Ancora le seconde squadre? Un'idea fallimentare che viene riproposta ciclicamente come soluzione ai tanti problemi del calcio italiano

04.05.2022 00:00 di Tommaso Maschio   vedi letture
Ancora le seconde squadre? Un'idea fallimentare che viene riproposta ciclicamente come soluzione ai tanti problemi del calcio italiano
TMW/TuttoC.com

Come ormai ciclicamente accade verso il termine della stagione da qualche anno si torna a parlare di quel progetto fallimentare che risponde al nome di “seconde squadre”. Un progetto nato male, soprattutto perché imposto quasi senza discussione alcuna, proseguito peggio, con una sola squadra a puntarci, e che è da sempre mal digerito dai tifosi delle piccole squadre che rischiano di vedersi privare della terza serie dall’arrivo – più ventilato che reale – di tanti piccoli cloni plastificati delle grandi di Serie A, spesso senza un campo proprio e certamente senza tifosi visto che non si capisce perché qualcuno dovrebbe affezionarsi alla seconda squadra quando può tifare la prima.

Se ne torna a parlare alla luce dell’ennesimo esordio di un giovane dell’Under 23 bianconera in prima squadra, Fabio Miretti. Non una prima volta, né una novità anche se alla fine di tutti quelli che hanno fugacemente esordito con i grandi ben pochi sono rimasti in pianta stabile a Torino con tanti altri che sono stati mandati a crescere in Serie B. Eppure si diceva, e si dice, che con le seconde squadre il passaggio in prima squadra sarebbe stato diretto e senza quei prestiti a cui sono costrette le squadre che decidono di non adottarlo. Sul piano tecnico quindi i benefici al momento sono risibili, mentre sotto il profilo economico sicuramente più rilevanti anche se le plusvalenze legate ai giovani (delle seconde squadre e non) alimentano più di un sospetto nonostante l’ultima inchiesta sia andata a carte quarantotto. Se ne parla anche per la limitazione imposta della UEFA ai prestiti che non permetterà più a certe squadre di avere un numero pressoché illimitato di giocatori sotto contratto da mandare a giocare lontano per farli crescere, tessere alleanze e magari incassare qualche buona plusvalenza da mettere a bilancio. Senza contare che se davvero fra questi giovani che sono sotto contratto ce n'è qualcuno di talento lo si può lanciare in prima squadra direttamente come accade spesso e volentieri all'estero o come accaduto all'Atalanta con Scalvini che è passato dalla Primavera alla prima squadra, senza bisogno di step intermedi.

Il contributo da oltre un milione di euro richiesto alle seconde squadre per iscriversi al torneo è poi un falso problema, non è credibile che società che valgono centinaia di milioni, che muovono cifre importantissime ogni sessione di mercato o quasi, possano farsi spaventare da una cifra così irrisoria da iscrivere a bilancio. Cifra fra l’altro necessaria a compensare la mancanza di entrate al botteghino visto lo scarso pubblico che portano con sé le seconde squadre quando vanno in trasferta nonostante il blasone, di riflesso, che si portano dietro.

Che 60 squadre in Serie C siano troppe e che si rischi ogni anno di assistere a estati in cui si cerca di coprire i vari buchi di organico è cosa risaputa. Ma cercare di sostituire quelle più claudicanti con squadre finanziariamente solide, ma totalmente di plastica e senza radicamento, non può essere la soluzione. Soprattutto per un campionato che vuole essere fortemente legato ai territori. Meglio dare una sforbiciata con il ritorno a due Serie C (che poi potranno essere chiamate come le si vuole) che veda un girone nazionale da 20 squadre e due semiprofessionistici anch’essi da 20 squadre che possano permettere un salto meno arduo fra dilettanti e professionisti. Senza bisogno di scomodare seconde squadre che ben poco hanno da dire, e da dare, al calcio italiano.