Torna lo spettro dello stop? Un anno dopo e tante armi in più: non è una soluzione, sarebbe una catastrofe

08.03.2021 00:00 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
Torna lo spettro dello stop? Un anno dopo e tante armi in più: non è una soluzione, sarebbe una catastrofe
TMW/TuttoC.com

Da oggi, non potremo dire più “ti ricordi cosa facevamo un anno fa”. Semplice: eravamo a casa, in lockdown. Spaventati, eppure con uno spirito molto diverso da quello che si vive oggi. Non vale più chiedersi: “ci pensi se te l’avessero detto un anno fa”. Iniziavamo a capire cosa ci saremmo dovuti aspettare dai giorni futuri. Non è andato tutto bene, restiamo convinti che in qualche giorno ce la faremo. In queste ore, mentre la terza ondata preoccupa l’Italia, torna a riaffiorare anche uno spettro del marzo 2020. Dalle dimensioni più limitate, per carità: circoscritte a chi vive di calcio, che comunque resta una buona parte del Paese. C’è il rischio che i campionati si possano fermare?

La risposta è facile: non ce lo possiamo permettere. Per mille ragioni. La più semplice: l’anno trascorso non può essere passato invano. E per molti aspetti non lo è: rispetto al primo lockdown e alla prima sospensione dei campionati di calcio, siamo più preparati. Non abbiamo ancora capito benissimo tante cose, ma per combattere il nemico invisibile abbiamo tanti armi in più. Ci siamo dotati di strumenti e protocolli, regole e una marea di tamponi. Ogni tanto qualcuno fa il furbo, le polemiche non ce le facciamo mancare, ma in fin dei conti la barca sta navigando in questo mare tempestoso. La situazione non è tranquillizzante, nessuno può sostenerlo: a dicembre ci eravamo illusi di averla in qualche modo sfangata, non è proprio così. Ma cedere di nuovo, fermarsi di nuovo, sarebbe una mossa che non abbiamo neanche il lusso di concederci.

Rispetto a un anno fa, il calcio si è dato da fare. Ancora, litigioso e contraddittorio, ma ha messo in piedi una serie di meccanismi grazie ai quali può fronteggiare questa nuova emergenza. Continua ad avere il brutto vizio di non immaginare lo scenario peggiore, ma almeno ha fatto di tutto per evitare di doverlo affrontare. Sono le ultime settimane a dare il quadro: i focolai ci sono, ma in qualche modo si controllano. A maggior ragione in Serie C, dove tutto sommato il calendario offre molti spiragli in più, e nel complesso va riconosciuto alla maggior parte delle società di essersi comportate bene, di aver polemizzato il giusto, di essersi date da fare. Un anno fa, fermarsi era più o meno inevitabile: il calcio lo doveva al Paese, anzitutto. Ma lo doveva anche a sé stesso, per capire come difendersi e come andare avanti. Oggi, il Paese vuole ripartire, in qualche modo, chiede ossigeno. I club di cui sopra sono allo stremo delle forze, e dire loro di fermarsi rappresenterebbe dare uno schiaffo a tutti gli sforzi fatti per avere un campionato il più possibile regolare, nell’anormalità di questi dodici mesi che non dimenticheremo mai. Non è una soluzione, sarebbe una catastrofe. E con un anno d’esperienza in più, abbiamo un solo dovere: farci trovare pronti.