Club dei 100 - Domenico De Simone: 5 promozioni e un paio di miracoli

26.05.2020 12:45 di Sebastian Donzella Twitter:    vedi letture
Club dei 100 - Domenico De Simone: 5 promozioni e un paio di miracoli
TMW/TuttoC.com
© foto di Luca Marchesini/TuttoLegaPro.com

Cinque campionati di Serie C vinti. Un paio di miracoli sportivi. Più di 400 presenze in carriera. Oltre 300 partite in terza serie. Tredici squadre in carriera, da Nord a Sud. Signore e signori, ecco a voi Domenico De Simone, tra i mediani più rispettati in categoria tra i due millenni. Che, in realtà, iniziò malissimo il suo rapporto con i professionisti: "A Ischia non fu una grande annata per me. Avevo 18 anni e sognavo di continuare la mia avventura nel Napoli di Lippi: da aggregato alla prima squadra mi ruppi il ginocchio e mi ritrovai improvvisamente in C in quello che allora era il mercato di novembre, parliamo del 1994. Il debutto tra i professionisti non fu affatto facile: contro l'Ascoli fu una partita di pura sofferenza, era il mio primo match dopo 5 mesi di stop. Quella stagione fu tutta un calvario: 3 presenze in tutto, fu durissima".

E poi, il primo miracolo sportivo. Forse il più grande. Ovvero Castel Di Sangro. Con De Simone che spera di salvarsi e si ritrova, a fine anno, ad aver vinto il suo primo campionato: "A raccontarla ancora oggi vengono i brividi. Io, che venivo da una manciata di presenze, mi ritrovai a essere il giovane più considerato in rosa da mister Iaconi. Giocai una ventina di partite in un campionato pieno di squadroni. Arrivammo ai playoff e li vincemmo, nessuno ci credeva. Rivedo ancora i vecchietti che ci aspettavano ai bordi delle strade nella Val di Sangro per applaudirci e complimentarci dopo la finalissima vinta con l'Ascoli. Forse oggi non si ha piena percezione di quello che abbiamo fatto: all'epoca già la nostra presenza in C1 faceva sorridere: si faceva molta economia per far quadrare i conti, ricordo che a Trapani, anche a causa dei tanti infortuni, ci presentammo in 14. Ma la società non ci fece mancare mai nulla".
Con un presidente d'eccezione, ovvero l'attuale presidente della FIGC, Gabriele Gravina: "Una persona in gambissima, ne capiva già all'epoca di calcio, sapeva quando e come parlare, conosceva i tempi dello spogliatoio, conosceva i leader. Seppur giovane, sapeva come fare il presidente".

Da un giallorosso all'altro, ma addirittura scendendo di categoria: "Il mister fece scelte diverse, probabilmente non ero pronto per fare la B ed ero ancora in prestito dal Napoli. Però non rimasi in C1 ma scesi addirittura in C2, in quel di Benevento. Ma la scelta fu azzeccata: da ragazzo diventai uomo. I primi due anni furono molto difficili, il terzo invece semplicemente straordinario. Riuscimmo a salire in C1 in una piazza che viveva per il calcio, una città che andava orgogliosa della sua squadra. Lì stavo proprio bene, misi anche su famiglia. Ricordo ancora le parole di un dirigente in un'intervista: disse che non ero più un calciatore del Benevento ma un cittadino di Benevento. Una cosa bellissima. Per andare via doveva accadere qualcosa di inaspettato". 

Che, alla quinta stagione, avvenne. Con il Cesena, neoretrocesso dalla B, che fece follie per portarlo in bianconero: "Il mio contratto era molto buono, la somma che arrivò ai giallorossi anche. Ma l'esperienza purtroppo non lo fu. Nonostante sia stata una delle rose più forti in assoluto della mia carriera, non arrivammo nemmeno ai playoff per problemi interni. Fu un vero peccato, ci credevo molto ma rimasi solo per sei mesi. Poi sparì dai radar calcistici e dovetti ripartire da Chieti. E fu una fortuna".

Nero e verde, i colori della rinascita di De Simone. Che incontra un mister destinato a cambiargli la carriera: Piero Braglia. "Divenni uomo suo, vincemmo due campionati insieme. Non con i teatini ma fu comunque un'esperienza bellissima. Andò così bene che un giorno, dopo la sfida contro l'Avellino, il patron irpino Casillo volle comprare sia me che Biancolino. Ecco perché non posso che ringraziare Chieti, mi cambiò la carriera in meglio in un anno e mezzo".

Da lì, come detto, i Lupi. Il ritorno in Campania. Il ritorno alla vittoria. E anche l'esordio in B: "Qualche giorno fa mi hanno inviato un video della promozione. La piazza del Comune era strapiena di persone, non ci sarebbe entrato più uno spillo. Era la seconda volta che conquistavo sul campo la cadetteria e stavolta ci giocai. Anche se fu un'annata molto strana. C'era Zeman come allenatore, collezionai nove tribune prima di scendere in campo". 

Per poco, però, al punto che a gennaio De Simone scese nuovamente in C. In un'altra avventura indimenticabile: "Dissi di sì al Catanzaro. E fu una scelta spettacolare. Ancora un promozione in B ma questa fu particolarissima perché arrivò all'ultimo, al fotofinish. Ricordo che l'ultima partita per me fu piena di emozione. Intanto perché ci stavamo giocando la B. Poi perché giocammo contro il mio Chieti. E, dulcis in fundo, perché la disputammo ad Ascoli dal momento che mezza Catanzaro si era spostata per vedere la partita. Arrivammo insieme al Crotone ma li superammo grazie agli scontri diretti".

Di nuovo la B, insomma: "Stavolta, però, avevo iniziato benissimo. Ma a gennaio dovetti andare via: non c'erano più i presupposti per continuare insieme. Ma livello societario, non certo per la tifoseria. Ero a un passo dall'Avellino: accordo triennale sul piatto, mancava solo la firma. Che non arrivò perché saltò tutto all'ultimo. All'ultimo minuto dell'ultimo giorno di mercato, la sorpresa: il mio agente mi chiese se voglio andare all'Hellas Verona. Domanda retorica, visto che i veneti avevano costruito una corazzata per salire in Serie A. E così mi ritrovai in quella che resta la mia esperienza professionale più alta, visto che non avevo mai lottato per un obiettivo del genere".

Sul campo, però, la A non arriva. Anche se l'emozione resta: "Bogdani, Dossena, Cassani, Behrami, Rosina, Adailton, Papa Waigo, Iunco: una squadra incredibile. Una rosa stellare. Peccato, però, per il risultato finale. Ci furono una serie di infortuni nei momenti topici della stagione, qualcuno ebbe problemi contrattuali, non tutto filò per il verso giusto. Ma ho ottimi ricordi, sia ben chiaro, anche se giocai a Verona solo per sei mesi".

E poi di nuovo uno dei grandi amori, il Catanzaro. Un ritorno, questa volta, non facile: "La stagione fu travagliata e culminò con la retrocessione in Serie C. Purtroppo non ho mai avuto un grande rapporto con la Serie B (ride NdR). Però almeno ritrovai un mostro come Giorgio Corona, uno che avrebbe potuto giocare in Serie A per decenni. Una fisicità mostruosa, letale come pochi".

Dopo l'ultima in B, la prima in Toscana. Con il vecchio mentore Braglia, in quel di Pisa: "Altro campionato vinto, altra cavalcata bellissima, altra piazza fenomenale. La mia miglior annata in carriera, ero maturo calcisticamente visti i 28 anni. Non rimasi in B perché il mister non trovò l'accordo con il direttore Petrachi, adesso alla Roma. Io avevo già dato la parola al mio allenatore e non me la sentii di tradirlo. Anche se non esser rimasto a Pisa è uno dei più grandi dispiaceri della mia carriera. I tifosi avevano un rispetto per me incredibile, mi chiamavano addirittura 'Il Professore'". Un rispetto che De Simone si era guadagnato sul campo e fuori: "In nerazzurro avevo scoperto di avere il menisco rotto. Il mister mi disse che non mi sarei potuto operare, non potevo farlo durante il campionato. Quindi giocai gli ultimi 3 mesi col ginocchio a pezzi, questo la gente lo sapeva e lo apprezzò tantissimo. Anche perché ero in scadenza di contratto e ogni volta rischiavo il crac definitivo".

Stessa regione, stesso mister. Risultati diversissimi: "A Lucca la squadra era stata costruita per vincere il campionato in carrozza. Poi scoprimmo di avere un presidente che promise tanto ma non mantenne nulla e che riuscì, in seguito, a farsi arrestare. Alla fine del girone d'andata ci giocavamo il campionato con la Salernitana, poi si scoprirono le magagne e si sfaldò tutto. Io però rimasi perché non volevo abbandonare il mister. Ancora oggi abbiamo un grandissimo rapporto anche se durante quell'anno gliene ho dette di tutti i colori (ride NdR). Ma ovviamente lui non ne poteva sapere nulla".

E così De Simone arriva nell'età degli "enta". A trent'anni resta al Nord e ritorna in Veneto. Destinazione Bassano: "Arrivai come un giocatore di punta ma, sono sincero, non feci bene perché venni meno io. La società era eccezionale ma non riuscimmo a vincere. In realtà dalla C2 alla C1 i giallorossi ci arrivarono tramite ripescaggi l'anno dopo. La ricordo come la società dai conti perfetti. Meritavano quella promozione sin dal modo in cui gestivano il club". 

Da una gestione all'altra, Potenza: "Situazione totalmente all'opposto. Un'annata folle, un altro miracolo sportivo. La squadra venne estromessa dal campionato per fatti accaduti nella stagione precedente. Ci ritrovammo a dover scendere in campo sapendo che il team sarebbe stato cancellato. Non facevamo classifica, insomma, ma potevamo togliere punti alle altre. Vi lascio solo immaginare le pressioni ma non ci importava. Avevamo un gladiatore alla guida e fu lui a gestire la situazione nel migliore dei modi. Parlo di Eziolino Capuano, un allenatore fortissimo, il migliore in C, col quale ho avuto l'onore di lavorare anche in questi anni. All'epoca ci prese da parte e ci disse che dovevamo essere uno spot per la moralità del calcio e che dovevamo fregarcene di quanto stava accadendo perché lui voleva la salvezza sul campo. Una situazione assurda: sapevi di dover retrocedere ma allo stesso tempo dovevi salvarti". 
Con il corollario di Foggia: "Non segnavo mai. Ne avrò fatti una decina in carriera, non di più. In Puglia i rossoneri devono vincere per evitare i playout. E noi gli facciamo gol. Anzi, io gli faccio gol. Una punizione, nemmeno così straordinaria. Sta di fatto che pareggiamo. Loro erano increduli, ricordo che lo stadio voleva massacrarci. Sportivamente parlando li capisco, erano riusciti a non salvarsi contro una squadra già estromessa. Ma volevamo dare un segno di professionalità forte, non avrebbe avuto senso disputare un'intera stagione senza stipendi per poi mollare alla fine. Mi ferii, durante quella stagione, il fatto che ci etichettarono come venduti quando facevamo punti ma noi giocavamo per la gloria e per una città che non ci aveva mai abbandonato".

Da lì la chiusura, molto più tranquilla, seppur con un finale triste come l'inizio: "A Giulianova ero partito con ottimi presupposti. Ma dopo un mese mi feci male. Un conto è infortunarsi a 20 anni, un conto a 35. Non era più semplice recuperare. L'ultimo anno fu un calvario e smisi di giocare. Ho chiuso come ho iniziato, con un infortunio. Ma son felice così".

E adesso? "Quest'anno ho fatto uno stage in Lega Pro, avendo vinto una borsa di studio come segretario amministrativo. Ho rivisto un bel po' di vecchie squadre e di vecchi compagni. Lo stage in teoria dovrebbe finire tra un paio di giorni ma sono fermo a casa da mesi a causa dell'emergenza. Speriamo si possa continuare. Nel frattempo ho ottenuto il patentino Uefa A, ho partecipato a diversi corsi. Idee ce ne sono tante, mi piacerebbe lavorare ancora con mister Capuano. Quest'anno a causa dello stage non l'ho potuto seguire ma ci sentiamo spesso, soprattutto dopo le partite. Abbiamo lavorato insieme a Modena e Rieti, peccato non esser riusciti a farlo, almeno finora, in una piazza meravigliosa come Avellino".