INTERVISTA TC Zanetti: "Sudtirol come il Chievo: strutture da A"

01.01.2018 19:00 di Francesco Ferrari   vedi letture
Paolo Zanetti, Sudtirol
TMW/TuttoC.com
Paolo Zanetti, Sudtirol

Il Sudtirol è come il Chievo: qui c’è un’organizzazione da Serie A”. E se lo dice Paolo Zanetti, allenatore degli altoatesini, che di massima serie ne ha calcata fino ad arrivare a vincere un Europeo Under 21 con gli azzurri (nel 2004), c’è da credergli. Il più giovane tecnico della Serie C, 35 anni, traccia un bilancio dei suoi primi sei mesi da allenatore professionista: dopo l’annata scorsa nella Berretti della Reggiana, dove ha raggiunto le semifinali scudetto, ecco l’esperienza con il Sudtirol. E l’entusiasmo per questa avventura in Alto Adige lo rivela nell’intervista esclusiva a Tuttoc.com.

Zanetti, com’è il suo bilancio di questa sua prima esperienza?
“Positivo. Diciotto ragazzi sono arrivati in estate e solo 4 sono stati confermati dalla scorsa stagione (Tait, Cia, Fink e Bertoni, ndr). Stesso discorso per staff tecnico e il diesse (Aladino Valoti, ndr), arrivati quest’anno. E’ a tutti gli effetti un nuovo ciclo. La sfida era bella: avevo la possibilità di creare qualcosa a mia immagine e somiglianza. Dopo un inizio in cui c’è stata qualche difficoltà, sono 10-12 partite che abbiamo una media importante. Ora siamo nella zona calda: il bilancio è buono ma il campionato finisce a maggio, speriamo giugno…”.

A darle entusiasmo, oltre al lavoro sul campo, è anche quello che c’è dietro.
“Si è creata una base importante per provare a giocarci il campionato a medio-termine. Il centro sportivo è nuovo e bellissimo, da squadra di Serie A. A Marzo iniziano i lavori per lo stadio (sarà ristrutturato in modo importante l’attuale ‘Druso’, ndr): l’obiettivo è arrivare a portare in alto la squadra della regione. Lavorano molto sulle strutture”.

E sul campo a cosa puntate?
“L’obiettivo iniziale era salvarci e migliorare la classifica della stagione precedente (12mo posto, ndr). A lungo andare, dopo un buon percorso, ce la siamo giocata con tutte le squadre e il mirino può essere spostato in avanti”. 

Pensava che potesse andare così bene la sua prima esperienza da allenatore pro?
“Lo speravo. Credo molto in me stesso e nel lavoro. E penso di trasmetterlo ai ragazzi: ho una filosofia e una mia idea, speravo che dopo la mia esperienza Berretti della Reggiana potesse funzionare con i grandi. Per ora sta andando molto bene. C’è un buon rapporto con la squadra e, soprattutto, ho la disponibilità totale con i ragazzi. Significa molto”.

Come si è guadagnato la fiducia della squadra?
“Non sono entrato con i discorsi ma in punta di piedi e con il lavoro. Si è creato subito il feeling, perché ai giocatori è piaciuto il modo di allenare. Certo, da calciatore ho fatto qualcosa e questo mi può servire per capire certe esigenze dei calciatori. Però la mentalità deve essere fondata su sacrificio e lavoro, l’obiettivo è sempre il massimo e non il minimo indispensabile”.

Che rapporti ha con i giocatori?

“Ho scelto un modo semplice, essere me stesso. Ciò che vedo e penso, lo dico. Il succo è sempre quello".

Com’è Paolo Zanetti allenatore?
“Sono un misto tra bacchetta e il cercare di capire i ragazzi. Mi piace parlare con loro, anche individualmente. Il mio obiettivo è cercare di trarre il massimo, tenendo presente che le personalità non sono tutte uguali. Ogni tanto ci vuole la carota, spesso però va usato il bastone”.

Che differenze ha notato tra settore giovanile e professionismo?
“Nel settore giovanile bisogna fermare i ragazzi, vanno sempre forte e non sanno bene gestire le energie. Nei grandi bisogna costantemente stimolare l’allenamento mantenendo un certo livello di gioco, unito ad un’organizzazione”.

Giovani interessanti?
“Sgarbi ed Erlich, sono del ’98. Sono convinto che abbiano mezzi importanti”.

Nella Berretti della Reggiana invece, uno che spiccava?
“Daniele Rocco (esterno d’attacco, ndr) era il giocatore che tecnicamente aveva qualcosa in più”.

Uno scudetto sfumato in semifinale con il Livorno, dove avete perso 1-0 nel finale.
“Mi ricordo quanto ci tenessero i ragazzi. Ho fatto un discorso a loro a fine gara e ho detto: “Lo scudetto l’abbiamo vinto comunque”. Il nostro obiettivo era crescere e proporre un bel calcio: anche in semifinale l’abbiamo fatto il pubblico che si è divertito. Il risultato è figlio di episodi”.

Ha voglia di indossare nuovamente gli scarpini?
“No. Da calciatore ho dato il massimo e so bene quanto ho sofferto per gli infortuni. Non mi ha pesato l’addio, anzi, sono appassionatissimo di questo lavoro. Vivo costantemente per migliorarmi, studiando calcio. Ogni giorno andare ad allenare una prima squadra di C è un arricchimento”.

Un progetto, il vostro, che ha bisogno di sostegno del pubblico.
“Questo è un aspetto importante. A vedere l’hockey ci vanno 4-5mila persone. Il calcio non è il primo sport del territorio: noi dobbiamo essere bravi ad avvicinare gli sportivi a vedere la squadra della propria città. Anche la società sta facendo grandi passi per un futuro e fare innamorare la gente di Bolzano”.

Il calcio italiano deve guardare al Sudtirol come ad un esempio?
“Si può dire, senza dubbio. La cosa che salta all’occhio è che non si fa mai il salto più lungo della gamba: non si acquistano giocatori con contratti stellari. Abbiamo poca pressione mediatica: qui si punta ad un progetto, la società è in positivo di bilancio e investe nelle infrastrutture. E’ il passo che in Italia bisogna fare. Anche perché si fa gia in Germania, Austria, Francia ecc…”.