Seregno, è meglio il silenzio: parola ai tifosi, l'unica voce che conta. La C per l'Ucraina: non serve essere "grandi", per essere grandi

14.03.2022 00:00 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
Seregno, è meglio il silenzio: parola ai tifosi, l'unica voce che conta. La C per l'Ucraina: non serve essere "grandi", per essere grandi
TMW/TuttoC.com

Nelle ultime settimane, nostro malgrado, siamo tornati a occuparci del caso Seregno. A prescindere da come finirà, da chi avrà ragione e chi avrà torto, una delle vicende più squallide che la Serie C abbia vissuto negli ultimi anni. Lo abbiamo fatto perché riteniamo che sia giusto tenere una luce accesa anche su questa storia, nei modi che abbiamo ritenuto i più giusti. Dando voce a entrambe le parti in causa, nei termini opportuni e senza adagiarci sulla versione di nessuno. Non siamo giudici ma cronisti: a noi spetta raccontare quello che succede, senza la pretesa di avere la verità tra le mani, soprattutto in una vicenda come questa che è andata così oltre il calcio. Qualcuno ha promesso querele e anche qualcosa in più: vedremo. Nel frattempo, riteniamo che dopo tante parole il silenzio sarebbe la cosa più giusta. E di conseguenza lasciamo la parola alle uniche persone che contano davvero: i tifosi.

Ci hanno scritto Matteo, Davide, Alberto e Omar. Tutti sostenitori della formazione brianzola. L'editoriale di oggi, di conseguenza, è tutto - o quasi - loro. 

"6 giugno 2021.

Il Seregno di nuovo in Serie C, dopo 40 anni. Una gioia immensa per la città e per i tifosi, dai quali oggi va ancora l'infinito grazie alla precedente proprietà per averci riportato nel professionismo. A distanza di soli 9 mesi viviamo una situazione completamente opposta, ai limiti del surreale. Alla gioia e all'entusiasmo di quel 6 giugno sono subentrati sconforto e delusione, settimana dopo settimana. Si è parlato solo di minacce, violenze, tribunali, mai di vicende riguardanti il campo. Una stagione, quella del ritorno in C, ad oggi lontanamente inimmaginabile da come la sognavano i tifosi e tutti coloro che amano la maglia azzurra. Seregno, e in particolar modo i suoi tifosi (un pubblico numericamente ristretto ma pieno di passione per i colori azzurri, dal più giovane al più anziano) hanno sopportato fin troppo quest'anno; vorrebbero solamente serenità e chiarezza sul futuro, e che si tornasse davvero a parlare solo di calcio e di sport, cosa che da queste parti ormai manca da troppo tempo. Seregno non è violenza, non è gomorra, niente di tutto ciò che di brutto gli è stato accostato. Il 1913 Seregno è passione calcistica della sua gente e dei suoi tifosi, che vorrebbero solamente gioire per le imprese della propria squadra, e festeggiare una salvezza che ad oggi varrebbe quasi quanto uno scudetto dopo tutto ciò che è successo. Noi C crediamo, alla società e alla squadra si chiede solamente questo, di continuare questo sogno del professionismo insieme ai tifosi.

Forza Seregno".

Al forza Seregno, senza prendere posizioni nella corsa per non retrocedere, ci uniamo anche noi, nel senso del rispetto per chi queste vicende le ha subite, senza poter dire la propria. Ci auguriamo che avergli dato voce sia un piccolo, insignificante, ristoro. E chiudiamo qui. Anzi no, perché in giorni così brutti - nei quali in una città del nord vengono offesi in un colpo solo Napoli e le migliaia di morti per la guerra in Ucraina - la Serie C fa il suo. L'iniziativa più bella e significativa del calcio italiano è quella della Juventus, che ha portato nel nostro Paese ottanta profughi. I bianconeri popolano, con l'Under 23, la terza serie, ma non sono una squadra di C, è banale dirlo. Ciò non di meno, nel "nostro" campionato tanti hanno fatto il proprio, nel loro piccolo: il Picerno su tutti, aiutando sedici bambini ucraini ad arrivare in Italia. Ma anche l'Avellino e la Pergolettese con la raccolta di beni; Feralpi, Carrarese, Entella con le raccolte fondi; Pro Sesto e Potenza con la raccolta di medicinali. E l'elenco non è esaustivo, ovviamente: ne dimentichiamo tante, troppe. Ma già così si vede quanto la solidarietà corra da nord a sud lungo l'Italia. La conferma che non bisogna essere "grandi", per essere grandi.