INTERVISTA TC - Ghirelli a 360°: "Riforma? Ognuno dovrà rinunciare a qualcosa"

L'intervista integrale al presidente di Lega Pro.
24.10.2021 19:00 di Ivan Cardia Twitter:    vedi letture
INTERVISTA TC - Ghirelli a 360°: "Riforma? Ognuno dovrà rinunciare a qualcosa"
TMW/TuttoC.com

Il caso Catania, le polemiche arbitrali, il ritorno dei tifosi negli stadi e il tema della riforma, tutto da approfondire. Di questo, e di molto altro, ha parlato a TuttoC il presidente della Lega Pro, Francesco Ghirelli.   

Partiamo dal caso Catania.

“La vicenda mi preoccupa. Prima di tutto perché è un grande club e un pezzo della storia del calcio italiano, rappresenta una grande città, una grande provincia, una passione che corre per tutto il mondo. È una situazione complessa da molto tempo, alla quale SIGI ha cercato di dare una risposta. Ci sono stati diversi tentativi da parte di un grande imprenditore quale Tacopina: sarebbe stato un segnale non solo per Catania, ma per il calcio del sud. C’è una sofferenza, la stiamo monitorando con l’attenzione e la preoccupazione che merita una vicenda come quella del Catania”.   

Com’è possibile che una società con una situazione del genere si sia iscritta al campionato?

“Ci sono molti elementi di riflessione. Intanto, si parte dall’esclusione di sei società a inizio campionato: è la prima volta dopo qualche stagione positiva, che era stata determinata dall’introduzione di regole, seppur dolorose per società e tifosi. I diciotto mesi di lockdown hanno abbassato le barriere, a livello nazionale: non parlo del calcio, le normative statali hanno visto abbassare alcuni parametri. Bisogna rialzare le regole. La seconda questione che abbiamo posto è il no ai ripescaggi e alle riammissioni. Queste ultime penso siano state uno strumento utile e positivo, però se dico no ai ripescaggi devo dire no anche alle riammissioni, altrimenti ci potrebbero criticare perché pensiamo agli interessi di parte. Abbiamo aggiunto le pre-iscrizioni a marzo, e tutto il sistema delle licenze nazionali deve essere noto a settembre, in modo che a inizio campionato si sappia quale sarà il percorso e quali saranno le regole per ognuno. Questo cambia l’approccio”.   

Servono nuove regole, quindi.


“Dobbiamo mettere delle regole per cui casi di debolezza di una società non si creino a campionato in corso. Bisogna rifletterci, è vero: servono nuove regole, ma su questo il presidente federale non solo è in sintonia, ma è in prima linea”.

Ecco, arriviamo a un tema. A che punto siete con il percorso della riforma?

“Beh, questo di cui abbiamo parlato ora è già riforma. A costo di essere pignolo, ricordo che un anno e mezzo fa il consiglio direttivo di Lega Pro si è spogliato dei propri poteri, affidandoli al presidente Gravina. Se avessero fatto tutti così, penso che saremmo più avanti. In più, io da qualche tempo uso un termine che non mi piace, ma che continuerò a usare: sarò il pasdaran della riforma. Ne abbiamo bisogno. Io e lei abbiamo visitato insieme il museo di Artemio Franchi: sui giornali del 1978 si parlava di temi quali giovani, infrastrutture sportive, sport nelle scuole, formazione, che sono ancora oggetto di dibattito. Possiamo dire che lui sia stato lungimirante, ma per noi non è un grandissimo merito che se ne parli ancora negli stessi termini.  È il momento di fare qualcosa, la differenza tra gli anni di Franchi e quelli attuali è che oggi il nostro calcio ha bisogno di recuperare competitività a livello europeo e mondiale. Nelle coppe paghiamo pegno. Nella Spagna giocano due diciassettenni: per noi un ventiquattrenne è giovane. Magari può esserlo per me, ma non è così. Abbiamo esaltato il progetto di Mancini. Ma ‘giovani e vincenti’ non è il progetto di alcun campionato italiano. Neanche in C, anche se qualche passo lo abbiamo fatto: oggi solo tredici club non sfruttano il minutaggio. È un tema che porterò: a cosa serve la C? Se deve scimmiottare la A e la B, tanto vale toglierla. Io credo che debba formare i talenti. Ma per questo servono infrastrutture materiali ed immateriali, i denari del PNRR e una solidarietà maggiore tra le leghe”.  

Concetti chiari. A livello pratico, però, tutti ne parlano, ma nessuno sa di cosa sta parlando. Non è troppo nebulosa questa riforma?

“La mia opinione è che per arrivare alla riforma ci debba essere prima la definizione della mission, cioè dove vogliamo andare, e poi un progetto di sostenibilità economica. Capire cosa comporta quel progetto, per ognuno: tutti devono rimettere in discussione quello che hanno acquisito. Poi ci vorranno le regole. E poi bisognerà toccare le distorsioni”.
 

Quali?

“I contratti, per esempio. Ci vuole flessibilità, sennò si fallisce e pagano i calciatori o gli allenatori. Poi si può dire che, se entro un paio di anni si risale, si potrà tornare nel contratto a quel livello lasciato.  Ma un passaggio ci vuole. Stesso discorso per il paracadute in B. Io ho vissuto in Serie A gli anni delle sette sorelle. C’erano le grandi che si dividevano le risorse e quelli che scendevano o salivano in B usufruivano del paracadute. Nel mezzo, i club che galleggiavano: erano le società che soffrivano di più. Adesso, col paracadute, salgono e scendono sempre le stesse. Sul piano sportivo non c’è una qualche domanda da porsi? Fino a un paio di anni fa salivano le nostre, ora questo processo si è fermato. Ormai c’è una tecnica: si sale e si scende per prendere il paracadute. Così si forma un gruppo in mezzo, appesantito a livello economico: chi scende da noi fallisce subito, chi resta magari lo fa nel giro di qualche anno. Se non sali subito, finisci in quel gruppone. Parlo di cose concrete, non faccio filosofie. Sono i casi Trapani, Livorno. Non ho intenzione di fare polemiche, ma è un ragionamento di equilibrio. Questo è uno dei problemi che abbiamo. Queste risorse vanno redistribuite, in modo tale che si abbia una competitività maggiore e una solidità maggiore. Poi le distorsioni sono tante: i procuratori sono un pezzo della riforma, oppure no?”.

Non è quindi una questione di categorie, di B1, B2…

“Se io fossi cinico, spingerei per la B1 e la B2. A quel punto rimarrebbe un gruppo di società che potrebbero lavorare sui giovani. Così ammazzeremmo la B, dopo due anni quelle di B2 chiederebbero di tornare in C. È un discorso che non faccio neanche, perché tradirei il ragionamento a sistema. Non si va avanti con le alchimie. Serve una scaletta chiara: mission, sostenibilità, regole, distorsioni. Alla fine parleremo di B1, B2, C1, C2, trenta squadre, sessanta squadre, e via dicendo. Quello che volete. Ma è un passaggio successivo. Sono sessant’anni che nel calcio si parla di riforme. Io sono arrivato nel 1993, nel 2001 ho discusso la riforma da consigliere delegato di Serie A e Serie B. Io ero definito conservatore, perché dicevo che le riforme non si fanno nell’immediato, ma spostando la tempistica più avanti, a quando chi deve fare la riforma non vede in pericolo i suoi interessi attuali. Era il 2001, chi era il conservatore? Oggi siamo al 2021, sono passati vent’anni e l’unica riforma l’abbiamo fatto noi, tagliando trenta società. Figuriamoci se ho paura di tagliarne quattro o cinque. La verità è che non è una questione di numeri: non risolvono i problemi, devono venire alla fine del ragionamento”. 

Parla di giovani. Ma se la C deve esserne il serbatoio, ha senso avere anche un campionato Primavera?

“Per come è stata fatta la riforma ora, sì. Ci sono voluti un po’ di anni, ma siamo riusciti a far sì che passasse l’idea che ci fossero Primavera 1, 2, 3 e 4 con promozioni e retrocessioni, cioè confronto e competitività.  Senza questo, avremmo bruciato una serie di risorse. Noi abbiamo in Primavera 2 tre squadre: Cesena, Entella, Pescara. Le avremmo bruciate. La differenza tra le squadre Primavera e le nostre è che queste ultime sono molto competitive. Guardate la Juventus: la Primavera ha le difficoltà di tutte le squadre di quel tipo, chi è uscito dall’Under 23 ora gioca in Francia, in A, in B, ancora nella Juventus. Perché succede una cosa di questo genere? Perché se prendo un ragazzo da una Primavera e lo faccio giocare in C, prima di sei mesi non vede il campo. Si deve abituare alla fisicità, all’intensità. È un’altra cosa. Aggiungo un tema: perché i giocatori nostri spesso vogliono andare dalla C alla D? È anche questo un problema di riforma, di regole”.

Bisogna ritoccare tutto il sistema?

“Voglio essere polemico: chi si siederà al tavolo porti le carte. Io porterò il nostro passaggio da 90 a 60: siamo stati gli unici, non è servito a nulla. Se vogliamo essere seri, bisogna toccare la A, la B, la C, la D. Perché abbiamo dato mandato a Gravina? Perché ognuno di noi deve sapere che deve pagare un prezzo se vuole fare le riforme. Sa come si vede chi è favore delle riforme? Chi all’inizio non dice no a nulla. Perché sa di essere in un laboratorio e che un prezzo lo dovrà pagare. Io per questo sarò un pasdaran, voglio vedere anche i bluff”.

 Tra le distorsioni c’è la qualità della classe arbitrale? Oggi è forte la polemica sull’argomento.

“Sarei sciocco a dire che una polemica non c’è, ma non credo sia superiore ad altre. Perché esiste? Perché fanno errori. Bella scoperta. Noi siamo i formatori anche degli arbitri, che poi in carriera arriveranno in Champions League. I nostri club pagano pegno perché facciamo formazione. Ma si vuole ragionare a sistema? La VAR serve anche alla Serie C. Si torna lì: un sistema che ragiona a sistema, non pensa a se stesso, non alla Serie C, pensa ad avere gli arbitri migliori. Ma i migliori non si formano all’università: lo si fa alle superiori, alle medie, alle elementari. La VAR servirebbe più da noi”.   

In sintesi, voi la VAR la vorreste, ma volete che sia la Serie A a darvi una mano?

“Bisognerebbe ragionare a sistema. Noi siamo i formatori dei dirigenti, degli allenatori, dei preparatori, dei calciatori. E anche degli arbitri e degli assistenti. Ma la formazione noi la facciamo per gli altri. Hanno ragione i nostri presidenti, e lo dico in maniera polemica. Mi spiegate perché devono pagare pegno senza risorse per aver fatto la formazione? Oggi lo fanno gratis, un giorno magari si incazzeranno. E avrebbero pure ragione”. 

Qualcuno è già arrabbiato, anche in maniera piuttosto evidente.

“Non so di chi si parla”.

Beh, il presidente del Seregno si è arrabbiato a tal punto da aver ricevuto una pesante squalifica.

"Non lo so, non intervengo su queste cose. Però dico che chi accusa la Lega non sa come funziona il mondo. Bisogna conoscere le regole. Per quanto riguarda la formazione arbitrale, noi abbiamo dato una mano a migliorarla: auricolari, cardiofrequenzimetri, quarto uomo. Cerchiamo di dare una mano. Se poi qualcuno pensa che gli arbitri dipendono da me, dice una sciocchezza: vuol dire che non conosce le regole del calcio. Il che non voglia dire che io non possa parlarci, aumentare il colloquio. A volte mi meraviglio dei nostri incontri: c’è chi non parla. Io quando vediamo gli arbitri, li spingo a parlare: non per fare polemica, ma per dare una mano a far crescere la qualità e la consapevolezza. Sarebbe estremamente utile che tutti parlassero negli incontri con gli arbitri. Poi invece incontrano voi giornalisti e parlano. Voi fate il vostro mestiere ed è giusto, ma se ci dessero una mano, nelle sede opportuna, a dire quali sono i problemi, forse anche i ragazzi avrebbero più contezza”. 

Restiamo a Seregno, il presidente Erba ha detto che vuole lasciare. Non vi potete parlare?

“Quando uno lascia, o dice di lasciare, c’è sempre un dato: la mia prima azione è puntare a non farli lasciare. È il minimo sindacale ed è il mio ruolo, anche perché la lega non è mia. È degli associati. Quando loro prendono delle decisioni, discutono delle cose da fare, non è roba di Francesco Ghirelli, ma dell’insieme degli associati. Quando un presidente se ne va o se ne vuole andare, bisogna evitare che questo si verifichi”.   

Capitolo multiproprietà: non saranno più consentite. In molti casi, penso al Bari di De Laurentiis o al Mantova di Setti, hanno letteralmente mantenuto in vita delle realtà. Non è un elemento da considerare?

“Io sono sempre stato contrario alle multiproprietà. Si è andati avanti con deroghe che non hanno portato a una situazione positiva. Anzi, vi svelo una cosa: la prima volta che si parlò di multiproprietà lo feci io come consigliere delegato della lega nazionale professionisti. Volevamo prendere a modello la Spagna. Poi si cerca sempre di utilizzare gli strumenti in modo furbastro. L’ultimo consiglio federale non ha fatto altro che prendere atto delle norme che esistono e dare un tempo congruo agli interessati per non trovarsi nelle stesse condizioni della Salernitana. Per questo penso sia stato giusto dare tre anni di tempo. Certo, la famiglia De Laurentiis ha un merito, così come la famiglia Setti. Lo stesso Lotito ha un merito, per quanto riguarda la Salernitana. Hanno recuperato storie importanti, se penso al Mantova mi vengono in mente il piccolo Brasile, Edmondo Fabbri, Giagnoni, William Negri. Penso, ora, al progetto che ha messo in piedi a livello di centro sportivo. Hanno tutti dei meriti, è indubbio. Il problema è che si lavorato in una situazione non consentita, ora ci sono tre anni per risolvere e io penso si possa risolvere. Mi dicono che Luigi de Laurentiis voglia fare ricorso. Fa benissimo. Io ho sempre detto ai miei presidenti che, se ritengono toccato un loro diritto, fanno bene a difenderlo in tutte le sedi e in tutti i modi legittimi”.

Delle seconde squadre che giudizio dà?

“È un’esperienza positiva. Le faccio un esempio: Morata e Spinazzola. Sono più o meno coetanei. Morata ha fatto un percorso, è passato dalla seconda alla prima squadra del Real Madrid. Spinazzola, che oggi è osannato, ha fatto una trafila infinita di prestiti, senza mai giocare. Ma le pare normale? È la dimostrazione pratica di due percorsi di formazione diversi e di come la seconda squadra possa incidere. Le squadre B penso che possano avere un maggiore sviluppo, avendo chiarito la questione multiproprietà. Oppure cresceranno i settori giovanili dei club di C, come io auspico”.

Però c’è solo la Juve. Inter, Milan, Roma, Atalanta: sono tutte big che non avevano una multiproprietà e non hanno neanche una seconda squadra.

“In alcuni casi, perché non avevano un impianto. Penso alla Fiorentina, mi auguro che una volta completato questo stupendo Viola Park possa farlo. Penso che qualcun’altra di quelle che ha citato lei ci stia pensando. Penso anche che la Juve stia ragionando sul fare lo stadio, che è l’ultimo pezzo che le manca per arrivare al Real Madrid, al Barcellona o al Bayern Monaco da questo punto di vista. Serve un insieme di elementi: un gruppo dirigenti e poi la struttura. La Fiorentina è bloccata dalla struttura, eh”. 

Ci sta dicendo che la Fiorentina è pronta a iscrivere una seconda squadra? “Non lo so, questo dovete chiederlo a loro”.

È partita la Serie C femminile, sotto l’egida della LND.

“Noi abbiamo le ragazze di dodici anni. Io, prima del lockdown, avevo il sogno di fare una lega al femminile. Abbiamo parlato di giovani: nei maschi c’è una concorrenza terribile da parte delle squadre di A e B. Ogni anno 440 giovani finiscono il loro percorso in Primavera. Questo ha abbassato l’età delle nostre rappresentative: noi abbiamo fatto il raduno degli Under 17, 16 e 15 a Cattolica con Arrigoni. Non è stato facile in questi diciotto mesi per i nostri presidenti, proporgli un investimento sul settore femminile sarebbe stato complicato. Però se entrassimo nell’ottica di fare la formazione delle giovani calciatrici, in questo caso mancano proprio calciatrici alle squadre di Serie A. E poi aiuteremmo lo sviluppo del calcio femminile in Italia: noi siamo andati ai mondiali, ma con ventimila iscritte. Se rimaniamo fermi a questi numeri, non ci torneremo. Può essere un’operazione utile per tutti, che può portare anche risorse ai nostri club nel medio-lungo periodo. Intanto, stiamo lavorando con la categoria dei dodici anni: il lockdown purtroppo ha fermato tante cose, come anche il nostro campionato di quarta categoria”. 

In Serie C siete arrivati al 98 per cento dei vaccinati. Siete stati bravi.

“No, c’è stata, da parte del professor Francesco Bracconaro, che non finirò mai di ringraziare, una grande capacità di relazionarsi e una grande capacità scientifica. Forse qualcuno si è dimenticato che abbiamo rinviato un centinaio di partite, senza polemiche escluso un caso. È stato un lavoro eccezionale, che abbiamo sfruttato quando abbiamo attaccato la questione vaccini: c’è stato un rapido allineamento”.  

A novembre si dovrebbe tornare al cento per cento dei tifosi. La sfida vera inizia ora? In molti stadi non si è raggiunto spesso il 50%.

“Intanto partiamo dal dato positivo: se a Bari, senza i tifosi del Foggia, si fanno 21 mila tifosi e si supera il dato di Juventus-Roma, è un bello spot. Cosa ha fatto Luigi de Laurentiis, con i suoi calciatori? Sono andati a vendere i biglietti. È evidente che quel dato è frutto della passione riaccesa a Bari per la squadra dopo qualche difficoltà, ma anche del fatto che ci sono stati dei comportamenti concreti. La stessa cosa sta accadendo in altri stadi, credo che Bari possa essere un esempio. Siamo al 35 per cento di copertura. Il cento per cento, in A, B e C, è un segnale di speranza e di apertura per il Paese. Ma non eravamo alla capienza piena neanche prima del lockdown, esclusi i playoff per quanto ci riguarda. Detto questo, ci dobbiamo porre il problema di lavorare, però al contempo ci deve dare una mano la sicurezza”.  

In che senso la sicurezza?

“Io ho mandato un documento ragionato al ministro Lamorgese, al capo della polizia Giannini, alla sottosegretaria Vezzali, al capo dell’Osservatorio per le manifestazioni sportive Zanni, sollevando una contraddizione. Il servizio steward deve corrispondere alla presenza delle giornate precedenti, altrimenti i costi diventano insopportabili. Prima si calcolava uno steward ogni 250 spettatori rispetto alla capienza. Tre anni fa si è passato a uno ogni 250 sulla media di riempimento degli ultimi tre campionati. A oggi, con le regole attuali, il rapporto è uno a 38. Deve diventare uno ogni 250 sulla media di riempimento effettivo dello stadio nelle dieci giornate precedenti. E va aggiornato ogni dieci giornate, altrimenti la riapertura diventa un colpo nelle gambe delle società. Noi siamo per riaprire, allo stesso tempo dobbiamo sapere che c’è una contraddizione e che questo Paese non ha bisogno di creare tensione. Ce n’è già troppa nelle piazze e nei porti”.  

Come procede la convivenza con due vicepresidenti molto attivi come Vulpis e Ludovici?

“A meraviglia. Vede, io sono maledettamente decisionista. La novità è che ho due vicepresidenti che sono il meglio che c’è nel campo del marketing e delle infrastrutture sportive. La stessa cosa vale per la struttura interna, che lavora e ha grande passione. Nel momento in cui hai una capacità di questo tipo, la mia delega è totale: io so che la cosa funziona e si vede, perché da un lato con Marcel è migliorato tanto il tema delle sponsorizzazioni, dei diritti audiovisivi, della comunicazione. Con Luigi, siamo gli unici ad aver lavorato per il PNRR. Fa parte del gruppo di esperti di livello internazionale convocato per lavorare sullo stadio di Firenze. A me piace andare in giro per gli stadi, adesso lo prendo anche come un dovere, perché avverto che la presenza è necessaria per dare una mano alle iniziative che ci servono: non posso dire di lavorare per riportare la gente negli stadi e poi guardarmi le partite dalla televisione. Non mi sembra moralmente corretto”.