Giugliano, Capuano: "Ho schifato questo mondo, smetto quando voglio io"
Lunga intervista al quotidiano Il Mattino per il tecnico del Giugliano Ezio Capuano, ripartito dalla formazione gialloblù dopo l'ultima esperienza poco felice a Trapani.
Il suo calcio sembra essere sempre attuale...
"Il mio calcio è come “Il sabato del villaggio” di Leopardi".
Partiamo subito con marce altissime.
"Non esiste la gioia ma l’attesa della gioia. Quando si materializza finisce lì. Se vai in fondo è l’attesa che ti fa vivere la gioia".
E lei cosa aspetta ancora?
"Il calcio è passione unito al sentimento. Non è un lavoro come tanti. Il mestiere di allenatore è come quello del prete: devi avere la vocazione e l’entusiasmo da trasmettere alla squadra e alla città. Quando manca devi smettere perché diventi piatto. E io non voglio diventarlo mai".
Quindi a 60 anni non ha alcuna intenzione di smettere?
"Smetto quando voglio io. Non quando lo vorrà qualcuno al mio posto".
Sembra una frecciatina.
"Non sembra: lo è. Non auguro a nessun mio collega quello che è successo a me. Ho schifato questo mondo ma non potevo darla vinta a dei vigliacchi “mocciosi” prestati al calcio. Non posso definirli calciatori né uomini".
Il riferimento è al licenziamento avvenuto a Trapani lo scorso anno su richiesta dei calciatori?
"Assolutamente. Hanno firmato un pezzo di carta sotto dettatura. Lo dice il collegio arbitrale che ha rigettato l’infinità che ho subito"
È stato fermo da quel momento.
"Non avrei accettato alcuna squadra prima della sentenza. E per 10 mesi sono stato zitto. Io, esonerato per giusta causa: una cosa che nel calcio non si era mai sentita prima. Ho portato questo nome con dignità per 36 anni di carriera e non mi fermo certo adesso".
Così è ripartito dal Giugliano.
"Sono arrivato qui e mi è tornata la voglia grazie a uno spogliatoio di uomini. Il mio percorso è fatto di passione e adrenalina. Mi sento ancora all’inizio e non al crepuscolo. Posso trasmettere le mie idee e ho la stessa voglia del primo giorno".
Torniamoci a quel primo giorno.
"Sono di Salerno e da ragazzino giocavo nel Vietri Raito. Con le 120 lire che mi davano per la filovia da Salerno a Vietri io compravo le scarpe nuove. Solo chi ha vissuto la grande sofferenza può conoscere la grande gioia. Studiavo al liceo classico e ho dato anche qualche esame di giurisprudenza, ma mi piaceva giocare a calcio".
A casa come la vivevano?
"Non bene. Infatti dicevo che andavo a studiare da un amico, ma in realtà lanciavo la cartella dalla finestra e scappavo agli allenamenti. Mio padre lo sapeva: un po’ si arrabbiava, ma poi lo vedevo sugli spalti di nascosto che veniva a seguire le mie partite".
Poi lei è passato dal campo alla panchina.
"Ho avuto un brutto incidente. Mi sono ritrovato in ospedale con il gomito in trazione. Non ho più ripreso a giocare e grazie a Silvano Bini che mi portò a Empoli ho iniziato la carriera da allenatore".
Ha allenato ovunque, ma soprattutto al sud.
"Perché la passione è qui. Altrove è impossibile trovarla".
Negli anni è diventato un allenatore virale.
"Ed è un paradosso visto che non ho i social e ho iniziato a usare Whatsapp solo da qualche anno. L’aspetto mediatico mi ha dato ma mi ha tolto altrettanto. Ha sminuito il valore del tecnico".
Che invece lei ci tiene sempre a difendere.
"Nessuno ha lanciato e valorizzato più giocatori di me. Chiedete ai presidenti quante plusvalenze ho fatto fare loro negli anni".
È un allenatore certamente folkloristico...
"Dopo una partita dovrei stare in un frigorifero per 4 o 5 ore. Difficile poterlo spiegare. L’allenatore è un essere umano. Forte e debole allo stesso tempo. Per questo capisco Conte e le sue ultime parole. È un grande allenatore. Così come grandissimo è Allegri, un amico dai tempi del Pescara di Galeone".
Delusioni?
"Poche, ma certamente ho sbagliato a tornare a Potenza, dove sapevo che con il presidente Caiata non sarebbe andata bene. Ma ero tifoso del Potenza e ho fatto prevalere il cuore".
Ha mai perdonato quel suo giocatore che all’Arezzo “rubò” l’audio di un suo sfogo nello spogliatoio?
"Quello che accade in uno spogliatoio dovrebbe essere sacro. Chi lo porta fuori è un vigliacco".
Ci salutiamo con uno slogan?
"Il voler vincere è un desiderio di tutti, sapersi preparare alla vittoria è un privilegio di pochi".
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