Il "Piano Strategico del Sistema calcio" c'è, ma non facciamolo passare per riforma dei campionati
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© foto di www.imagephotoagency.it Nei giorni scorsi durante un Consiglio Federale il presidente della FIGC Gabriele Gravina ha chiesto ai presenti di votare il cosiddetto Piano Strategico del Sistema Calcio. Una 51ina di slides, che, in parte, riprendono elementi già conosciuti (come l'impatto economico del calcio sul Pil del Paese o la composizione delle governance delle diverse Leghe) per poi passare ad enunciazioni di princìpi in linea di massima condivisibili da parte di tutti gli addetti ai lavori. Non a caso la votazione, a parte la Lega B di Mauro Balata (il n.1 della cadetteria ha scelto la strada dell'astensione "costruttiva"), è andata in una sola direzione e nel comunicato FIGC più volte è stato sottolineata l'ampia adesione delle componenti. Sembrerebbe, però, che, durante il Consiglio Federale, nessuno abbia fatto delle domande precise all'ideatore di questo piano, perchè, al di là delle 51 slides, resta la fatidica domanda che nessuno vuole fare: "...e quindi?".
Veramente si vuole far credere che con i contenuti di questo Piano si risolveranno tutti i problemi del calcio tricolore?
I problemi ci sono eccome, ma c'è più di qualcuno che preferisce mettere tutto sotto il tappeto.
La verità piuttosto è un'altra. Se 10-15 anni fa c'erano più fallimenti che squadre, oggi nell'era della finanza creativa, a parte qualche caso patologico, non si fallisce più, ma la verità (talvolta molto amara) è un'altra.
Durante una cena del Panathlon di Valdarno, l'ex Vicepresidente FIGC Innocenzo Mazzini, che conosce molto bene i meandri di questo sistema, fece questa dichiarazione che ricordo molto bene: "ormai in Lega Pro la media di tenuta di un club da parte di qualsivoglia proprietà, anche quelle provenienti dalla D, è di 3 anni". Devo dire che quella sera rimasi attonito di fronte a questo dato (che poi nei due anni di vicepresidenza ho visto confermato: vedi ad esempio il Siena calcio, passato di mano diverse volte in meno di due anni). Tradotto in italiano: i costi sono quasi sempre superiori ai ricavi (talvolta anche di molto) e dopo un po' si va in sofferenza, a furia di ricapitalizzazioni che passano per le tasche "personali" dei presidenti.
Quindi è vero che non ci sono più i fallimenti di un tempo (e meno male), ma il gioco più popolare, dopo quello del pallone in campo, è sicuramente quello del cerino: si gioca a passarlo ad un nuovo presidente che pensa di essere più bravo di quello precedente, per poi, 3-4 o 5 anni dopo massimo, fare la stessa operazione con uno nuovo. Ci si libera del problema passandolo al presidente successivo.
Possiamo raccontare tutte le favole di questo mondo, ma questo Sistema non regge e non è con un Piano Strategico (presentato in pompa magna) che si risolvono i problemi delle Leghe. Stiamo perdendo competitività, stiamo perdendo anni senza intervenire con una riforma strutturale che consenta, a chi vuole fare calcio (in modo professionale, più che professionistico), di arrivare a fine stagione senza svenarsi (quale che sia la dimensione del club).
Tra 10-11 mesi ci saranno le elezioni per la presidenza FIGC. E dopo quattro anni avremo sì approvato l'ennesimo Report condito di buoni "princìpi", ma all'appello mancherà, come sempre, la milestone più importante: ovvero la riforma dei campionati. E' come la spada di Re Artù (manca chi sappia estrarla dalla roccia). Chi l'estrarrà, dimostrando di saperla portare in porto, nei primi mesi del nuovo mandato, resterà nella storia di questa gloriosa federazione.
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IL PUNTO di Valeria Debbia
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