Palermo lascia a fine stagione: "Al calcio ho dato tutto me stesso"

14.03.2022 14:10 di  Valeria Debbia  Twitter:    vedi letture
Simone Palermo
TMW/TuttoC.com
Simone Palermo
© foto di Giuseppe Scialla

Dopo una appassionata carriera su e giù per lo Stivale, con lunghe esperienze nelle file di Gubbio, Cremonese, Virtus Entella e Viterbese, il centrocampista Simone Palermo (classe 1988) ha deciso di dire stop alla sua carriera calcistica. Con una lunga lettera apparsa sul suo profilo social il giocatore ripercorre la sua storia fino all'addio: "La mia è una storia che inizia in un modo e termina poi, nella stessa maniera.

Una storia apparentemente triste ma in realtà, molto significativa, oltre che costruttiva.

Avevo 6 anni quando ho deciso, con l’entusiasmo che solo un bambino ha, di intraprendere la lunga e tortuosa, avventura nel mondo del calcio.

Il primo ricordo, intriso di calcio, è legato al rigore che Roberto Baggio, a Pasadena nella finale mondiale poi vinta dal Brasile, spedì sopra la traversa; fu per me come un messaggio profetico: non bisogna mai arrendersi: si cade ma ci si rialza.

In effetti, io, non mi sono arreso mai soprattutto perché tangibilmente non potevo.

A 18 anni arriva il primo infortunio al ginocchio destro: a 33 è toccato al sinistro; un ginocchio, quest’ultimo, sollecitato per tutta la carriera, a causa del problema avuto e sopra descritto, subito al raggiungimento della cosiddetta maggiore età.

Ho ancora vivo nella testa il ricordo di papà che guida l’auto portandomi da un ortopedico a l’altro, su e giù per l’Italia: lui al volante ed io con la testa sul finestrino, lo sguardo rivolto, speranzoso, verso il cielo: ero solo un ragazzo con poche certezze e molte paure.

Negli ultimi mesi, da uomo, ho patito parecchio sempre a causa delle famigerate ginocchia.

Ho tentato di aggrapparmi ad un’estrema forza di volontà.

Ho provato a sopportare dignitosamente il dolore ma non c’è stato più niente da fare.

E quando mi sentivo meglio e volevo provare a dare un ultimo atto di orgoglio alla mia carriera, subentra la Serie D, che col Calcio ha poco (o niente) a che fare.

Ho incontrato personaggi loschi e disonesti, per finire con un allenatore che doveva essere radiato per sempre dal Calcio e invece ha contribuito pesantemente nella mia scelta di lasciare il Calcio.

Sapete, più scendi le categorie, più hai a che fare con persone presuntuose e altezzose e più sono incapaci e più la loro spocchia può sopraffarti.

Ho calcato campi prestigiosi, segnato un goal al Mondiale Under 17 con la maglia azzurra dell’Italia, vissuto atmosfere epiche in stadi di primissimo livello come l’Old Trafford dove a pochi passi da me “danzava" sul pallone Cristiano Ronaldo. Ho avuto il privilegio di giocare insieme a grandi campioni e di stringere amicizie indissolubili con compagni di squadra non avvolti dalla notorietà.

Nel mio travagliato percorso ho avuto il sostegno di luminari come il dottor Mariani, Zorzi, Marcacci e Cerulli. Sento di dover abbracciare idealmente con affetto Santoro però che mi ha permesso di riprendere un buon cammino, interrotto bruscamente, all’età di 24 anni.

L’umanità vera, pura, disincantata, l’ho trovata a Chiavari, alla Virtus Entella.

L’esperienza vissuta nel campionato di serie B in una piazza poco rinomata ma non per questo meno importante di altre, la porterò sempre nel cuore.

Spesso sono stato giudicato in maniera superficiale: un cliché questo purtroppo nel mondo del calcio.

Essere calciatore equivale per la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica essere una persona con poca sensibilità e magari anche parecchia ignoranza.

Questo stereotipo lo giudico assurdo. Noi calciatori siamo persone umane come tutti. Abbiamo dei privilegi certo ma il nostro percorso lavorativo è sostanzialmente corto (il mio breve solo 9 anni alla fine). Dobbiamo sempre dimostrare, essere performanti e non tralasciare nulla al caso. Affetti e piaceri sono basilari per chiunque ma chi gioca a calcio fa delle rinunce, è costretto a importanti sacrifici. Siamo etichettati in un modo sbagliato. Abbiamo le nostre vulnerabilità noi calciatori e naturalmente le nostre paure. Bisognerebbe fare uno sforzo anche intellettuale, capire che non è mai tutto oro ciò che luccica e certi eccessi sono figli di ferite mai completamente cicatrizzate.

Ho provato sempre grande passione nei confronti del calcio nonostante sia uno sport dove, per tornare al concetto sopra espresso, non c’è molto spazio per i sentimenti.

Noi calciatori abbiamo le nostre responsabilità: io personalmente mai, ho sottratto linfa vitale alle mie.

Ho vinto una Coppa Italia di C a Viterbo scendendo sul terreno di gioco in condizioni più che precarie.

Molto spesso ho anteposto i doveri nei confronti di club, addetti ai lavori, compagni di squadra e tifosi alla mia salute personale.

Sono certo di aver dato al gioco che ho sempre amato tutto me stesso.

Ho sofferto e tanto, non posso cambiare la mia storia, semmai trarne spunto, per convivere pacificamente adesso, con una decisione opportuna ma comunque dolorosa.

Lascio definitivamente il calcio a fine stagione.

Ringrazio tutti coloro che mi sono stati accanto nel corso della mia carriera, condividendo con me gioie e dolori.

Menzione speciale e dolce per mamma, papà, mio fratello, Luca Rivetta e tutti gli altri miei amici, uno in particolare, Danilo D’Ambrosio con cui c’è sempre stato affetto e stima non solo alla Roma ma anche tra i banchi di scuola, poi nella vita.

Alla mia compagna di vita che mi ha seguito, in posti dalla bellezza molto più che distante da Roma.

Ho un solo rimpianto; mio figlio Samuel non vedrà mai giocare il papà: proverò a raccontargli il mio percorso: magari imparerà che la vita non fa sconti a chi ha cuore e spalle larghe per affrontare e poi scalare, le montagne più terrificanti e impervie".

La mia è una storia che inizia in un modo e termina poi, nella stessa maniera. Una storia apparentemente triste ma in...

Pubblicato da Simone Palermo su Domenica 13 marzo 2022