"Aboliremo ripescaggi e riammissioni". I buoni propositi sono ancora validi? Tanti, troppi divieti di trasferta

18.04.2022 00:00 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
"Aboliremo ripescaggi e riammissioni". I buoni propositi sono ancora validi? Tanti, troppi divieti di trasferta
TMW/TuttoC.com

"Ho detto al direttivo che proporrò alla prossima assemblea della Lega Pro di abolire i ripescaggi e le riammissioni". Correva il mese di agosto, il campionato di Serie C si apprestava a iniziare, il presidente Francesco Ghirelli lanciava una proposta che lui stesso faceva capire fosse il grande sacrificio che la terza serie era pronta a fare sull'altare della riforma del calcio italiano. Otto mesi dopo, il campionato si avvicina alla sua fine e, almeno che si sappia, tutto tace, almeno a livello di decisioni prese. Il tema è stato trattato in maniera piuttosto blanda di recente tra i club, lo stesso Ghirelli assicura che sarà argomento di discussione del prossimo consiglio federale. Considerati i tempi stretti, è parecchio concreto il rischio che non succeda nulla e che quindi i buoni propositi di inizio anno rimangano nel cassetto. Non che sia facile, ma per quanto una decisione del genere sia dura da far digerire, sarebbe un'occasione sprecata.

Il campionato si chiuderà a 59 squadre, per il secondo anno consecutivo. Escludendo la stagione 2019/2020, rotta a metà dalla pandemia, è dal 2017 che la Serie C non si chiude con tutte le società che l'hanno iniziata ancora al loro posto. Chiariamo: Gravina prima e Ghirelli poi hanno raccolto un testimone allo sbando e hanno rimesso in piedi una situazione disperata. Vista da altra prospettiva, che sia saltato solo un club a stagione nei primi due anni del post pandemia può persino considerarsi un mezzo capolavoro, o miracolo: tutto è questione di prospettiva. La vicenda del Catania, probabilmente non percepita fino in fondo nella sua drammatica risonanza mediatica, ripropone però un tema di attualità. E non importa, giova ripeterlo, che sia mancato poco agli etnei per non completare la stagione, o che l'ammorbidimento normativo abbia consentito un tale epilogo: coi se e coi ma non si va lontano, mentre le spiegazioni tecniche ai tifosi - cioè ai principali "clienti" del campionato - non interessano affatto.

Le beghe non finiscono peraltro col Catania. Rispetto alle sessanta squadre che dovrebbero presentarsi al prossimo campionato, registriamo almeno cinque-sei criticità, alcune delle quali più che note anche al grande pubblico. Dei club attuali, almeno tre sono tutt'altro che certi di partecipare alla prossima stagione. Di quelli che dovrebbero salire dalla D, almeno su due nutriamo forti dubbi. Sommate al Catania, vorrebbe dire sei squadre in meno ai nastri di partenza ad agosto. E qui si torna a ripescaggi e a riammissioni. Rispetto ai quali, è bene fare qualche altra premessa. Di per sé, non sono un male: anzi, come spiegato più volte da diverse componenti, consentono al calcio di rinnovarsi con forze fresche e sane. Una cura per un problema. Nel momento in cui da una medicina si diventa dipendenti, però, l'aspetto fisiologico diviene patologico, e sarebbe meglio intervenire.

Il tema, si diceva in avvio, è peraltro delicato. Anche perché divide le società: quelle sane e che non hanno timore di scendere di categoria bloccherebbero ripescaggi e riammissioni anche domani, se potessero. Un'altra fetta di club, che invece - a torto o a ragione - vivacchia facendo la spola o almeno ha la prospettiva di doverlo/poterlo fare la prossima estate, è contraria. Anche in maniera comprensibile: se è sempre stato concesso, perché proprio noi non possiamo? Perché a un certo punto bisogna dare un taglio. E siamo perfettamente consapevoli che la C sia l'unico campionato a essersi auto-inferta una sforbiciata negli anni passati: se per scelta o per necessità, è un altro discorso. Allo stesso modo, sappiamo benissimo che i problemi del calcio italiano non si risolveranno tagliando una manciata di club dal livello più basso del professionistico. La riforma, però, dorme sonni sereni nel cassetto di via Allegri ove è stata riposta anche e soprattutto per l'ottusità dei grandi club che pensano all'oggi e non al domani, figuriamoci al dopodomani. Al capitolo federale, un passo è atteso sulle prossime licenze, previste decisamente al rialzo nella selettività. Il caso Catani, aggiungiamo, potrebbe suggerire di non limitare le garanzie economiche a fideiussioni che coprono al più qualche mese: in altri campionati si chiede di assicurare già a inizio stagione una parte significativa del budget. In questo quadro, rinunciare a ripescaggi e riammissioni, a costo di perdere qualcosa in termini numerici, ma guadagnarne in "salute", non sarebbe un brutto obolo da versare. Chi la riforma l'ha a cuore, anche a costo di farsi male oggi per stare meglio domani, deve mandare un messaggio che vada oltre le promesse: le trasformi in fatti. Il medico pietoso, suggerisce la saggezza popolare, fa la piaga cancerosa.

"Vogliamo i rivali su quei gradoni". Nel salutarci, ci spostiamo su altro tema. Il virgolettato è dei tifosi del Taranto, che durante l'ultima gara casalinga  hanno così contestato l'assenza dei sostenitori del Bari. Trasferta vietata, come del resto era accaduto a parti inverse all'andata. E questo è un appello alle autorità, più politiche che sportive. Da due anni a questa parte, dall'inizio della pandemia, ci andiamo raccontando che il calcio non è calcio senza tifosi. Nel campionato che volge al termine abbiamo assistito a una mole di divieti impressionante, anche per partite che francamente destavano preoccupazione davvero minima. Speriamo che qualcosa cambi nella prossima stagione: i tifosi servono, eccome. Senza di loro il calcio è morto. Un sistema che, per paura di non saperli gestire, rinuncia ad averli è un sistema che ha accettato di perdere in partenza.