VIVA CAMILLI: ELOGIO DEL MANGIALLENATORI. PISA, UN CERCHIO CHE SI CHIUDE DUE ANNI DOPO. LECCE COL BRACCINO: SERVE CORAGGIO. E ORGOGLIO

Nasce a Bari il 23.02.1988 e di lì in poi vaga. Laurea in giurisprudenza, titolo di avvocato e dottorato di ricerca: tutto nel cassetto, per scrivere di calcio. Su TuttoMercatoWeb.com
28.03.2018 00:15 di  Ivan Cardia   vedi letture
VIVA CAMILLI: ELOGIO DEL MANGIALLENATORI. PISA, UN CERCHIO CHE SI CHIUDE DUE ANNI DOPO. LECCE COL BRACCINO: SERVE CORAGGIO. E ORGOGLIO
TMW/TuttoC.com

C’erano una volta i presidenti mangiallenatori, c’erano gli Zamparini e c’erano i Cellino. Ci sono ancora, c’è ancora, per fortuna, Camilli. Che almeno ci fa divertire. Quarto allenatore esonerato, in una stagione in cui la sua Viterbese non è mai scesa al di sotto del quinto posto. Vallo a capire, dice qualcuno. E invece io dico viva Camilli. Anzitutto, per un motivo banale: ci fa scrivere, non fosse altro per indovinare le ragioni, complicate, dietro un esonero. 

Ci fa scrivere, ci fa divertire, ma ci mette anche la faccia. Non sarà il modo di fare calcio più ragionato, o più ragionevole, del mondo. Non ha molto senso, forse, cambiare allenatore ogni tre per due. Ha, però, un che di romantico, sa di calcio di provincia che vive di pancia più che di testa. E c’è anche molto coraggio. Camilli, nella sua storia imprenditoriale e calcistica, ha luci e ombre, un po’ come tutti: non ne faccio un elogio sperticato. Però ha il coraggio, e la faccia, di esonerare quando si è rotto le scatole.

Viva Camilli, allora, a confronto con tanti altri presidenti. Che non vogliono, o non possono, esonerare. A quelli chiedono le dimissioni al proprio allenatore, sottovoce, perché a libro paga un esonero costerebbe troppo. A quelli che sottostanno a meccanismi poco puliti, quelli degli sponsor più o meno occulti, e devono tenere in panchina anche chi gli sta antipatico o non li convince sul piano tecnico. Viva Camilli, e almeno abbiamo di che divertirci. 

Il passaggio da Camilli a Pisa, lo so, a qualcuno potrà risultare indigesto per l’accostamento. Pazienza. Che poi è anche l’allenatore salutato dai nerazzurri: con Petrone, invece, si chiude un cerchio aperto due anni fa. Quando Gattuso si era dimesso, la società era in crisi, pensava a Zeman e bussava alla porta di Petrone. Nulla di fatto, nel 2016, per il ritorno di Ringhio. Ora i nerazzurri hanno una società nuova, sana, devono capire dove possono arrivare: il Livorno corre ma ogni tanto inciampa, il Siena è pronto ad approfittarne. Il Pisa? Numeri alla mano, la squadra della torre pendente ha possibilità quasi pari a zero di inserirsi nella lotta per i primi posti. Però la rosa è sontuosa e Petrone, dopo il passo falso di Catania, può rilanciarsi. Sa come si insegue la promozione, anche senza passare dal primo posto del girone.

A proposito di retromarcia, qualcuno bussi alla porta del Lecce. Marzo pazzerello per i salentini, che buttano via punti e si devono guardare dagli assalti delle siciliane, Trapani e Catania. La sindrome del braccino è ben nota fra i tennisti, ma rischia di diventarlo anche dalle parti del Via del Mare. Troppe volte, negli ultimi anni, i giallorossi hanno mollato il colpo quando sarebbe servito affondare. In questo caso, non è questione di tecnico, o di squadra. Ma di coraggio: quello che serve per andarsi a prendere ciò che una piazza meriterebbe. E di orgoglio: quello che serve per la promozione, quello che francamente a Caserta non si è visto in campo.