QUELLA VOGLIA DI NORMALITA' E IL CORAGGIO DI DIRE BASTA

31.03.2020 00:00 di Valeria Debbia Twitter:    vedi letture
QUELLA VOGLIA DI NORMALITA' E IL CORAGGIO DI DIRE BASTA
© foto di TC

Premessa: so che potrò essere banale, populista, demagogica e chi più ne ha più ne metta. Ma il momento, lo sappiamo tutti a nostre spese, è quello che è. Ci siamo lasciati ad inizio mese a parlare prima di porte chiuse, poi quasi subito di un calcio sospeso, quindi abbiamo additato il Coronavirus per averci tolto quei novanta minuti di svago, con la prospettiva che di lì a poco saremmo tornati ma avremmo dovuto fare gli straordinari, con una gara - forse - ogni 72 ore. Ma non avevamo nascosto nulla e c'era quella necessaria postilla: "Se tutto andrà bene". Perché sotto sotto lo sapevamo che questo maledetto Coronavirus ci avrebbe infine stravolto tutti i programmi.

Il problema è che finché non ci sbattiamo la testa rumorosamente e dolorosamente non riusciamo a rendercene veramente conto. Quei bollettini della Protezione Civile delle ore 18 che ci accompagnano da almeno tre settimane sono invece lì a ricordarcelo: perché quei numeri snocciolati ogni sera non sono solo numeri. Sono persone, famiglie con le loro sofferenze, storie interrotte e che non torneranno più. Eppure di fronte a tutto questo, ancora pensiamo al calcio, non riusciamo proprio ad evitarlo. Non c'è nulla di normale ancora (e chissà per quanto), ma l'agenda setting prova a proporci comunque le date della ripresa, le promozioni, le retrocessioni, le Coppe, insomma ci dimostra la voglia prepotente di non dire stop.

Ne restiamo aggrappati perché in fondo abbiamo solo voglia di normalità. Ma la normalità che conoscevamo non tornerà più: lo sappiamo, ma ce la vogliamo raccontare. Sogniamo ventidue ragazzi che corrono dietro a un pallone, sogniamo gli spalti pieni, sogniamo cori e tifosi in festa, ma sappiamo in fondo al cuore che è un orizzonte ancora irrealistico.



Passerà ancora tempo, tanto tempo, forse troppo, prima che la normalità che conoscevamo prima del 22 febbraio (chi vi scrive proprio in quella data ha assistito alla sua ultima partita dallo stadio, Monza-Arezzo 1-1, sembra passato un secolo!) potrà essere anche solo lontanamente ripristinata. Ma il coraggio di dire 'stop' non lo troviamo. Ci raccontiamo che ci sono troppi interessi economici, ci raccontiamo anche che urge il taglio degli stipendi, ci raccontiamo tante belle storielle per dimenticare quei numeri, quelle persone, quel dolore. 

Abbiamo già avuto modo di scriverlo, e non per piaggeria: ha ragione Ghirelli. La gente muore. Quello deve essere il primo pensiero quando pensiamo di intavolare discussioni sul calcio, quando ci infervoriamo al pensiero di chi dovrà staccare il biglietto per la Serie B o dire arrivederci alla Serie C e retrocedere tra i dilettanti. La gente muore sola. La gente muore senza il conforto dei propri cari. Chi scrive è stata colpita nel profondo dei propri affetti 12 settimane fa, e ora quasi tira un sospiro di sollievo al pensiero che sia successo prima di questa emergenza: perché non poter accompagnare chi ami in quel momento è una tragedia nella tragedia. Chi scrive è stata ricolpita in questi giorni e sa ancora di più ciò di cui sta parlando. 

Ci sono priorità anche e soprattutto nei momenti di incertezza, ma ci vuole coraggio per dire basta. Mettiamo al sicuro la nostra salute e troviamolo.

Ps: permettetemi anche un ultimo uso privato del mezzo pubblico. Nei giorni scorsi è mancato un collega, Giancarlo Besana, il decano dei giornalisti monzesi. Circa dieci anni fa ha scommesso su di me, presentandomi con un 'Voi la vedete così timida e introversa, ma dentro ha grandi capacità' e con questo impegnativo biglietto da visita mi ha fatto entrare nel mondo del calcio femminile, mi ha permesso di conoscerlo e viverlo per qualche tempo. Un'esperienza che mi ha fatto crescere umanamente e professionalmente e che senza di lui probabilmente non sarebbe stata possibile. Lo voglio ricordare qui. Ciao Zio Bes!