa balorda estate, iniziata anzitempo con la doccia fredda della mancata partecipazione della Nazionale ai Mondiali. Roba che non accadeva dal 1958, sessant'anni fa. Una pessima figura, che ha visto in Ventura il capro espiatorio, ma non può mai essere additato come solo e unico colpevole. A seguire il commissariamento della Federazione Italia Giuoco Calcio, per l'impossibilità di eleggere a maggioranza un nuovo presidente.

Mancanza di unità d'intenti, assenza di una leadership forte, progettualità pressoché inesistente, scelte cervellotiche e frettolose. Il disastro è servito. Questo non è più il calcio del quale ci siamo innamorati da bambini, è un mondo dove le decisioni non si prendono tutti insieme e per il bene di tutto il movimento. Ma si decide unilateralmente, si forza la mano, si tira acqua solo al proprio mulino. Generando un caos allucinante che provoca reazioni a catena, ricorsi e contro ricorsi, sentenze e rinvii, campionati dispari e ripescaggi congelati.

Ed in tutto questo ci sono i fallimenti. È uno stillicidio continuo, ben tre club spariti dalla Serie B, altrettanti in Serie C. A dimostrazione che questo non è più uno sport, un divertimento, un intrattenimento, uno spettacolo. È un business che non funziona più, perché si spende più di quanto si guadagna, si fa il passo più lungo della gamba, sperando di essere fortunati.

C'è oggi nel calcio italiano un pressapochismo, un dilettantismo che ci sentiamo di definire orripilante. Qualcuno ha ancora il coraggio di chiedersi perché non riusciamo a tirare fuori i nostri talenti dai vivai. Non credo ci sia neanche bisogno di rispondere, basta guardare la situazione attuale. Come si può pretendere di crescere dei giovani, la base del calcio, se i problemi stanno a monte.

Questo calcio non ci piace più. Non è lo sport romantico e catalizzante del quale ci siamo innamorati tanti anni fa. Alzi la mano a chi piace. E in questo marasma di voci che si parlano l'una sopra l'altra è davvero difficile vedere uno spiraglio, una via d'uscita. Siamo provocatori, forse tutti noi, che del calcio facciamo parte, federazioni, addetti ai lavori, calciatori, club, giornalisti, opinionisti, forse dovremmo fare tutti un passo indietro. Fermarci un momento, prenderci una pausa di riflessione. Smettere di gettare benzina sul fuoco, non continuare ad insistere tentando di spingere il carrozzone al quale le ruote sono state smontate una ad una. Perché tanto non si muove.

Abbiamo bisogno di riprendere un po' di fiato, di allontanarci un po', di capire a distanza ed in maniera oggettiva cosa è che non va. Invece, fin qui, si è agito nella maniera opposta. Tutti sono entrati nel merito, tutti hanno agito per il proprio tornaconto, non facendo altro che peggiorare la situazione. Situazione che, di certo, se non cambieremo tutti atteggiamento, non migliorerà mai.