UFFICIO COMPLICAZIONI AFFARI DIFFICILI: COSTACURTA BUTTA UN SASSO NEL MARE IN TEMPESTA. SQUADRE B: MODI E TEMPI SONO SBAGLIATI, MA LA RIFORMA È NECESSARIA

Nasce a Bari il 23.02.1988 e di lì in poi vaga. Laurea in giurisprudenza, titolo di avvocato e dottorato di ricerca: tutto nel cassetto, per scrivere di calcio. Su TuttoMercatoWeb.com
11.05.2018 00:30 di  Ivan Cardia   vedi letture
UFFICIO COMPLICAZIONI AFFARI DIFFICILI: COSTACURTA BUTTA UN SASSO NEL MARE IN TEMPESTA. SQUADRE B: MODI E TEMPI SONO SBAGLIATI, MA LA RIFORMA È NECESSARIA
TMW/TuttoC.com

Il vaso di Pandora aspettava qualcuno che lo scoperchiasse. È arrivato Costacurta ed è intervenuto, in maniera netta, come gli capitava sui campi da calcio: seconde squadre, da un paio di giorni non si parla di altro. Che lo volesse o meno, con l’ormai famosa intervista a Undici ha aperto un tema di discussione finora che fin qui era rimasto sotto pelle, ma che evidentemente è molto caro a tutte le parti in gioco, da un lato e dall’altro.

Male assoluto, o bene assoluto: su queste pagine, e su quelle di TMW, avete letto tante opinioni, dalle più favorevoli alle più disperate. Le domande che ha posto due giorni fa Tommaso Maschio, più bravo che fortunato nell’anticipare i tempi della discussione, sono molto condivisibili. Non a caso, oggi sono state riecheggiate nell’intervento di Cristiano Lucarelli su Twitter. In estrema sintesi, le domande sono due: siamo pronti per le squadre riserve? E siamo sicuri che siano la soluzione a tutti i mali?

Sono due domande a cui penso che la risposta possa essere diametralmente opposta. Le seconde squadre, o squadre riserve, o squadre B, o come vi pare, non sono di certo la soluzione a tutti i mali. Giocare in Serie C o in Primavera non cambierà per forza di cose la carriera di un giovane talento della Juventus, per fare un esempio. E di sicuro non ci ridaranno i mondiali di Russia 2018, o ci agevoleranno per quelli di Qatar 2022. Sono una possibile e utile innovazione, da inserire in un quadro molto più ampio. Visto che si tratta di copiare, per esempio, potremmo imitare il sistema di accademie del calcio francese, oppure i requisiti di onorabilità richiesti del calcio inglese. Sono due esempi che ci proiettano in un calcio sempre più globale, un concetto che ci tornerà utile più avanti.

Le seconde squadre son utili: lo penso e vorrei che fosse chiaro. Sono uno strumento invocato da anni per consentire una migliore gestione delle nostre risorse: i club di Serie A hanno settori giovanili mastodontici, e i prodotti continuano a essere pochi. Basta guardare le rose delle prime quattro in classifica. I calciatori formati in casa sono cinque in totale: Marchisio, Insigne, De Rossi, Florenzi e Pellegrini. Pochissimi, e stiamo parliamo di vivai d’eccellenza. Il campionato Primavera, fra tecnici che pensano solo a vincere ed eterne promesse che vi restano intrappolate per lustri, non produce più talenti. Chi vuole emergere deve andare in prestito in Serie C, o in B, augurandosi di trovare spazio, per meriti propri o magari perché le regole sugli under (altro fallimento) promuovono giovani senza arte né parte ma con la giusta anagrafica. Le squadre B risolverebbero in parte questa situazione: il ragazzino di turno, formato nella Juve o nel Napoli, potrebbe continuare a crescere nel club di appartenenza, in un ambiente più adeguato e più attento al suo sviluppo che ad altri traguardi.

Le seconde squadre, l’ha spiegato Gravina oggi, possono portare anche benefici economici non indifferenti, dando più torta a chi rimane. E qui entriamo nell’argomento più difficile da accettare: il calcio sta cambiando. Quello di provincia ha il suo fascino, ma il modello che abbiamo costruito negli ultimi decenni non è più sostenibile, forse non lo è mai stato. Oggi l’idea di partenza è quella del professionismo a tutti i costi: o giochi in Serie C, o non esisti. È un concetto sbagliato e pericoloso, perché alcune realtà non necessitano del professionismo per vivere belle storie di calcio. Tanto più in un contesto che si va trasformando a livello mondiale: nel giro di pochi anni potremmo avere una Superlega europea o addirittura mondiale. I tifosi della Juventus saranno in competizione diretta con quelli del Real Madrid o del Manchester United. L’idea dei campionati nazionali subirà una riforma profonda, e ci si arrocca nella difesa di club che potrebbero tranquillamente competere a livello locale, come se questa fosse un’onta da evitare. Le seconde squadre fagociteranno il calcio di provincia? No, potrebbero restituirlo alla sua dimensione, e non è detto che sarebbe un male. 

Sì alle seconde squadre, in buona sintesi. No ai modi con cui Costacurta, che lo volesse o meno, ne ha annunciato l’introduzione. Le riforme non hanno bisogno soltanto di studio a tavolino, ma anche di preparazione sul campo. E di equità. Negare i ripescaggi dalla Serie D, per esempio, sarebbe un errore. È vero che le norme li prevedono soltanto come eventuali, ma negli ultimi anni sono diventati una prassi consolidata, con una sola eccezione: vi sono diverse società che hanno progettato, e speso, sulla base di una ragionevole aspettativa di poter competere, anche tramite i playoff, per la promozione in Serie C. Sono ancora tutte da chiarire le modalità di introduzione delle squadre riserve: promozioni e retrocessioni libere sono da escludere, ma limitarne la partecipazione alla terza serie, peraltro tenuta monoblocco come adesso, è una strada che non ha portato buoni risultati dove è stata tentata. Vi sono poi diversi rischi legati al mondo delle scommesse: è un fattore che andrebbe considerato con attenzione, senza fare finta che in Italia fili tutto liscio. Non è chiaro quante squadre di Serie A sarebbero già pronte, e questo è un altro fattore tutto da chiarire. A tal proposito, si ignora il precedente tutto italiano del campionato De Martino, che è un paradosso storico: le avevamo inventate noi, le seconde squadre, ora vogliamo imitare il resto del mondo. Un campionato dedicato alle squadre B, da disputarsi il prossimo anno, potrebbe essere una soluzione temporanea per consentire alle società di A di organizzarsi. 

Per ora, in buona sintesi, la proposta è tutta da costruire. L’innovazione può aiutare il nostro calcio a uscire dalla propria crisi, senza essere una panacea. Ma le buone idee non bastano: vanno portate avanti nei modi e coi tempi giusti. Indro Montanelli, parlando di altro, inventò l’ufficio complicazioni affari semplici: riformare il calcio italiano non è affare semplice, ma non serve complicarlo ancora.