INTERVISTA TC Niko Kirwan: "Mio padre All Blacks, a Mestre mi diverto"

09.03.2018 12:00 di  Francesco Ferrari   vedi letture
INTERVISTA TC Niko Kirwan: "Mio padre All Blacks, a Mestre mi diverto"
TMW/TuttoC.com
© foto di Alessio Lamanna

Essere il figlio di un campione del mondo di rugby, ma alla fine la scelta ricade sul calcio. E’ quella che ha fatto Niko Kirwan, centrocampista 22enne del Mestre, che ha deciso di mantenere la tradizione sportiva della sua famiglia, passando però dalla palla ovale a quella da calcio. Un testimone che ha raccolto in particolare da suo padre John, campione del mondo con gli ‘All Blacks’ (la famosissima nazionale di rugby neozelandese) nel 1987 e coach della Nazionale Italiana di rugby dal 2002 al 2005. Una storia tutta sportiva anche la sua, dalla vittoria del campionato neozelandese all’attuale avventura con il Mestre, che racconta lui stesso ai microfoni di Tuttoc.com.

Kirwan, come procede a Mestre?
“Mi trovo benissimo. E’ il club che ha creduto in me: sono venuto in prova e mi ha dato una chance. Con staff e allenatore mi trovo veramente bene”.

Le dispiace non giocare le gare casalinghe in città ma a Portogruaro?
“Tantissimo. Il Baracca (stadio di Mestre, ndr) è un bell’impianto e faremmo il sold-out nelle partite importanti. Però i nostri tifosi sono grandi e vengono fino a Portogruaro. Li ringrazio, farsi tanti chilometri ogni volta non è da tutti e sono sempre a sostenerci. Anzi, ringraziare è poco”.

Si punta alla salvezza o qualcosa in più?
“Ho visto fin da subito che la qualità in squadra era tanta. Poi con il mister che ci fa giocare così… i playoff sono un obiettivo. C’è un bel clima, gli allenamenti sono belli. Sto migliorando e mi sto divertendo molto. Anche se in quest’ultimo mese non è stato il massimo: stiramento dell’adduttore prima, distorsione alla caviglia poi… Però non vedo l’ora di tornare in campo”.

Si aspettava di giocare così tanto?

“A dir la verità no… Quando sono arrivato, il distacco a livello qualitativo c’era. Mi sono impegnato e il mister mi ha dato fiducia”.

Come nacque la possibilità di giocare in Italia?
“Ero in Nuova Zelanda, volevo giocare qui. Ho mandato dei video e il Mestre mi firmò. Ho parlato subito con loro: questa o la va o la spacca”.

Lei ha girato il mondo insieme a suo padre.
“Eh sì. Sono nato in Nuova Zelanda ma ho fatto l’asilo in Giappone per tre anni. A 5 anni sono venuto in Italia e sono stato qui fino ai 15-16. Mi ricordo quando guardavamo le partite di rugby della Nazionale in tv… Poi sono tornato in Nuova Zelanda”.

Lei ha madre italiana (Fiorella, ndr).

“Sì. Ha giocato a Pallavolo: è arrivata fino alla Serie B2 in Italia”.

In casa parlate italiano o inglese?
“Quando vivevamo in Italia parlavamo in Italiano. Capita anche adesso”.

Suo padre cosa le ha detto quando ha abbracciato il calcio?

“Lui è contento. I miei genitori sono persone di sport: l’importante è farlo bene, tenendoti allenato e che tu lo faccia per qualcosa”.

Non l’ha placcata…?

“No no (ride, ndr). Anzi, gli piace un sacco. Oltre ai miei genitori, anche mia sorella è una sportiva e gioca a pallavolo mentre mio fratello fa canottaggio. Entrambi sono in Nuova Zelanda”.

Da suo padre cosa ha preso?

“Non sono mai contento. Sono autocritico. Se mi alleno male torno a casa arrabbiato. Parlo spesso con lui di questa cosa, lui mi dice di non esagerare e che può andare a scapito mio”.

Le è mai pesato essere il figlio di John Kirwan?
“Mai. Sono due sport diversi, così non puoi fare i paragoni. Lui è stato uno dei grandi e speri sempre di arrivare così in alto nel tuo”.

C’è un cimelio che le ha regalato?
“Prima del ritorno in Italia mi ha dato una collana Maori, di metterla solo 5-10’ come porta fortuna. La tengo sempre vicina al mio letto: quando penso a qualcosa d’importante me lo metto”.

Le manca la sua famiglia?

“Com'è normale che sia, dato che vivono in Nuova Zelanda. Però qui ci sono i miei nonni paterni che mi fanno una pasta…”.

Che differenze vede tra il campionato neozelandese e la Serie C?

“L’anno scorso ho giocato nel Team Wellington, club con cui abbiamo vinto il campionato della Nuova Zelanda. Il talento nella squadra c’è, ma tatticamente non eravamo preparatissimi. Però non era una squadra di brocchi eh… Potrebbe fare la Serie D diciamo, a metà classifica, proprio perché manca la preparazione. La Nuova Zelanda sta crescendo tantissimo: la maggior parte dei bambini gioca a calcio, non a rugby. Qui vediamo video, studiamo gli avversari, la linea deve essere dritta in difesa… A noi queste cose non le insegnavo”.

Come viene visto il calcio in Nuova Zelanda?

“Non lo seguono in tanti: nella finale del nostro campionato, c’erano mille persone. Preferisco la passione italiana: quando giochiamo in casa, oppure in stadi come San Benedetto e Trieste, è bello avere una cornice di pubblico”.

Strutture?

“Quelle le abbiamo… Il campo a Wellington è curato bene… Una piccola cittadella dello sport”.

Sogni nel cassetto?
“Giocare negli ‘All Whites’ (la nazionale neozelandese di calcio, ndr). Ho fatto un camp con loto prima della Confederations Cup dell’estate scorsa. Il mister (Hudson) mi ha detto che dovevo uscire dai confini per migliorare tecnicamente”.

Detto e fatto.
“Sì ma non è stato facile far le valigie andare a giocare in prova. Ci vuole coraggio, però dopo ti rendi conto che migliori anche come persona”.

E adesso, cosa le manca in questa stagione?
“Segnare. Non vedo l’ora di fare gol. Ci penso spesso, voglio gonfiare la rete e fare gol. Ed essere più incisivo: voglio migliorare sempre”.