ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Luigi Simoni

Ogni domenica sono i nemici dichiarati dello spettacolo dei novanta minuti: contro di loro si riversano spesso anche in dieci e, proprio nei casi estremi, c'è anche un pari ruolo che cerca di sconfiggerlo e ogni tanto capita che sia proprio uno come lui a batterlo: stiamo parlando del portiere.
Un ruolo affascinante che nel corso della storia di questo sport ha sempre vestito i panni del protagonista. In tutte le gare, la sua presenza è dominante. Compia un intervento miracoloso o subisca un gol, è lì, davanti agli occhi. Nudo e crudo. Non vuole, ma c'è. Sempre.
La telecamera sembra avere un odio particolare verso di loro: ripresi in quei pochi secondi dopo che la palla è terminata alle loro spalle e il volto raccolto in smorfie sempre diverse. Indifesi e incapaci di fingere una reazione diversa.
Quando subiscono un gol, i cronisti utilizzano il termine "trafiggere". Cruento e anche abusato: ferire, creare un danno, questo è il trafiggere un portiere. In fondo chi fa gol va a rompere un equilibrio che si è creato con l'avversario, scalfendo le sue certezze e andando a infierire sull'andamento dell'incontro stesso.
Su di loro, su questi uomini sempre soli, abituati a prendersi per almeno quarantacinque minuti gli insulti della curva di casa, oppure essere i primi - termine che ritorna sempre in questo ruolo - a ricevere gli applausi dei tifosi. Si dice che la scarica di adrenalina che dà il girarsi verso i propri sostenitori dopo aver parato un rigore è indescrivibile.
Chissà cosa passa loro per la testa in quei novanta minuti, quando la tensione di un attacco avversario richiede lucidità e fermezza, calcolando in pochi secondi cosa fare e come intervenire. Trovare una coordinazione insieme ai compagni di squadra, conoscerne ogni movimento per uscire dai pali con tempismo. Ruolo fondamentale e spesso penalizzato da regole che tendono a favorire lo spettacolo, dimenticando che un portiere in meno non è spettacolo aggiunto, ma una menomazione allo stesso.
Una vita diversa la loro, in tutto e per tutto. L'unico che può toccare la palla con le mani, vestito in maniera diversa dagli altri protagonisti in mezzo al campo. In una parola: unico. E il numero di maglia sembra cucito su di loro: uno.
Se c'è un attimo della loro carriera in cui per qualche istante maledicono il loro essere uomini soli è quello in cui scendono in campo con il sole e alla fine si trovano a dover sottostare ad un acquazzone. Non li invidiamo per niente in quei momenti; da bambini ci capitava di pensare a loro in quei momenti e ci chiedevamo se fosse giusto che dovessero prendere tutta quell'acqua. L'ingenuità di quegli anni dava un'immagine romantica di loro, però quando si giocava con gli amici era l'ultimo ruolo che si sceglieva.
A pensarci bene, essere portiere dev'essere una vocazione: si parte sempre per fare gol, quello di non prenderli è un'idea in controtendenza al protagonismo delle prime volte con la palla al piede.
Tutte queste considerazioni le abbiamo volute girare a Luigi "Gigi" Simoni, ex portiere, attualmente secondo di Nicola Provenza. Dovrebbe fare le veci del tecnico campano, aiutandolo nel gestire i novanta minuti, ma il desiderio di voler insegnare alle nuove generazioni questo ruolo è sempre forte, non di rado lo abbiamo visto impartire lezioni importanti ai portieri che si è trovato ad allenare. L'esperienza è utile e divulgarla ha sempre dei risvolti sicuramente positivi.
Una carriera vissuta in club e città passionali come Torino (sponda granata), Cosenza, ma soprattutto Pisa. Nella città della torre pendente in due anni ha costruito con la sua professionalità un puzzle che ancora adesso, a distanza di anni, rimane composto nei cuori chi quel Pisa l'ha vissuto giorno dopo giorno. Erano anni diversi, dove la passione non ti teneva sulla sedia (la poltrona era ancora un termine desueto) e il richiamo dell'"Arena Garibaldi" era più forte.
Simoni c'era e ci ha raccontato quell'esperienza, parlandoci di Romeo - a Pisa ormai non si parla più di Anconetani, ma si utilizza il suo nome - e del suo rapporto con il Presidente che ha dato una luce diversa ad un club che in A ha saputo farsi rispettare come pochi. Provinciale a chi, direbbero i tifosi nerazzurri. Anconetani pretendeva rispetto e per quei colori ha fatto di tutto. Un bambino a cui hanno regalato un giocattolo che da tanto desiderava. Quel suo sorriso è tornato nelle parole di Simoni.
Uomo taciturno, ferrarese nell'anima, ci fa entrare nella sua vita con spontaneità e ci regala una parte della sua giornata che noi riassumiamo in questa intervista esclusiva concessa ai microfoni di TuttoLegaPro.com in questo 49° appuntamento di "Mi ritorni in mente".
Ventisette minuti in cui la sua voglia di mettersi i guantoni e raccontarci il suo ruolo fin nel dettagli più insignificante diventa predominante. La sua voce pastosa sembra comandare un reparto difensivo e la sua foga nel rispondere alle nostre domande ci dà l'idea di un attacco avversario e lui che richiama all'ordine i compagni: "Tu marca il nove, attento all'undici che ti scappa. Guarda il sette che si muove senza palla". Portiere è essere leader e padrone di una zona di campo dove non permetti a nessuno di dettar legge.
Mister, portiere si nasce o si diventa?
"Eh, si nasce! Poche storie, si deve avere un'aspirazione ad un ruolo del genere. Guarda, credo che non ci sia gioia più bella del parare. Chi ha fatto il portiere sa bene di cosa parlo. Sono emozioni che non si descrivono: sei eroe dei novanta minuti e quando ti capita quella domenica dove pari di tutto, diventi un supereroe".
Mai pensato di giocare in mezzo al campo?
"Ti dirò: con i piedi non sono stato mai così scarso e quando mi è capitato ho preferito fare il difensore. Molti che fanno i portieri di ruolo, quando decidono di essere un giocatore per una partitella vogliono essere attaccanti. Provare il brivido di battere un tuo collega, li capisco benissimo".
Come inizio non c'è male. Una scarica di adrenalina che ti percorre nella schiena.
Simoni ci offre l'opportunità di parlare principalmente del suo ruolo e andare a scandagliare nella stanza dei ricordi.
"Tu pensa che quando ho iniziato, c'erano ancora i guanti di lana. Che tempi! Il boom c'è stato dopo la vittoria del Mondiale di Spagna 1982 con Dino Zoff e i primi guantoni fatti in materiale diverso".
Parlando di idoli, la sua voce già emozionata nel raccontare quegli anni in cui il calcio l'ha reso felice, diventa ancora più dolce, a raccontare di Zoff in modo diverso.
"Era la mia fonte di ispirazione. Giocavo nel Torino e una volta mi hanno chiesto chi fosse il mio idolo: essendo con i granata, un po' di timore nel dire un portiere che giocasse nella Juventus c'era. Però Zoff è stato sempre stimato anche dai tifosi del Toro, a dimostrazione della sua lealtà umana e professionale. Un vero mito che ho avuto l'onore di incontrare l'anno dopo, quando abbiamo vinto il campionato di Serie C a Cosenza. In Coppa Italia al "San Vito" affrontammo i bianconeri e c'erano presenti due personaggi tra loro diversi, che io consideravo inarrivabili. Uno era Zoff per i motivi che ti ho appena detto e in porta c'era Stefano Tacconi, altro grande uomo che ha fatto del suo essere diverso una sua peculiarità. Avevo venti anni, ero agli albori della mia carriera e mi sembrava di toccare il cielo con un dito. Ancora oggi ho i brividi a ricordare quella serata".
Le emozioni come le onde del mare che si infrangono ma non scompaiono del tutto. Per qualche istante Simoni è ancora ubriaco di quel ricordo.
Parlando di Zoff, vogliamo il tuo parere su una sua idea sul ruolo dei portieri: "Si tende troppo spesso - dice il Dino nazionale in una intervista di qualche tempo fa - a giustificare gli errori dei portieri. In questo modo non li aiutiamo a crescere, anzi li facciamo rimanere piccoli".
"Massimo rispetto per il mio mito, però credo che per ogni cosa ci vogliano i giusti modi. Non credo che Zoff volesse usare solo il bastone nei confronti di un portiere che sbaglia, ma volesse porre l'accento sul fatto che vanno aiutati a comprendere i propri errori. Sono sempre stato un amante del lavaggio dei panni sporchi in casa propria. In pubblico sei un gran portiere, poi a quattr'occhi ti faccio nero e cerco di farti capire dove hai sbagliato".
A proposito di errori, rimaniamo in tema: quanto influiscono le nuove regole, tese per la maggior parte a sminuire il ruolo del portiere?
"Qui vorrei aprire una parentesi prima di rispondere. Mi chiedo cosa possa capirne di calcio chi non ci ha mai giocato. Comprendo il ruolo del manager, che gli riesce anche bene, ma il calcio va fatto da chi lo ama e l'ha giocato. Detto questo, vengo alla tua domanda: noi per antonomasia siamo gli antidivi. Il calcio si basa sul gol. Il fine di una partita quale è? Quello di fare un gol più dell'avversario e quindi tutte le innovazioni, non dico che vanno a sminuire, ma vanno a cercare uno spettacolo maggiore. Una partita che finisce 3-3 o 4-3 è sempre più divertente di uno 0-0".
I palloni che cambiano ogni anno non possono anche essere un fattore che penalizza il portiere?
"Non credo. Alla fine ti alleni sempre con gli stessi palloni della domenica. Altro aspetto che tenderei a mettere in risalto è quello di come sono studiati questi palloni. Qualche anno fa andai alla trasmissione "Campioni" e andai per parare alcuni rigori e parlai con un esperto in materia che mi disse: questi sono palloni fatti esclusivamente per far gol".
La scuola italiana in quanto a portieri negli ultimi anni stenta a trovare i ricambi necessari. Pensi che ci sia una crisi in questo ruolo?
"Bella domanda. Il bambino quando gioca a calcio ha come istinto quello di far gol, quindi c'è bisogno che uno si appassioni a questo ruolo che io trovo sia il più bello del mondo".
Giovanni Galli, ex portiere di Milan e Fiorentina tra le altre, dice che una parata sotto il sette equivale ad un gol in rovesciata.
"Sono pienamente d'accordo. Come ti dicevo poco fa, il portiere deve neutralizzare tutte le sue emozioni. E quando capita che togli la palla dall'incrocio ti posso assicurare che tocchi tutti gli angeli del paradiso. Solo chi è portiere può capire".
Quali sono le qualità che deve avere un buon portiere?
"Su questo tema ho un'idea ben precisa: deve essere prima di tutto un atleta. Attualmente il calcio è basato principalmente sulla fisicità, quindi c'è bisogno di un ragazzo che abbia soprattutto delle doti di flessibilità, rapidità e riflessi. Se si parte da queste basi, si è a buon punto. Sul resto si lavora. Però ripeto: se non hai le capacità di fare una vita da atleta, con il passare del tempo ti perdi. Inoltre non dimenticherei un passaggio fondamentale del nostro ruolo: essere leader e comandare un'intera squadra. I tuoi compagni se sei sicuro tra i pali, lo avvertono e la tua presenza come uomo capace di trasmettere sicurezza è fondamentale".
Quanto conta l'istinto nell'essere portiere?
"Conta come fattore emotivo, ma va dosato, altrimenti diventa controproducente. Il nostro ruolo ci richiede di intrappolare tutte le emozioni e cercare di essere freddi e attenti a tutto. Ogni minimo dettaglio corretto e migliorato evita un errore".
Per un giocatore è importante anche il riuscire a concentrarsi e in questo un aiuto lo dà la musica. Quali sono state le canzoni che hanno contraddistinto la tua carriera?
"Ce ne sono tre: Diamante di Zucchero, Could you be loved di Bob Marley e Vivere una favola di Vasco Rossi. Quando le riascolto mi capita di chiudere gli occhi e ritrovarmi ancora in campo. Bella sensazione".
Parare, compito che spetta ad un portiere e tu hai regalato queste gioie ai tifosi del Pisa, che ancora oggi ti ricordano con affetto.
"Tifoseria passionale e calda. Giocare all'"Arena Garibaldi" è una sensazione particolare che diventava pelle d'oca quando arrivavano gli squadroni del nord Italia. Era una bolgia e sentivi la terra sotto i piedi che quasi ti sollevava. Tornando alle grandi parate, quando mi giravo verso di loro, sentivo quel calore inspiegabile".
Hai avuto come presidente Romeo Anconetani.
"Ti fermo un attimo: Romeo Anconetani non era un presidente qualsiasi, ma era "Il Presidente". Uomo d'altri tempi, ma con un temperamento eccezionale".
Com'era il vostro rapporto?
"Per quel carattere forte tendeva a scontrarsi con quelli meno forti da questo punto di vista. Mentre con me ci sono stati parecchi screzi, ma sono dell'idea che in fondo a lui piacesse battibeccare con me proprio per questo mio modo di tenergli testa. In fondo devo ringraziare lui e tutto l'ambiente pisano, perché c'è stato un periodo - che è durato circa due mesi - in cui non ho dato il meglio di me".
Ce ne vuoi parlare?
"Sì, quando ho saputo della morte di Bergamini, mio ex compagno di squadra a Cosenza. Siamo cresciuti insieme e gli volevo bene come un fratello. Non è stato un momento facile e l'ambiente nerazzurro umanamente ha capito le mie difficoltà. Una morte assurda che mi ha fatto molto male".
Pisa in Lega Pro e un calcio che stenta a ridare alle grandi piazze i palcoscenici che meritano.
"Il calcio di oggi ha perso tutto il fascino che aveva un tempo. I soldi adesso sono un fattore predominante. Non nego che abbiano contato anche nella mia carriera, però c'erano valori diversi rispetto ad adesso. Il romanticismo ha lasciato il campo a ben altri aspetti. Sono dell'idea che quell'idea di calcio tornerà e Pisa come tante altre città blasonate tornerà a brillare".
Prossimo appuntamento con "Mi ritorni in mente": domenica 2 febbraio 2014.
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