LO STIPENDIO DI CRISTIANO E LO STIPENDIO DI GIOVANNI. LA SERIETÀ DELLA LEGA PRO E LE FAIDE DELLA SERIE A

23.03.2020 00:00 di Ivan Cardia Twitter:    vedi letture
LO STIPENDIO DI CRISTIANO E LO STIPENDIO DI GIOVANNI. LA SERIETÀ DELLA LEGA PRO E LE FAIDE DELLA SERIE A

Giovanni ha 31 anni. Era un ragazzo molto promettente, non è mai sbocciato del tutto e magari ha anche fatto qualche scelta sbagliata. Da quando ha 16 anni vive in una città diversa da quella della sua famiglia. Ha fatto tante rinunce, ha avuto la possibilità di guadagnare grazie al suo sogno. Giovanni è un calciatore professionista da quando aveva 19 anni. Vive in affitto, ha due figli, una macchina che paga a rate. Giovanni guadagna più o meno 1800 euro al mese e a volte va in panchina, ma ogni tanto potete vederlo in campo in TV. Giovanni fa il calciatore, in Serie C. Giovanni è un nome di fantasia, ma rappresenta tanti calciatori di terza serie. Ragazzi privilegiati perché possono guadagnare inseguendo un pallone, hanno realizzato quello che per tanti è un sogno. Ma non hanno lo stipendio di Cristiano Ronaldo, e nemmeno quello di un giocatore medio della Serie A.

Ecco perché, quando si parla di tagliare gli stipendi ai calciatori, non si deve pensare solo e soltanto ai Paperoni del massimo campionato. I quali, tra l’altro, hanno tutto il diritto di intascare le cifre che intascano. Almeno, per il mondo che abbiamo conosciuto fino a oggi. Ecco perché, mentre il nostro calcio si affanna, come tutto il Paese, a cercare soluzioni per la crisi economica che ci apprestiamo ad affrontare, è doveroso tenere accesi i riflettori sui protagonisti di questo sport. C’è Cristiano Ronaldo, e c’è Giovanni. Entrambi, peraltro, hanno dato la disponibilità a venire incontro alla propria società, perché sanno che da tutto questo potremo uscirne soltanto in un modo: insieme. Distanti ma uniti, come si legge di questi tempi. Ma non potranno farlo nella stessa maniera, né in termini assoluti né in termini relativi. E una percentuale non è una percentuale per tutti. Ci sono i ricchissimi, e ci sono lavoratori normali. Non parliamo poi degli altri dipendenti delle cento società professionistiche italiane. Quando riflettiamo sui tabù che non devono esserci, partiamo da Giovanni, che soffre ed è spaventato come tutti noi. E mettiamo in conto che certe misure saranno necessarie, che nessuno si tira indietro. Ma gli ultimi, anche nel loro status di privilegiati, non potranno aiutarci a uscirne come i primi.

Perché abbiamo parlato di Giovanni? Perché toccare i soldi dei calciatori sembra diventata una priorità. Come se, mentre ancora nessuno sa quando ne usciremo e quanto ci costerà, sia davvero possibile stimare, contare, tagliare. E in queste righe non leggete un attacco ai club. Capiamo le loro motivazioni: molti (la maggioranza) sono seri, onesti, hanno già pagato quanto dovuto e sono soltanto pronti a riflettere davvero, tutti insieme, su come faremo a venirne fuori. Abbiamo raccontato tante volte la loro sofferenza, umana ed economica. Non la lasciamo da parte in questi momenti, vogliamo soltanto che il dibattito avvenga senza pregiudizi, senza preconcetti. È interesse di tutti che il sistema regga, e infatti tutti sono pronti a fare la loro parte. Ma parliamone insieme, senza scontrarci e senza preclusioni, da una parte come dall’altra, a capire le ragioni dell’altro. In modo serio.

Serio come è stata la Lega Pro, a cui dobbiamo fare i complimenti, dovuti come le critiche che quando necessario non abbiamo lesinato. La Serie C si è dimostrata da Serie A, perdonateci un po’ di confusione. I 60 club di C si sono fermati prima di tutti. Hanno trovato due volte un accordo con l’assocalciatori per sospendere le proprie attività sportive. Fino al 20 marzo e poi fino al 3 aprile. E non pensiate che in Serie C non vi siano presidenti che non tremino, al pensiero che non si possa tornare in campo. Hanno avuto la forza e la serietà di mettere in secondo piano, almeno per un po’, i propri interessi economici e anche sportivi. Di mettere prima la salute. Di mandare un messaggio unico, corale. Quello che proprio non riesce alla Serie A, quella “vera”. Che, con doverose e per fortuna anche numerose eccezioni, offre nel suo complesso uno spettacolino imbarazzante dietro l’altro e litiga al suo interno giorno dopo giorno, incapace di mettersi d’accordo in un momento tragico per il Paese, nel quale hanno chiuso tante attività che non sanno se domani potranno riaprire. Nel quale non riusciamo a contare i morti e non ci sono più posti per le bare. A volte basta guardare in basso, per trovare un esempio più alto.