Ripartire dopo il fallimento: finché ognuno pensa solo ai fatti suoi non si va lontano. Bari col braccino, a Latina per chiudere il cerchio

28.03.2022 02:00 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
Ripartire dopo il fallimento: finché ognuno pensa solo ai fatti suoi non si va lontano. Bari col braccino, a Latina per chiudere il cerchio
TMW/TuttoC.com

Per capire cosa non funziona nel calcio italiano, cari lettori, bisogna partire dalla Serie A. So che qui si parla di C, ma concedeteci un minimo di tempo. A cavallo del fallimento più colossale nella storia del calcio italiano, tre società - Inter, Atalanta e Udinese - hanno presentato tre ricorsi inutili, che sanno benissimo di non poter vincere e che non servono a nulla se non a perdere tempo. È in questa incapacità di ragionare a sistema, in questa litigiosità spinta, che si nasconde il vero nemico da sconfiggere per chiunque voglia riportarci fuori dalla tenebra in cui la sconfitta di Palermo ci ha fatti ripiombare. È la stessa incapacità di ragionare in maniera condivisa che ha portato la stessa Lega di A a non concedere l’agognato rinvio dell’ultima di campionato. Intendiamoci: un mancato vantaggio di questo tipo non basta a spiegare il ko contro un avversario modestissimo come la Macedonia, ed è stato francamente ridicolo anche solo parlarne a pochi minuti dal disastro. Però la questione di fondo resta. Ognuno, perdonate il francesismo, pensa ai cazzi suoi e non si cura di chi gli sta attorno. Poi “gli altri” diventano “noi” e si scopre all’improvviso che forse conveniva perseguirlo tutti insieme, questo maledetto bene comune.

Premesso che è quantomeno incredibile non aver registrato - e non vederla neanche all’orizzonte - alcuna dimissione del vertice federale, è anche in questa incapacità di fare sistema che si annidano le vere ragioni per cui il calcio italiano dovrebbe fermarsi a riflettere. E non aver toccato nelle sue fondamenta, in tre anni e mezzo di mandato pur minati dall’emergenza, la struttura del nostro pallone è la principale responsabilità del presidente Gravina, al di là del fallimento più colossale nella storia del calcio italiano. E torniamo a parlare dell’agognata riforma: chiacchiere, chiacchiere e altre chiacchiere. A oggi, non c’è neanche un progetto di cui si discuta. Roba da pazzi, ma il motivo è presto detto: il presidente FIGC, soprattutto dopo aver blindato Lega Pro e Lega Dilettanti, oggi avrebbe anche la solidità politica per portarla avanti. Ma ha senso una riforma sulla quale la Serie A ha l’ultima voce in capitolo? Ovviamente no, e infatti non si fa. Da parte della Lega di A c’è, chiariamoci, grandissima ottusità in tutto ciò. Però il braccio di ferro non porta da nessuna parte: la baracca, tutta la baracca, la portano avanti quelli lì. Tutti i pesi e contrappesi di questo mondo non cambieranno questo banale dato di fatto. 

Riforma - dei campionati, del peso decisionale - a parte, le cose da migliorare sono tante: il rischio da evitare a tutti i costi è la replica del 2017. Proteste proposte promesse, poi ti guardi indietro sono passati cinque anni e non è cambiato niente. Proviamo a parlare di alcuni aspetti che toccheremmo, senza la pretesa di essere esaustivi. La riduzione delle squadre professionistiche, non prendiamoci in giro, è una necessità assoluta. Sono tante e troppe ovunque: non solo in C, ma anzitutto in C. Capitolo “stranieri”: vi invito a leggere l’editoriale di De Magistris di ieri su TMW, se c’è una battaglia che merita di essere combattuta è quella lì e finora non abbiamo sentito la Federcalcio parlarne mai. Andiamo avanti: in che stadio abbiamo giocato la gara con la Macedonia? Palermo è la quinta città italiana, il Barbera a livello europeo è imbarazzante. Non per un caso specifico: lo stesso vale per l’Olimpico di Roma - uno stadio che non ha un mezzo pubblico che sia uno a servirlo durante la partita, roba da matti - ma sono imbarazzanti anche il San Paolo, il San Nicola e via dicendo. Torino a parte, gli unici stadi nuovi e di proprietà sono in città medio/piccole, sempre e comunque per merito dei club. La Lega Pro, da questo punto di vista, si è spesa come la Federazione non ha mai saputo fare, ed è assurdo. 

Andiamo avanti e prendiamoci qualche riga: le seconde squadre. Ma di cosa stiamo parlando? C’è solo la Juventus. Chi scrive pensa che siano una grande innovazione, ma averne solo una non ha alcun senso. Può darsi che siano fessi tutti gli altri? Ne siamo sicuri, intanto vanno però convinti. Oggi le seconde squadre sembrano un peso, anzitutto economico. La verità è che non lo sono, ma attorno a questo tema bisogna riflettere: o vengono incentivate, o vengono abbandonate. Così, come ha detto Gianluca Pessotto qualche settimana fa su queste pagine, pare che non siano importanti per nessuno. All’argomento si ricollega quello dei giovani. Fa spuntare un sorriso amaro che se ne debba parlare dopo aver perso con la nazionale numero 67 del ranking FIFA. Però almeno cogliamo l’occasione. Imporre l’impiego dei giovani non porta lontano, lo abbiamo già visto. Va reso conveniente e il minutaggio - con i suoi limiti - va almeno ideologicamente in questa direzione. Però il punto è capire dove questi giovani debbano giocare: l’abbiamo scritto come provocazione in passato, parlando di abolizione, ma il campionato Primavera va pesantemente ripensato. E la C ha due obiettivi: rappresentare le realtà che non trovano spazio più in alto e farsi serbatoio di talenti, che come ha scritto Maschio su queste pagine sono già tanti. La concorrenza col campionato Primavera, almeno per come è strutturato oggi, non ha alcun senso.

Due righe sull’ultima giornata. Il SudTirol gioca col fuoco e prova a suicidare la propria promozione, a Pasqua si gioca col Padova e sarebbe incredibile se sfumasse la promozione. Non può farlo quella del Bari che invece gioca col braccino. Troppo caricata di aspettative la partita con la Fidelis, che se non si fosse giocata sarebbe stata più divertente. I biancorossi hanno comunque accumulato un vantaggio tale da poter considerare solo rimandato il discorso Serie B. E forse è anche meglio così, almeno più romantico: anche se lontano dal San Nicola, non ci sarebbe nulla di più poetico che riconquistare la cadetteria a Latina, dove non molti anni fa è sfumato il sogno di tornare fra i grandi, al termine della meravigliosa stagione fallimentare. Un cerchio che si può chiudere.