FASE 2? COME LA FASE 1, MA A MANICHE CORTE. IL CALCIO DEVE ASPETTARE IL 18 MAGGIO. PLAYOFF SOLO PER RICCHI? LA FINE DELLO SPORT
TMW/TuttoC.com
Andiamo con ordine. Non ci abbiamo capito niente: dal 4 maggio potremo mettere le maniche corte ma perché farà caldo. Anche andarci a fare una corsetta. Andare a trovare un amico o la propria fidanzata no, ma potremo rivedere uno zio con cui magari non ci parliamo da 20 anni. Non è la sede per fare critiche politiche, e chi vi scrive ha (quasi) sempre ritenuto inevitabili le limitazioni decise dal governo, ma l'impressione data dall'ultimo Conte è che sia stata la conferenza stampa più confusionaria dall'inizio della crisi. Forse manca una strategia: qui viviamo e scriviamo di pallone, ma la vita ci interessa eccome, e non ci abbiamo capito niente. Veniamo al calcio, appunto.
Dovrà aspettare. Sia Conte che Spadafora hanno parlato in maniera alquanto chiara di "sport individuali". Del resto, nella bozza di decreto che abbiamo avuto modo di visionare sono menzionati gli allenamenti degli atleti delle "discipline sportive individuali". Ora, le parole sono importanti. E il calcio non è una disciplina sportiva individuale. Ne dovrebbe discendere, a rigor di logica, che dal 4 maggio i calciatori professionisti potranno andare a fare un po' di jogging al parco, ma non potranno recarsi presso il centro sportivo della propria società. Questo a meno di improbabili giravolte verbali, in un contesto nel quale ci sembra che gli esponenti del governo non abbiano per molti aspetti chiara la realtà delle cose. Ci arriviamo. Nel frattempo ci chiediamo come prenderanno le società questa norma, che ci pare piuttosto evidente e se vogliamo anche contraddittoria: Cristiano Ronaldo nel parchetto sì, Cristiano Ronaldo alla Continassa no. Mah.
Il calcio deve aspettare. Quanto? Non si sa. La data del 18 è nelle parole di Conte, ma non nel decreto. Numeri al lotto, o quasi. A proposito, il lotto e le scommesse tornano. Ma non ditelo in giro: la pubblicità resta vietata e lo sport perde altri soldi per pura e semplice ipocrisia. Torniamo a noi: la data del 18. È una speranza, forse anche qualcosa (poco) in più, ma chi vorrebbe programmare più ad ampio raggio non sa come muoversi. Certo, anche il calcio ha le sue grandi e gravi responsabilità in questo bel pastrocchio di indecisionismo: aspetta che il governo gli dica che proprio non si può andare avanti, anziché ragionare concretamente su come affrontare uno stop che sembra sempre più inevitabile. Con la ripresa di fatto fissata (almeno) al 18 maggio, tornare in campo a inizio giugno diventa una pia illusione.
La realtà dei fatti, si diceva poco sopra. Da queste parti stiamo apprezzando pochissimo la caparbietà con la quale Serie A e FIGC inseguono a tutti i costi la ripresa della stagione, anziché pensare a un piano B (A?) concreto per quando ci diranno che non si può proprio ripartire. La UEFA non aiuta, certo: come ha ben scritto Raimondo De Magistris su TMW, Ceferin ha tolto di mezzo l'unica soluzione sensata per non buttare all'aria la stagione, quella dell'anno solare. Tutto ciò premesso, quando il ministro Spadafora afferma che il calcio non è l'unico sport mente sapendo di mentire. A livello economico, il calcio è l'unico sport d'Italia. Non ne facciamo una questione di passione. Chi vi scrive segue e/o pratica anche tennis, nuoto, sci, rugby. Ma non facciamone neanche una questione di frasi fatte e banalità: aprite le prime 20 pagine di un quotidiano sportivo. Accendete una TV settoriale. Confrontate il numero dei siti web dedicati al calcio, con la somma dei portali dedicati a tutte le altre discipline. E poi abbiate il coraggio di dirci che, se si parla di sport, il calcio non sia l'unica vera priorità di questo governo. In sintesi: va bene mettere la salute al primo posto rispetto all'economia, va bene ridimensionare le roboanti dichiarazioni di chi nel calcio ha interessi (non vale l'1% del PIL, per esempio), ma non va bene far finta che sia un passatempo. E, aggiungiamo al dato economico, anche uno dei (pochi) leganti attorno a cui si è costruita la nostra identità nazionale dal secondo dopoguerra a oggi. Chiediamo serietà e programmazione al calcio, ma le chiediamo anche a chi ci governa.
Veniamo alla Serie C. Non ripartirà, e questo ormai l'abbiamo capito. La bandiera bianca è già pronta, anche se nessuno vuole farla sventolare per ottime ragioni. Come concludere la stagione? La discussione cresce, anche perché dalla vecchia concordia si è passati alle fazioni. Tutti d'accordo solo finché pensano di custodire il loro orticello: vecchia storia. In ogni caso, sull'anno solare ci siamo già espressi, ma non si va in quella dichiarazione. Retrocessioni dalla B e verso la D sono legate. Tutto passa, per la cronaca, da una riforma complessiva: se pensiamo che dopo tutto questo si iscriveranno alla prossima stagione altre 100 squadre professionistiche vuol dire che siamo appena sbarcati da Marte come Kunt. Ne parleremo in altri appuntamenti. Il tema di discussione più caldo in questo momento è quello della quarta promossa in Serie B. La proposta di chi scrive? Non ci deve essere. Se ci fosse necessità, si utilizzi il meccanismo e i criteri dei ripescaggi. Ci saranno 28 ricorsi? Pazienza, non possiamo vivere nel timore delle aule della giustizia sportiva. Anche perché le attraverseremo comunque, qualunque sarà la soluzione. Il sorteggio ha fatto discutere: meglio di altre, anche se continua a sembrarci un po' bizzarra come idea. C'è chi propone la vincente della Coppa Italia di categoria. Ma da regolamento ha meno titoli rispetto alle seconde qualificate nei gironi: non ha senso. C'è chi immagina i playoff svolti solo da quelle società che hanno i soldi per poter rispettare il protocollo che sarà stilato dalla FIGC (quello attuale è stato bocciato dal governo). Ecco, su questa conviene soffermarsi: no, per carità no. Chi li propone pensa, per carità legittimamente, solo ai soldi e non al calcio. Che senso avrebbero dei playoff giocati a porte chiuse, estromettendo squadre più povere che in questo momento sono però avanti in classifica, in favore magari di altre soltanto più ricche, ma che hanno sbagliato la stagione? Sarebbe il trionfo dei portafogli sulla passione, sarebbe mortificante per qualsiasi criterio di merito sportivo e nello specifico calcistico, di classifica. Ecco, sarebbe la morte dello sport. Evitiamolo.
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