Dalla monetina alla Corea del Nord, i veterani della Pro Vercelli: Gianfranco Picardi e Franco Balocco

Torna Club dei 100, il longform di TuttoC che racconta le storie di chi ha fatto la storia del calcio italiano. I nuovi protagonisti sono due icone della Pro Vercelli.
04.12.2021 17:00 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
Dalla monetina alla Corea del Nord, i veterani della Pro Vercelli: Gianfranco Picardi e Franco Balocco

Si può entrare nella storia di una società per uno scudetto, ma anche per una monetina. Perché si è legato il proprio nome alla squadra della propria città, o perché venendo da fuori ci si è innamorati di colori inattesi. Perché, anche quando gli scarpini sono appesi al chiodo e la vita ti porta per altre strade, fai di tutto per mantenere viva la fiammella della passione, della storia, del comune sentire, dell’aiuto al territorio. È questo che si propone di fare l’associazione dei Veterani della Pro Vercelli, di cui fanno parte due icone dei Leoni piemontesi come Franco Balocco e Gianfranco Picardi.

Il “milanista” e il quarto di sempre. Storie diverse: milanese del 45’ Picardi, nato a San Germano Vercellese nel ’51 Balocco. Terzino di spinta il primo, libero il secondo. Picardi parte dal Milan, con Liedholm va a novanta secondi dall’esordio: “Ho giocato in rossonero dai tredici ai ventuno anni - racconta a TuttoC - all’epoca c’era il torneo De Martino, dove giocavano quelle che oggi sono le squadre B. A volte è questione di fortuna: venni convocato per una gara di Coppa delle Fiere, e dopo un minuto e mezzo si fece male il terzino titolare. Ma allora non c’erano i cambi”. Balocco, invece, con la Bianca Casacca addosso ci è praticamente nato. E poi l’ha vestita a lungo, tanto da essere il quarto giocatore più presente in assoluto nella storia della Pro: “Ho fatto tutta la trafila sin da ragazzino, poi tutte le categorie giovanili - ricorda a TuttoC - per arrivare infine tra i grandi. Undici campionati in prima squadra, dal ’69 all’80. Sono anche andato in panchina per un breve periodo, quando venne esonerato Fossati, ma non volevo fare l'allenatore”. Picardi, invece, a Vercelli ci è arrivato: “Dovevo andare al Monza, volevo andare lì anche perché in panchina c’era Gigi Radice con cui avevo giocato al Milan. La Pro mi chiamava tutti i giorni, quando mi sono fatto male in un’amichevole e il Monza non avrebbe aspettato, ho capito che era la scelta giusta. E non me ne sono mai dovuto pentire: sono stati gli anni più belli della mia vita”.

Lo spareggio della monetina. La carriera di entrambi, ma soprattutto di Picardi, è legata a un avvenimento storico. Che colpisce, perché a Vercelli si sono visti sette scudetti, ma nel cuore è rimasto anche e soprattutto un doppio spareggio per andare dalla D alla C. Ma facciamo un passo indietro: “Il primo anno - ricorda Picardi - siamo retrocessi per un illecito che non si è mai capito se fosse stato commesso, il secondo non andò bene. Il terzo conducemmo in classifica per tutta la stagione, poi ci raggiunse la Biellese”. Ecco, appunto: stagione 1970-71, la Pro domina il campionato, ma sul finale si fa raggiungere dai corregionali: “Loro erano più tecnici - aggiunge Picardi - noi più combattivi”. Per la promozione dalla Serie D si giocano due pareggi, il primo all’Alcarotti di Novara: “All’ottantesimo perdevamo 2-0 ed eravamo in dieci - continua Picardi - si era fatto male un compagno, non c’erano i cambi all’epoca. Lo stadio era strapieno, a pochi minuti dalla fine tanti vercellesi sono andati via e hanno saputo solo dopo quello che è successo”. La Pro Vercelli, invece, rimonta: al novantesimo il risultato è di 2-2. Si va ai supplementari: “E passano di nuovo in vantaggio loro, vanno sul 4-2. Noi riceviamo un’espulsione, continuiamo in nove”. Finirà 4-4, si dovrà giocare un altro spareggio, questa volta al Comunale di Torino: “I giornali ne parlarono tantissimo, la rimonta era stata clamorosa e c’era gente che ancora non ci credeva. Allo stadio c’erano 30-35 mila persone quel giorno”. La partita è più equilibrata: la Pro va sull’1-0, la Biellese pareggia, si va ancora ai supplementari. Stesso schema: 2-1 per le bianche casacche, 2-2 per la Biellese. “Non c’erano i rigori - spiega Picardi - così bisognava tirare la monetina. Il capitano Bruno Rossi si è ricordato del suggerimento di un suo amico prete e ha scelto di conseguenza. È andata bene, abbiamo vinto noi e sono partiti dei festeggiamenti inauditi”.

Come aver vinto il campionato. La Pro Vercelli va in C: un traguardo secondario, appunto, per chi ha più di un tricolore in bacheca. A distanza di anni, però, l’evento resta memorabile e ricordato attraverso le celebrazioni. “C’è che gente, anche più importante di chi giocava in quella squadra, che magari ha fatto la B, e a Vercelli è ricordata in misura inferiore rispetto a noi”, prosegue Picardi. A giugno si sarebbe dovuto celebrare il cinquantennale, ma è stato rinviato, si festeggerà l’anno prossimo, a portare avanti la memoria - di questo e di tanto altro - ci pensa l’associazione veterani che Balocco presiede: “Io quelle due partite non le ho giocate - interviene - avevo vent’anni, anche se avevo esordito già da due anni. Anche se devo ringraziare l’allenatore dell’epoca per avermi lanciato, insomma, ho giocato molto poco in quel periodo”. Dallo spareggio della monetina in poi, inizia l’avventura della Pro Vercelli in C: “Sono arrivati allenatori importanti - dice Balocco - da Hamrin a Sassi a Fornasaro a Mazzia”. Con Sassi inizia a vedersi qualcosa delle novità tattiche che il calcio italiano sviluppa in quel periodo: “Oggi è tutto diverso - prosegue Balocco - noi con lui iniziammo a lavorare sulla mezza zona, sul fatto che il libero potesse partecipare di più all’azione e non rimanere sempre lì indietro a chiudere le azioni avversarie. Era un calcio diverso, intendiamoci: oggi vedo giocatori che fanno cose impressionanti rispetto a quelle che facevamo noi, soprattutto nel combinare tecnica e velocità. Noi ci allenavamo 3-4 volte a settimana, insieme al calcio si lavorava, io per esempio ho fatto per anni l’insegnante di educazione fisica”. Il miglior piazzamento di quegli anni, siamo in pieni anni ’70, il terzo posto firmato da mister Fornasaro: “Tra l’altro - aggiunge Balocco - mi ricordo di una partita con la Triestina come quella di domani dove c’erano otto-nove mila persone allo stadio. Era un altro sport, era davvero tutto diverso rispetto a oggi”. Era anche più romantico: “Molto di più - interviene Picardi - io sono andato a vedere la Pro Vercelli di recente, in casa della Pro Sesto. C’erano duecento persone. Noi quando andavamo a giocare in trasferta vedevamo mille vercellesi sugli spalti. Per carità, si era creato anche un legame particolare, ma era tutto davvero diverso. Era più artigianale, ricordo che per mitigare il campo gelato si spargeva la pula del riso. E magari si limavano i tacchetti, per togliere un po’ di cuoio dalla copertura del chiodo. Se sfioravi qualche avversario lo aprivi”.

Calcio e politica. Da Vercelli alla Corea del Nord. Del periodo, restano anche i personaggi: “Io ricordo il cavalier Ressia, un dirigente che gestiva tutto, una persona straordinaria - dice Picardi - anche se non c’erano soldi. Quando siamo andati in C è arrivata la Democrazia Cristiana, nella persona di Arnaud (Gian Aldo, deputato DC per cinque legislature, ndr). Lì è cambiato un po’ tutto, anche se il gruppo negli anni è poi rimasto unito”. Per la politica, il calcio era - ma del resto lo è tutt’oggi - un aspetto centrale delle vita del Paese. A confermarlo, anche il racconto di Balocco: “All’epoca alla guida della nazionale di Serie C c’era Bearzot, io ero convocato, facemmo una tournée in Corea del Nord. Venne organizzata per merito del Partito Comunista, sembrava impensabile poter andare a giocare in uno Stato così autoritario, repressivo. È un’esperienza di cui ho un bel ricordo, anche se forse l’abbiamo vissuta un po’ come turisti, io come gli altri compagni. Certo, abbiamo percepito in qualche modo la situazione che regnava nel Paese, ma eravamo ragazzi di venti-ventuno anni e non ci siamo resi conto di quello che era in effetti il regime coreano, tranne che in qualche occasione. Per esempio in hotel eravamo blindati, facevamo le foto e c’erano le guardie col fucile. Ci contavano quando entravamo allo stadio, se provavamo a regalare le caramelle ai bambini scappavano via”. Racconti d’antologia, quella che mette insieme agli scudetti una monetina, che porta Vercelli in Corea del Nord.