ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Carlo Mazzone

Sapendo di poter apparire blasfemi per parlare di Carlo Mazzone abbiamo bisogno di qualcosa di forte, un po' come il suo carattere. E pensando a lui, al "Sor Magara" romano de Trastevere, romano e romanista fino al midollo, abbiamo subito fatto correre lo sguardo a quel suo urlo da indemoniato dopo il 3-3 di Roberto Baggio in quell'altrettanto famoso Brescia-Atalanta, mettendolo al confronto con "L'urlo" uno dei quadri più famosi che la storia dell'arte ci ha regalato, dipinto da Edvard Munch, norvegese che ha avuto la sfortuna di nascere in un'epoca sbagliata.
Mettere insieme Mazzone ed un quadro sappiamo che è qualcosa di indigesto: ma provate per un istante a mettere a paragone uno dei fotogrammi del suo urlo alla tifoseria dell'Atalanta, al quadro del pittore norvegese e vedrete più analogie di quante ce ne possano essere.
Carlo Mazzone è questo e tanto tanto altro ancora: una vera leggenda del calcio italiano. Giovanni Trapattoni ha vinto tantissimo con il Milan da giocatore e con la Juventus da allenatore, mentre il tecnico romano non ha avuto questa fortuna, però ha saputo costruirsi una carriera fatta di grinta, coraggio e passione. Quando si parla di Carlo Mazzone si cita la sua genuina veracità, fatta di gesti eloquenti. Carattere da generale, perché con i giocatori devi essere una spanna sopra, altrimenti diventi loro schiavo. E se dopo più di mille panchine i protagonisti del campo parlano bene di lui, significa che oltre la scorza dura, hanno apprezzato le qualità dell'uomo.
In fondo le salvezze e i suoi successi, il "Sor" Carletto se li è costruiti dalle fondamenta: andando a cementare i gruppi dove ha lavorato, dando alle sue squadre la sua anima. Il successo dei suoi ragazzi era anche suo. Senza sarebbe stata un'impresa improba.
Vecchio stampo, il "Sor Magara" ha sfoggiato in questa intervista esclusiva concessa a TuttoLegaPro.com delle massime degne del miglior Voltaire o del Giuseppe Gioacchino Belli, poeta romano che con i suoi sonetti ha reso il romano non solo un dialetto ma un modo di esprimersi nel linguaggio comune, sdoganandolo dalle borgate.
Il calcio italiano deve molto a Carlo Mazzone: ha reso la sofferenza e il sacrificio meno brutti di quanto possano apparire. Ha portato la cosiddetta "classe operaia" a banchettare con il potere senza abbassare la testa. C'è il rammarico di uno scudetto non vinto, ma non gli pesa questa mancanza. Noi invece alle volte immaginiamo un Carlo Mazzone ebbro di gioia che festeggia un campionato vinto, ma è lui che spegne il nostro pensiero in questa intervista, esprimendo un concetto che è un po' il suo mantra: in fondo qualcosa per il calcio italiano lui l'ha fatto. E come dargli torto. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, cantava De Gregori qualche anno fa.
Nella sua lunga carriera, il "Sor Carletto" ha allenato ovunque e dovunque è stato, il ricordo che hanno dell'uomo, sovrasta quello del professionista. Una dote rara nel calcio di oggi, dove la ricerca dell'immagine lascia poco spazio alla fantasia e all'emozione.
In questa intervista il tema principale è l'Ascoli, portato alla ribalta nazionale dalla C alla A. Ne parla con orgoglio di questa sua esperienza nella squadra marchigiana e ancora con parecchia emozione ci narra del suo rapporto con Costantino Rozzi. Quasi un secondo padre per lui.
Aggettivi per definire Mazzone non ce ne sono: tutti e nessuno possono rappresentarlo. Diplomatico nel parlare del calcio attuale, perde quella sua aurea di super partes quando si parla della Roma. In quel frangente l'anima del tifoso chiede spazio e la voce assume un tono più verace, divenendo ancora più bella quando le esclamazioni diventano romanesche e anche lui sorride di questi pensieri così genuini. L'età avanza, ma il senso dell'ironia, quel suo "ghigno" non si perdono con l'anagrafe, anzi rimangono intatti.
Mister, chi è il nuovo Mazzone secondo lei?
"Eh no ragazzi, queste non sono domande che vanno poste a me. Dovete dirle voi certe cose, non io. Guarda: lo chiedo a te: chi è il nuovo Mazzone?".
Antonio Conte?
"E' bravo, sta vincendo tanto ragazzi. E lo fa in un ambiente non facile. Vincere alla Juventus lo fanno solo quelli bravi. Io ho avuto la fortuna di allenarlo e devo dire che sta dimostrando tutto il suo valore. Tu pensa che Boniperti mi chiese informazioni su di lui: voleva sapere le sue condizioni fisiche e psicologiche prima di portarlo alla Juventus".
Con lei il viaggio è appena iniziato: un ricordo della sua infanzia.
"L'officina meccanica al Gianicolense dove mio padre lavorava. Quanti problemi gli ho dato e quanti grattacapi. Non sai quante volte ho guidato le macchine e quante urla. Lasciamo perdere dai".
Era contento che lei giocasse a calcio?
"No, che non era contento. Voleva che stavo in officina con lui, ma stavo tutto il giorno con la palla al piede e quella è stata la mia vita".
Nella sua carriera ha allenato centinaia di giocatori e tra questi Pep Guardiola che le ha dedicato la vittoria della Champions. Di lui disse che era uno che ascoltava e apprendeva, senza mai parlare.
"Qualcosa di buono nel mondo del calcio l'ho fatto o no? Pep era forte da giocatore, normale che lo sia diventato anche da allenatore".
Sorride quando fa uscire fuori quell'orgoglio dell'uomo che è ancora fermo su alcuni principi basilari. Gli uomini di una certa età, oltre ad essere fonte di piacevoli interviste, hanno quella sensibilità che li rende unici.
Mister, questa Roma al vertice non le dà un po' le vertigini?
"Ma quali vertigini! Perché dovrebbe darmele? Mi dà gioia: sono romano e romanista e per me è una bella sensazione vedere la mia squadra del cuore in testa".
Avete vinto anche il derby. Il tifoso Carlo Mazzone sarà contento.
"So' contento perché abbiamo vinto ed era tanto tempo che non vincevamo il derby. Felice o meno, devo sempre rispettare gli avversari, anche se sappiamo cosa è la Lazio per noi romanisti. Lo sfottò non deve mai andare oltre".
Le piace Garcia?
"Non lo conosco. Certo la sua Roma gioca bene e questo è già importante".
Ottimo motivatore: risollevare un gruppo che veniva da alcune stagioni negative e portarlo al vertice è sinonimo di grande personalità.
"Questo non posso dirlo. Dovrei dare un giudizio parziale su questo allenatore".
Crede abbia fatto bene Daniele De Rossi a rifiutare le offerte dei grandi club europei. Non ritiene che l'essere ombra di Totti come "capitan futuro" lo abbia limitato nel suo percorso professionale?
"Non credo. Rispetto il tuo punto di vista, ma credo che siano cose molto personali: è difficile entrare in queste scelte. Posso dare un giudizio da tifoso e posso essere solo contento che sia rimasto a Roma e comunque credo che una decisione simile tradirebbe le sue tradizioni romane e romaniste. Comprese quelle di noi tifosi".
Totti lo porterebbe al Mondiale in Brasile?
"Intanto Francesco deve pensare a giocare come sta facendo, poi deve essere Prandelli a decidere per lui. Se però continua di questo passo, mi dovessero chiedere un parere tra qualche tempo, il mio voto per lui in Brasile lo darei. Non so quanto possa essere decisivo, ma la sua esperienza potrebbe essere utile".
Ci colleghiamo a Prandelli e le chiediamo cosa ne pensa delle dichiarazioni del Ct della Nazionale italiana che ha parlato della mancanza di personalità dei giovani a grandi livelli. Le occasioni ci sono state e molti hanno deluso le attese.
"Non ho seguito molto questa vicenda, ma ritengo che sia giusto dare tempo ad un ragazzo di poter maturare. Attualmente il calcio italiano sta puntando forte sui giovani per una questione meramente economica. I bilanci parlano chiaro: investire sui giovani, nella speranza che uno di talento possa uscire fuori".
Parlando di giovani: lei come giudica l'età media in Lega Pro?
"E' una forzatura, perché devi giocare perché sei bravo. Però vedi, su una questione simile va coinvolto l'allenatore e gettate le basi per un progetto serio. Invece qui ci vedo solo un mal comune e mezzo gaudio. Per me i giovani possono anche giocare, basta che non siano proprio dei paralitici".
Il gusto del paradosso e della battuta: questo è Carlo Mazzone.
In questo spazio del portale, sovente traspare la nostalgia per un calcio che non c'è più, condito da riti che visti con gli occhi di oggi sanno molto di retrò, ma non per chi ha avuto la fortuna di viverli: momenti di gioventù per quelli che si avvicinano agli "anta" o li hanno superati da poco. Era una magia la domenica sera con Paolo Valenti, visto con la riverenza di un Papa: gli sportivi pendevano dalle sue labbra e le immagini erano un rituale irrinunciabile.
Mazzone però non si lega a questa schiera e rimane lucido su questo tema.
"Non ho nostalgia, se vogliamo chiamarla così, perché il calcio è una parabola della vita: tutto cambia e anche quegli anni fanno parte del passato. Ora bisogna guardare all'oggi senza tanti rifugi in un'Italia che non c'è più".
Quanto fanno male le polemiche nel calcio italiano?
"Sono nocive e sarebbe ora che tutti si dessero una calmata. Ci sono situazioni poco simpatiche che non fanno bene al sistema calcio nel suo insieme. C'è meno gioia di vivere una domenica di sport. E fammelo dire: sono amareggiato per Balotelli. Ragazzi, questo è un giocatore che tecnicamente non si può discutere, ma quei suoi comportamenti lo portano ad eccedere. 'Sto benedetto ragazzo non si sa contenere e caratterialmente sta prendendo una brutta piega".
Abbiamo l'impressione che stia andando sul sentiero già battuto da Antonio Cassano: ovunque è andato ha sempre fatto danni.
"Sì, mi trovo d'accordo con questa disamina. Può ancora correggersi, ne ha le potenzialità per farlo".
Cosa si sente di dire a Balotelli?
"Gli darei i consigli giusti per uscire fuori da questo tunnel, dove si è imbottigliato da solo. Soprattutto cercherei di fargli capire che i problemi, prima che agli altri, li crea a se stesso".
In questo frangente l'anima dell'allenatore saggio va a braccetto con quella del buon padre di famiglia, che cerca di capire le marachelle del figlio e prima di far partire qualche scappellotto, lo redarguisce cercando di essere un faro nel buio che attanaglia il figlio. Magistrale.
Mister, parliamo dell'Ascoli.
"Penso di aver scritto la storia di questo club. Da città sconosciuta siamo arrivati in A e A ancora".
C'è una ripetizione in quella doppia "A"?
"No no. Non solo siamo arrivati per la prima volta in A, ma abbiamo fatto un altro miracolo rimanendo in A salvandoci. Dici niente".
Costantino Rozzi?
"Dal punto di vista umano devo molto al presidentissimo. Ho un solo rammarico: mi ha lasciato troppo presto. Gli devo riconoscenza eterna, perché è grazie a lui che ha rischiato gettandomi nella mischia".
Perché lei dice che "Rozzi ha rischiato gettandomi nella mischia"?
"Mi feci male in un derby contro la Sambenedettese e mi ruppi la tibia. Un infortunio da cui non mi sono più ripreso e volle che io entrassi subito a far parte dello staff tecnico. Mi ha fatto divenire allenatore nel settore giovanile dell'Ascoli, per poi farmi debuttare come tecnico della prima squadra. Abbiamo fatto quello che tutti sanno e sono orgoglioso di aver fatto parte di questa famiglia".
Una volta Rozzi disse: "'A coccia pelata, vedi di non prendere un raffreddore, altrimenti...".
"Mi voleva bene come un figlio e con lui il rapporto era splendido".
Il sorriso è uno dei momenti più belli e toccanti di questa lunga intervista. Per un istante si è sentito un groppo, ma è stato solo un attimo. Sotto quella scorza da duro, da generale, c'è sempre l'anima di un uomo.
Prima si è parlato di Guardiola, ma lei ha avuto tantissimi altri giocatori che ancora adesso provano un'enorme stima per lei. Cosa prova davanti a tutto questo affetto?
"Sono contento. E sai perché?"
Ci dica.
"Perché hanno apprezzato le virtù dell'uomo e poi in fondo qualcosa l'ho fatto. Posso dire ad alta voce di aver fatto esordire Francesco Totti giovanissimo e questo penso che nessuno possa smentirlo. C'è gioia e felicità quando si fermano ad Ascoli e vengono a salutarmi".
Uno dei suoi figliocci, Francesco Moriero, è stato esonerato.
"E' un caro ragazzo, gli voglio bene e mi dispiace per ciò che sta vivendo a Lecce".
Nel Salento lei ha costruito un altro dei suoi tanti capolavori di una carriera ricca di soddisfazioni.
"Contro il Torino all'ultima giornata e chi s''o scorda. Quella fu una domenica ricca di tensione e l'urlo liberatorio fu qualcosa che veniva da dentro".
Per la cronaca il Lecce si salvò battendo il Torino per 3-1.
Tra i tanti momenti che sono rimasti alla storia, non si può dimenticare quel gesto in Brescia-Atalanta. Era il 30 settembre 2001 e le rondinelle erano sotto 3-0. La curva ospite inizia a dileggiare Mazzone: prima con cori di scherno, per poi passare a insulti ancora più pesanti.
"Ho rispetto di chi vive i derby e so come si devono gestire certe situazioni. Ebbene in quella partita tutto ho fatto tranne che alimentare tensioni. Però ad un certo punto non ce l'ho fatta più. So bene che non ho avuto un comportamento professionale...".
E la rabbia la portò a dire: "Se famo il 3-3 vengo sotto 'a curva".
"Lo so, ho sbagliato e lo ammetto: però mi hanno toccato la cosa più bella che ho: la mamma. Non si può spiegare. Guarda, te dico: m'avessero detto Mazzone pelato de merda (ride, ndr) neanche ci sarei rimasto male, perché in fondo è vero che so' pelato, ma in quel modo no. Accetto lo sfottò, ma quel giorno non ce l'ho fatta più".
"Pelato de merda" ci mancava. L'importante è esagerare diceva qualcuno.
Protagonista di quella domenica fu Roberto Baggio.
"Mi dispiace averlo avuto a disposizione quasi a fine carriera, ma è un giocatore eccezionale. Peccato che ora si sia dimenticato di me, ma gli voglio bene".
Moratti lascia il pacchetto di maggioranza dell'Inter e i capitali stranieri entrano nei grandi club.
"Un segno dei tempi. I soldi non hanno colore e penso che il calcio italiano debba molto alla famiglia Moratti. L'Inter ha fatto la storia negli ultimi anni e questo va dato al presidente Moratti di averci messo il cuore".
Senta mister, con lei non si può tornare al suo grande amore: la Roma.
"La Roma è tutto per me. Ho fatto le giovanili con loro, ho giocato in prima squadra, l'ho allenata. E cosa posso volere di più: sono felice così. Ora è pure prima e 'namo".
Mazzone quando parla della Roma si trasforma in un bambino a cui il genitore porta il regalo che gli aveva promesso.
Il derby: che ricordi ha?
"Bellissimo quello del 3-0 (27 novembre 1994, ndr). Ce massacrarono tutta 'a settimana sui giornali, facendo dei paragoni in cui i miei ragazzi uscivano non solo sconfitti, ma umiliati. Io ve vojo bene a voi (intendendo la stampa, ndr), ma voi siete certi fijji de 'na bona donna, che alle volte le fate girare per 'davero'. Giusta la critica, ma non eccedere. Però devo dire che quella settimana, trattati in quel modo, fu la molla che ci ha fatto scattare qualcosa dentro".
Cosa disse ai suoi ragazzi per vincere quella partita?
"Gli ho detto: qua se famo i fijji de 'na mignotta li possiamo battere e mettere a tacere tutti".
Un episodio curioso a fine partita: il suo secondo Menichini che la invita a tornare negli spogliatoi.
"Invece io non stavo nella pelle e gli dico che nun se ne parlava proprio: dovevamo andare sotto 'a sud. Insieme ai tifosi, ai miei amici tifosi della Roma. Dovemo festeggia' e fu una gioia immensa. Lì me so' commosso. Ma io so' così"
Commovente quella corsa sotto la curva sud, con il giubbone d'ordinanza. Il sergente Carlo Mazzone stava lasciando spazio alla passione per i colori giallorossi. Vederlo correre come un ragazzino sotto la curva, con gli occhi che ad ogni metro si inumidivano di più, sono il ritratto dell'uomo che diventa tifoso, abbandonando i panni del professionista.
Lei ha allenato la Roma e dopo quella esperienza disse: "Mi hanno dato una Formula uno con le ruote sgonfie".
"Ho detto così? Beati voi che ve ricordate tutte 'ste cose. Si vede che siete documentati".
Le dispiace non aver vinto qualcosa con la Roma?
"Sono arrivato alla Roma in un momento delicato della sua storia e sono orgoglioso di quello che ho fatto".
Franco Sensi: un suo ritratto del presidente giallorosso.
"Uomo d'altri tempi e sono ancora legato molto alla famiglia e alla vedova Sensi. Voglio bene ai loro figli come se fossero miei. Certi rapporti vanno tenuti sempre separati dalla vita pubblica. Sono cose delicate".
Lei ha sfiorato la vittoria di un trofeo europeo a Bologna, arrivando in semifinale, uscendo contro il Marsiglia. Pensa che vincere un trofeo continentale avrebbe cambiato la sua carriera?
"Non credo che novanta minuti o centoventi possano cambiare la carriera di un allenatore. Qualcosa nel calcio l'ho fatto. Si poteva fare meglio, ma nessuno è perfetto".
Nella sua vita da allenatore più rimpianti o più rimorsi?
"Nessuno dei due: in fondo ho ricevuto ciò che ho seminato".
Ma nessuna delle tre squadre più forti: Juventus, Milan e Inter le hanno mai proposto la panchina?
"Attestati de stima quanti ne vuoi, però veri e propri contatti non ci sono mai stati. Penso che me ne sarei accorto se fosse avvenuto, ma nun me dispiace sai...".
Lecce, Ascoli, Catanzaro e Perugia sono nell'inferno della Lega Pro. Un segno dei tempi?
"Credo proprio di sì. Nonostante tutto io sono sempre tifoso ombra di tutte le squadre dove ho allenato e in tutte le piazze dove sono stato ho conservato un ricordo bellissimo".
Però uno scudetto nel suo palmares, non crede che ci stava bene?
"Eh! Il problema è che non ho mai avuto squadre talmente forti per puntare in alto".
In questa risposta Mazzone tira fuori una di quelle battute che rimarranno alla storia ed entrano di diritto nelle sue massime.
"Per lo scudetto magari la prossima volta. Se vado in paradiso, parlo con chi di dovere e vedo se me dà 'na squadra bona. Bella questa eh".
Sì mister: bella e vincente, come la sua carriera. Non è mica da questi particolari che si giudica un allenatore.
Prossimo appuntamento con "Mi ritorni in mente": domenica 13 ottobre.
Testata giornalistica Aut.Trib. Arezzo n. 7/2017 del 29/11/2017
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