Alcione, il presidente Gallazzi: "Entro fine campionato nel nostro stadio. Con l'amico Marotta è un derby"

Sette punti nelle prime quattro giornate di campionato per l’Alcione Milano, formazione del Girone A di Serie C che si conferma una bella realtà del nostro calcio. A TuttoC e TMW ne ha parlato il presidente del club meneghino, Giulio Gallazzi: “L’avvio è stato senz’altro positivo, abbiamo raccolto tre punti in più rispetto all’anno scorso dopo lo stesso numero di giornate. Però la cosa migliore è che, avendo cambiato tanti giocatori rispetto all'anno scorso, vedo che l'amalgama della squadra, l'apprendimento e l'esecuzione del metodo Cusatis sono già in progressivo miglioramento. La faccio semplice: la squadra fa gioco. Costruisce occasioni, e forse abbiamo anche raccolto meno di quanto prodotto, ma siamo certamente sulla strada giusta”.
L’anno scorso salvezza agevole, l’obiettivo di quest’anno?
“Vogliamo centrare i playoff. Poi quello che succede ai playoff passa in secondo piano: intanto vorremmo fare un bel campionato”.
È considerato il favorito per l’elezione in Consiglio Federale in quota Lega Pro… Qual è la sua proposta?
“Io parto da un’idea: noi definiamo la Serie C come il calcio del territorio. È giusto, perché è un campionato composto da sessanta club con una forte personalità locale, ma è fondamentale allo stesso tempo capire che dobbiamo uscire dai personalismi locali. Penso che la Serie C debba essere unita e rappresentare la forza che ha: 60 squadre sono 60 società che investono e rappresentano tutto il territorio italiano, insieme. Non dobbiamo ragionare di Girone A o B o C, ma di come migliorare il nostro prodotto per tutte le squadre, perché ne trarremmo tutti dei vantaggi in termini di ricavi e di valorizzazione delle nostre realtà. Allo stesso tempo, dobbiamo intervenire sui costi laddove possibile a livello di sistema, con misure specifiche come sul cuneo fiscale stipendi o procedendo con l’esperimento del salary cap avviato. Ma allo stesso tempo, dobbiamo migliorare la capacità di pianificazione finanziaria dei club, come pure il controllo di gestione. Bisogna evitare che un anno si parta a mille e l’anno dopo magari si chiuda in forte passivo: penso che le squadre debbano avere sempre una visione a lungo raggio, capire come strutturarsi con un percorso sostenibile. È questo che dà i migliori risultati e restituisce una migliore immagine della Lega Pro”.
Ha la sensazione che spesso si addebitino alla Serie C problemi che sono endemici a tutto il calcio italiano?
“Assolutamente sì. Tra le leghe professionistiche, la Serie C è quella che parte dal concetto aziendale del budget ricavi "quasi" zero ogni anno. In Serie A gli incassi da diritti tv non sono più quelli di una volta, ma sono sempre molto significativi e poi ha comunque dei ricavi caratteristici, dal merchandising al botteghino...etc., di un certo livello. Anche la Serie B, sicuramente in misura molto minore, ha comunque una prospettiva diversa dalla Serie C, che è come se dovesse ripartire a costruire ogni anno. Sono poche le squadre che possono partire da ricavi abbastanza certi e stabili, magari quelle che fanno riferimento a piazze storiche, e i diritti Tv, incassi stadio e merchandising non sono per la maggioranza una voce significativa. Anche quello che può arrivare da una novità molto indovinata, come la riforma Zola voluta dalla presidenza Marani, va a consuntivo: non sono ricavi prevedibili più di tanto, anche se uno li pianifica. La Serie C ha bisogno di una gestione che tenga conto di questa sua natura: pianificazione e controllo diventano fondamentali, perché il grado di rischio operativo è altrimenti molto elevato”.
Spesso si parla della riduzione del numero di squadre. È una soluzione secondo lei?
“Io credo che la priorità non sia la riduzione delle squadre, ma un loro livellamento qualitativo. Se si continuasse a verificare una situazione in cui una certa porzione di squadre ha una condizione di sostenibilità e un’altra porzione non ha questa condizione, allora forse sarebbe bene fare dei ragionamenti in questo senso. Però non credo che questo debba essere il primo obiettivo, eventualmente sarebbe una soluzione di rimedio. Non c’è una lista di buoni e cattivi da dividere , ci sono 60 squadre insieme che provano a fare calcio a livello professionistico e che hanno bisogno di una serie di soluzioni e misure migliorate e mirate”.
L’Alcione è la terza squadra di Milano: a ottobre arriva la sfida all’Inter U23. È un derby a tutti gli effetti.
“È il primo derby nella storia della città di Milano in Serie C. Per noi sarà una sfida importante, epocale: arriva contro l'Inter che è una squadra sicuramente amica. Diciamo che per noi è più importante che per loro: per l’Inter la seconda squadra ha l’obiettivo di integrare il loro percorso di filiera giovanile, verso un'eccellenza come Serie A o Champions League. Per noi, invece, scende in campo la prima squadra: arriveremo a questa partita considerandola uno dei grandi appuntamenti della stagione. È una gara particolare da tanti punti di vista, credo sia risaputo che ho un rapporto di amicizia personale con uno dei più grandi dirigenti della storia del calcio italiano”.
Parla di Beppe Marotta.
“La sua promessa è che la vedremo insieme: dovremo far finta di viverla come una sfida serena. Probabilmente lo sarà più per lui”.
Com’è nato questo rapporto di amicizia?
“Ci conoscevamo da tempo, non essendo io un grande esperto di calcio mi sono permesso di chiedere a Beppe dei consigli, per cercare di capire da un grande del calcio italiano quali potessero essere le valutazioni migliori. Ogni tanto lo chiamo per un caffè e gli chiedo qualche consiglio: è una persona molto aperta, splendida, è in grado con poche parole di farmi riflettere e non farmi cadere in errori dettati da presunzione o poca esperienza. L’amicizia nasce da una profonda e reciproca stima, la mia ovviamente non meritata sui campi di calcio, ma magari dal mondo della finanza”.
La nascita dell’Inter U23, però, vi ha tolto qualche giovane…
“Beh sì, però abbiamo rapporti con tanti altri club. Abbiamo giovani da Atalanta, Sassuolo, Fiorentina, Spezia, Cremonese: al netto del buon rapporto con l’Inter, tante squadre di Serie A e B guardano all’Alcione come a una squadra che ha una capacità comprovata. Siamo una delle migliori filiere giovanili d'Italia, non solo a livello sportivo ma come valori nel preparare e sostenere i giovani. Questo DNA si riflette sul clima della prima squadra, è una considerazione che ci fa piacere”.
Non le sarebbe piaciuto tornare all’Arena Civica?
“Tocca un tasto dolente, quasi doloroso. Giocare all’Arena in serie C sarebbe stato un enorme orgoglio, è la prima casa del calcio a Milano e anche nel nostro Paese: lì si è giocata la prima partita della Nazionale. Era il nostro sogno: ci siamo proposti di fare importanti ristrutturazioni a nostre spese, di proteggerla e migliorarla, ma ci è stato detto che era un monumento non un impianto.... Poi alcune cose sono cambiate, ma alla fine non ci è mai stato accordato il permesso e abbiamo dovuto vincere due volte la promozione in Serie C per salire. Credo sia un discorso chiuso, meglio non tornare sui sogni infranti”.
Avete trovato una soluzione alternativa.
“Sì, sposteremo vicino a San Siro, a Settimo Milanese, la nostra attenzione. Stiamo lavorando con il Comune di Settimo Milanese per poter sviluppare questo progetto di partnership pubblico-privato, che ci consentirà di costruire uno stadio tutto nostro, sviluppato a nostra misura e che ci consenta di sentirci a casa. Pur ringraziando gli amici della Pro Sesto, che ci hanno accolto in questi due anni, altrimenti saremmo rimasti per strada. Siamo una squadra di Milano: abbiamo scoperto sulla nostra pelle che a Milano, se fai calcio professionistico, hai un problema stadio”.
L’obiettivo temporale?
“Spero di giocare nel nuovo stadio le ultime partite di questo campionato. Magari ad aprile l’opera non sarà finita, ma lo stadio sarà fruibile. Magari non avremo completato uffici o palestre o campi di allenamento, ma partiamo dalla costruzione del campo e delle tribune, luci e servizi, quello che consente l’autorizzazione a usare lo stadio per giocare”.
Bolognese di nascita, ma milanese di adozione: che idea si è fatto di San Siro?
“Io sono di parte, avendo rapporti molto positivi sia con l’Inter che con il Milan. E trovo incredibile che quello verso un nuovo stadio sia un percorso così complicato, irto di ostacoli, di commissioni, contro-commissioni e comitati. In un Paese dove in generale c'è bisogno di infrastrutture, quelle sportive sono una valle di lacrime: nella migliore delle ipotesi sono impianti vecchi, salvo pochissimi casi legati a iniziative locali, che abbisognerebbero completamente di una revisione o di un rilancio, nel migliore dei casi. E questo nell’interesse delle cittadinanze, dei comuni, del territorio, oltre che delle società. Invece chi vuole fare qualcosa deve affrontare partite interminabili, con variabili ingestibili. Eppure sappiamo tutti cosa la FIFA e la UEFA pensino dei nostri stadi: il percorso di Inter e Milan è stato da incubo, ma anche il nostro, sebbene ad altri livelli. È la situazione di Milano, ma mi sembra valga lo stesso a Roma, Napoli, Firenze, Bologna: fare sport in Italia a livello professionista richiede tanto denaro. Ma anche tanta pazienza”.
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