Filipponi: "Campobasso esperienza incredibile, che salto dalla D. Ora cerco un nuovo progetto"

"Chi sale in Serie A fra Spezia e Cremonese? Sono due squadre forti, ma dico Spezia perché la squadra di D'Angelo ha due risultati su tre a disposizione". Così Sergio Filipponi, ex direttore sportivo del Campobasso, intervistato da TuttoMercatoWeb.com. Il dirigente che ha contributio al ritorno in C del Campobasso nella passata stagione, si è raccontato in una lunga intervista ai nostri microfoni..
"Io vengo dal settore giovanile del Perugia, dove sono rimasto sette anni. I primi due facevo l'osservato, sempre nel vivaio, poi per cinque anni sono stato direttore sportivo del settore giovanile. Ho avuto la soddisfazione di scoprire alcuni giocatori, come Seghetti, Corradini, Stramaccioni, Pietrangeli. Certo, qualcuno si è anche perso per strada, perché per diventare calciatori servono tante componenti: non basta solo il talento".
Cosa fa davvero la differenza secondo te?
"La mentalità. Ho visto calciatori molto dotati tecnicamente che però non avevano voglia di allenarsi, non facevano sacrifici. E si sono persi. Invece quelli che sono riusciti, al di là del ruolo, erano tutti accomunati da spirito di sacrificio, cultura del lavoro, abnegazione. Se manca questo, anche il talento conta poco. Se un ragazzo arriva in ritardo, non si allena con serietà… difficilmente diventerà un professionista.
Dopo Perugia, come è proseguita la tua carriera?
"Sono passato ai "grandi". Il Cannara, in Umbria, è stata la mia prima esperienza tra i senior. L’anno dopo sono andato al Città di Castello. A Cannara avevamo un budget limitato, sui 170-200 mila euro, quindi cercavo soprattutto giovani, under bravi, magari anche qualcuno appena uscito dall’ultimo anno di Under. E ci siamo salvati, che era l’obiettivo".
Hai fatto anche scouting, giusto?
Sì, un anno l’ho dedicato allo scouting per la Lupa Frascati, che era di proprietà dei Manzo, quelli che ora hanno l’Arezzo. Quell’anno ho visto tanta Serie C, Serie D, Primavera 1 e 2. È stato un anno di studio, molto utile per conoscere categorie e giocatori.
Poi la chiamata del Campobasso.
"Esatto, a ottobre dell’anno scorso sono arrivato al Campobasso con il mister Pergolizzi. Eravamo 5-6 punti dietro la Sambenedettese e siamo arrivati davanti di una decina di punti. Abbiamo fatto un grande girone di ritorno, in un campionato difficile. Un’annata straordinaria. Siamo ripartiti con entusiasmo con mister Braglia, ma poi è arrivato l’esonero, inaspettato. Eravamo ottavi in classifica… ma nel calcio succede anche questo. Dopo l’esonero ho continuato ad aggiornarmi, andando a vedere partite di Serie C, Serie D, Primavera 1. Ho avuto qualche contatto, anche in Serie C, ma nulla di concreto finora. Sono tre anni che faccio il direttore sportivo in prima squadra: Cannara, Città di Castello in Serie D, Campobasso in Serie D e poi sei mesi in Lega Pro. Però ho imparato tantissimo. Abbiamo vinto anche la Poule Scudetto, siamo campioni d’Italia, ed è stata una grande soddisfazione".
Hai fatto molto mercato…
Sì, a Campobasso ho cambiato 14 giocatori da novembre. Quest’anno ne avevamo confermati solo 4, e ne ho presi altri 20. Due anni molto impegnativi ma formativi. Oggi conosco meglio le dinamiche di mercato, i procuratori, e i parametri della Lega Pro. La differenza tra Serie D e Serie C è enorme. Mi fa ridere chi dice “puoi tenere la squadra della D in C”. Non è vero. Le squadre che hanno fatto questo tipo di salto senza cambiare sono retrocesse: Union Clodiense, Caldiero… tutte giù. Trapani, Altamura, Cavese, noi stessi: tutti abbiamo cambiato 18-20 giocatori. Perché la C è un altro mondo. Se vuoi restare competitivo, devi cambiare. Fra i tanti giocatori acquistati vorrei sottolineare Serra (classe 2003), Pellitteri (2004), e Mancini (Classe 2005): tutti giocatori sicuramente di prospettiva destinati ad una carriera importante e che potranno generare in futuro una bella plusvalenza per il Campobasso".
Il legame con Campobasso?
"Fortissimo. Quello che abbiamo fatto rimarrà nel mio cuore. Ma ormai è passato. Ora cerco un nuovo progetto. So che nel calcio la progettualità è una parola abusata, ma io la cerco davvero. Anche una buona società di Serie D, che ti offre due anni per provare a vincere il campionato, sarebbe un’occasione di crescita. Non ho preclusioni, voglio continuare a imparare".
Hai iniziato dal settore giovanile: quanto è grande il salto tra settore giovanile, Serie D e poi il professionismo?
"È una bella domanda. Quando feci il corso da direttore sportivo, Paratici ci disse: “Fate prima 4-5 anni nel settore giovanile, poi passate ai grandi”. Ed è verissimo. Io mi sono completato così. Il settore giovanile ti fa capire quali parametri servono davvero per il salto in prima squadra: tecnici, cognitivi, atletici, comportamentali. Ti forma".
Torneresti mai in un settore giovanile?
"Sì, perché no? Non è un capitolo chiuso. Però oggi so cosa serve davvero per formare un calciatore. In Italia, purtroppo, spesso nei settori giovanili si pensa solo a vincere. Ma il vero obiettivo non è quello: è formare calciatori pronti per il professionismo".
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