INTERVISTA TC - Ghirelli: "Le fideiussioni liberano 36 milioni. Serve la cassa integrazione"

03.04.2020 19:15 di Redazione TC Twitter:    vedi letture
INTERVISTA TC - Ghirelli: "Le fideiussioni liberano 36 milioni. Serve la cassa integrazione"
TMW/TuttoC.com
© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Una riunione emozionante. Francesco Ghirelli, presidente di Lega Pro, descrive così la conference call con i 60 club di Serie C andata in scena quest’oggi: “Fino alle lacrime. Abbiamo ascoltato - spiega a TMW e TuttoC - i racconti di Fogliazza, Bonacini, Pasini, di tutti quelli che vivono nelle zone in cui questo maledetto virus ha colpito più duramente. È stato toccante, è stato emozionante sentire il dramma dei club che stanno dove domina il suono delle sirene, delle campane a morto. Veramente terribile”.

Il fronte è compatto? “Diciamo che c’è stata una forte tensione unitaria. Nel dibattito sono intervenuti tantissimi: tutti volti a dare una mano, a rimettere la barca in linea di galleggiamento. C’è una dolorosa contraddizione per molti: avrebbero una voglia folle di ricominciare ma, specialmente in quelle zone, è impossibile anche solo pensare a giocare una partita”.

Che mandato ha ricevuto dai club? “Di parlare con la FIGC, con il presidente Gravina. Di trovare una sintesi tra le tante preoccupazioni: sanitaria, economica, giuridica. E direi soprattutto sociale: quando parliamo di club e società non ci pensiamo quasi mai. Ma le squadre di calcio hanno un valore sociale immenso: pensate a tutti i ragazzi e le ragazze che tolgono dalla strada. Senza i nostri club pagheremmo un prezzo enorme. Non mi permetto di fare un paragone con quello che stiamo pagando per aver soppresso alcuni presidi ospedalieri, ma il prezzo sarebbe comunque davvero alto”.

Cosa chiedete? "Che si dia la possibilità di sfruttare un ammortizzatore sociale come la cassa integrazione, di liberare risorse. Rischiamo una desertificazione di una realtà sociale tra le più importanti del Paese, un’esperienza unica. Da tutto questo possiamo uscire con le ossa rotte. C’è sordità, c’è chi non capisce fino in fondo: se le società crollano non c’è spazio per i calciatori".

Il confronto con l’assocalciatori è teso. “Sì. Ci abbiamo parlato, abbiamo discusso. Però purtroppo le società sono talmente in difficoltà che bisogna fare un sacrificio maggiore, bisogna che lo facciamo un po’ tutti. Vediamo se arriverà la possibilità di sfruttare degli ammortizzatori sociali”.

Per ricorrere alla cassa integrazione è necessario un accordo? "No, se viene data questa possibilità si può procedere a prescindere dall’AIC. C’è una difficoltà profonda, è il caso di capirlo. E poi, certo, c’è anche voglia di riscatto, di entrare in campo, di avere una capacità di reazione”.

Tra le richieste dei club, anche quello di chiudere ora il campionato? “Sì e no. La questione è far capire la specificità della C, la preoccupazione che c’è in quelle zone di poter tornare in sicurezza. Vorrei che fosse chiara una cosa: io il 21 febbraio sono stato il primo a sospendere il campionato. In quell'occasione ho ricevuto telefonante anche bizzarre di chi mi chiedeva cosa stessi facendo. Magari sono gli stessi che ora mi dicono di bloccare tutto. Io ho fermato il campionato mettendo la salute al primo posto. Avendo fatto quella scelta iniziale, è evidente che se c’è un pericolo per un calciatore, per un medico, per un massaggiatore, mi devono mandare via dal campo con la forza prima di farli giocare”.

Quindi, per essere chiari, fermerebbe ora il campionato? “Il punto è, in ogni caso, che non dipende soltanto da noi. C’è una catena di comando ben precisa: autorità scientifiche, governo, CONI, FIGC, Leghe. In tempi di guerra, chi è al termine della catena deve dire: obbedisco. Vede, il mio compito è tenere tutto e tutti insieme. Ci sono due punti cardinali: la salute e la voglia di tornare a fare gol. Io metto la salute al primo posto: ieri, oggi e domani. Però su questa linea salute-gol, che poi si può tradurre in paura-speranza, bisogna ragionare. E bisogna ragionare d'insieme. Quindi mantengo aperta la possibilità di dire arriviamo fino in fondo e quando lo faccio, fermo restando che ci saranno da valutare i danni e i costi, è perché ci sono tante questioni da tenere in considerazione. Penso ai ricorsi, per esempio: sarebbe un dramma, dopo tanta sofferenza, che qualcuno per un punto in più si allontani dal sentire comune del Paese. E con questo non voglio sminuire che quel punto in più, quel piazzamento possa essere vitale per lui. Per questo, tra l’altro, c’è il pericolo che di ricorsi ve ne siano tanti da mettere in discussione comunque l’avvio del prossimo campionato”.

I toni si sono alzati su determinate questioni? "La cosa che mi ha colpito molto, esclusi quei pochi che pensano ad altro, che credono che il gioco sia quello del passato, è che quasi tutti sono dentro a questa tensione unitaria. Abbiamo portato, con l’aiuto di specialisti, proposte di risanamento dalla crisi, abbiamo offerto una riflessione scientifica e giuridica che ha dato elementi di conoscenza, che ha offerto spunti di riflessione, per non commettere errori. Poi, quando c’è la crisi la mente umana è scossa. Qui c’è in discussione la propria vita, quella dei propri cari: è facile perdere lucidità. Il mio compito, se posso, è un po’ quello di un medico: una governance deve farsi carico di questa difficoltà e provare a portare tutti al di là del deserto, evitando motivi di contrasto. Anche dando conforto umano, con un grande consumo di energie positive. Bruciate in maniera violenta, sino alle lacrime”.

Torniamo alla tensione con l’AIC. Questione stipendi: alcuni presidenti hanno minacciato di non iscrivere le squadre se non si arriverà a una riduzione degli stipendi? “Partiamo da un dato. Nel momento in cui c’è questa congiunzione di elementi, io ho cambiato carattere. Tutti dicono che ho un caratteraccio: in questa fase l’ho cambiato, me ne rendo conto. A parte qualche protagonismo, o qualche interesse, bisogna capire che in questa crisi umana la gente può perdere la bussola. E se uno lo fa, lo fa in modo diverso da due mesi fa: allora l’avrei mandato a quel Paese in 20 secondi. Ora non me lo posso permettere: c’è un dramma in corso e devo provare a tenere tutti insieme, per uscire da questa bufera. Io sento questo compito. Dico no a urlare, però capisco che lo si possa fare: un mese fa non l’avrei accettato, ma non siamo più in quella situazione. Alcuni leggono le vicende col vecchio metro. A loro dico: il Paese sta correndo il rischio di una rivolta sociale. C’è il rischio di un punto di non ritorno”.

L’intenzione è di arrivare a sbloccare le fideiussioni e farne a meno per l’anno prossimo? “Ancora una volta, partiamo da un fatto: le regole devono essere rispettate. Dobbiamo impedire che i banditi rientrino. Però non possiamo tenere bloccati 36 milioni di euro in una situazione di questo genere. Queste sono le cifre di cui si parla, se guardiamo alle fideiussioni di Serie B e C. Forse anche a 45 milioni con le integrative. In un periodo in cui siamo scassati, in cui le garanzie che le banche chiederanno saranno aumentate, non possiamo lasciare questi fondi bloccati. Dobbiamo fare un’azione di controlli e regole che alzino la barriera sulla base dell’esperienza compiuta, soprattutto in questa stagione. Però dobbiamo liberare questi soldi. E costruire soluzioni alternative: per esempio costituendo un fondo di garanzia che vada a coprire i rischi che potremmo avere, facendo una media delle cifre che normalmente servivano. Abbiamo deciso di farlo, così le garanzie ci sono. E poi alzeremo i controlli. Per esempio, si può prevedere che se non paghi non hai contributi. Bisogna mettere insieme un apparato che faccia una doppia operazione: mantenga il livello di sicurezza e liberi da pesi finanziari che se bloccati rischierebbero di ammazzare le società”.