ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente : Ettore Ferraroni

Negli anni d'oro del calcio italiano, quelli in cui iniziava la staffetta tra la Juventus e il Milan nei cicli vincenti, a cavallo tra gli '80 e i '90, Ettore Ferraroni rappresentava la risposta dei club minori allo strapotere dei più grandi e forti. Cremonese di nascita, Ettore ha indossato la casacca grigiorossa divenendone il simbolo. Non era un giocatore dotato tecnicamente, ma dava quell'anima che il tifoso non confonde con altre doti, ma apprezza maggiormente.
Centrocampista di fatica e di poco governo - se lo fosse stato si sarebbe collocato all'opposizione della maggioranza stessa - Ferraroni è cresciuto nelle giovanili della Cremonese e con questi colori si è costruito una carriera da leader silenzioso, poco bisognoso di fari e riflettori. Quelli occcorrevano agli altri, lui preferiva riservarsi il fiato per la domenica in campo, quando c'era da dare l'anima e lui, con quel suo fare così discreto con i piedi poco educati, doveva andare oltre le sue possibilità per essere quanto meno all'altezza del ruolo che aveva.
Allora si giocava tutti alla stessa ora e la domenica era consacrata come la giornata del calcio. Quello che si chiamava spezzatino era fatto di carne, a tavola, non di partite in giorni diversi. Una delle poche eccezioni era la Coppa Anglo-Italiana, che si giocava il sabato. Una competizione dove vi partecipavano sedici squadre, suddivise tra inglesi (della Division One, ndr) e italiane, composta dalle quattro retrocesse dalla A e le migliori quattro non andate nella massima serie la stagione precedente. Nell'edizione 1992/93 la Cremonese sul suo percorso troverà il West Ham, il Tranmere Rovers, il Derby County, il Bristol e la semifinale giocata contro il Bari.
In finale si gioca a Wembley, nel tempio del calcio contro il Derby County, guidato da un italo inglese, Marco Gabbiadini. Il successo per 3-1 al "Baseball Ground" è di buon auspicio, ma la Cremonese si trova davanti a sè quarantamila tifosi inglesi pronti a trascinare il Derby al successo. A dire il vero la partita non ha storia, con la squadra allora allenata da Gigi Simoni che gioca un incontro perfetto, strapazzando gli anglosassoni con il punteggio di 3-1. I quasi duemila tifosi della Cremonese possono festeggiare nel loro spicchio di stadio un successo storico che ancora oggi è ricordato con affetto da Ettore Ferraroni, il quale diede il suo fattivo contributo alla vittoria con il gesto del calcetto al dischetto del rigore nella partita contro il Tranmere Rovers. Qualche anno dopo Riccardo Maspero ha replicato con la maglia del Torino nel derby contro la Juventus (terminato 3-3), con Salas che sparerà in tribuna il tiro dal dischetto.
Teatro dell'episodio è la sfida del secondo turno della competizione contro il Tranmere: partita in equilibrio al "Prenton Park" con gli inglesi che si battono alla morte. C'è un rigore per i padroni di casa, sul dischetto si dirige Alridge. Piccola finta prima di tirare e giocatori grigiorossi che protestano con l'arbitro che decide per la ripetizione del tiro dagli undici metri. Tra quelli che non sono vicino al direttore di gara c'è Ettore Ferraroni che intanto con un paio di calcetti rende il dischetto meno appetibile al calcio di Alridge. Difatti l'attaccante sbaglierà il successivo tiro dagli undici metri e l'incontro terminerà sul 2-2.
La sua vita in grigiorosso ha vissuto anni memorabili come la serie A (dopo 54 anni di assenza) nel 1985/86 da giovanissimo con Bruno Mazzia in panchina e un rapporto mai nato tra i due. Potremmo raccontarvi tutto, ma il protagonista è Ettore Ferraroni e sarà lui l'ospite in esclusiva di questo 77° appuntamento con "Mi ritorni in mente", sempre più proiettato a spegnere la sua terza candelina a metà marzo.
Ettore, attualmente di cosa ti occupi?
"Ho un'azienda di famiglia che si occupa di mangimi".
Hai proprio chiuso con il calcio?
"Si, vado sempre a vedere la Cremonese. Sono amico della dirigenza, ma non ho un ruolo specifico. Avendo questa azienda ho deciso di dedicarmi ad essa".
Ti manca il calcio?
"I primi anni che ho finito, si. Adesso bene o male sono rientrato, come si dice in questi casi, nei ranghi".
Quanto è durata questa nostalgia?
"Dal '97 quando ho appeso gli scarpini al chiodo è stata dura per il primo anno".
Che rapporto hai con i tifosi della Cremonese?
"Ottimo. E' una grande soddisfazione questa: sono passati tanti anni e tutt'ora quando mi incontrano mi fanno i complimenti e mi dicono: quando c'eravate voi era diversi. Eravate realmente attaccati alla maglia, non ora dove tutti pensano ai soldi".
Sei un cremonese che ha giocato con la maglia della Cremonese
"Sono andato alla Cremonese che avevo dieci anni. Ho fatto prima un anno all'oratorio del mio paese, Bonemerse. Mi vennero a vedere gli osservatori del club e da lì feci un provino. Ho fatto tutta la trafila nelle giovanili fino ad arrivare alla Primavera, dove abbiamo vinto una Coppa Italia di categoria contro il Lecce. Nei pugliesi c'era un giovanissimo Antonio Conte. Però ai miei tempi la Primavera non era considerata come oggi: allora lo spazio sui giornali era minimi, mentre oggi chi vince un trofeo nei settori giovanili ha pagine intere di giornali".
Quale è stata la differenza che hai notato nel salto dalla Primavera alla prima squadra?
"E' un salto notevole. Finchè giochi come un dilettante e non ci sono i soldi, ti diverti, mentre quando arrivi in prima squadra, diventi professionista e questo diventa un lavoro. C'è una cattiveria e un modo di affrontare la partita in modo diverso".
Nello spogliatoio voi giovani come venivate accolti?
"Per fortuna molto bene. C'erano calciatori sia a livello calcistico che umano, straordinari: i vari Bencina, Nicoletti, Montorfano, Chiorri, tutta gente che sapeva come proteggerti e farti crescere sotto tutti gli aspetti".
Parliamo dei tuoi ex compagni e tra questi hai nominato Alviero Chiorri: detto il marziano. Un carattere particolare il suo.
"Uno dei giocatori più forti tecnicamente con cui ho giocato. In un'intervista a Sky anche Marcello Lippi ha ammesso che Alviero è stato uno dei giocatori più forti che il calcio italiano abbia prodotto. Come dici bene: carattere particolare, molto lunatico: c'erano giorni in cui entravi nello spogliatoio e rideva e scherzava con te. Il giorno successivo, entrava in maniera silenziosa, salutandoti all'arrivo e quando andava via".
Tecnicamente non eri bravo come Alviero, però gettavi il cuore oltre l'ostacolo.
"Fisicamente andavo anche bene, solo che con i piedi non ci sapevo fare come tanti di quegli anni. Avevo forza, corsa, giocavo prevalentemente di destro e con il sinistro ho avuto sempre un cattivo rapporto, divenendo con gli anni un difetto che un po' per colpa mia e un po' perchè chi doveva aiutarmi a migliorarmi non l'ha fatto, mi ha portato a non essere un calciatore migliore. La mia forza era la grinta, la voglia di non perdermi mai d'animo, dare tutto per la squadra. Principalmente giocavo in particolar modo sugli attaccanti avversari e mi capitava di avere a che fare con quelli più pericolosi. Cercavo di limitare i danni".
Davi tutto sul campo.
"Era quello che piaceva ai tifosi: potevano fischiarti, ma apprezzavano il tuo sforzo nei novanta minuti".
Parliamo della Cremonese: ogni anno sembra quello buono per tornare in B, però ogni volta manca qualcosa.
"Da quando è arrivato il Cavalier Arvedi, di investimenti ne ha fatti tanti: ha costruito un centro sportivo all'avanguardia. Però lui di calcio non se ne intende. La mia non vuol essere una critica, ma una constatazione di fatto. Non è mai venuto allo stadio e si affidato a gente che gli ha solo tolto dei soldi senza portare alcun risultato. L'errore maggiore l'hanno fatto i primi anni, quando volevano fare il salto di categoria e hanno preso giocatori di serie B, pagandoli come se fossero elementi di serie A, non rispondendo alle aspettative della piazza".
Con la maglia grigiorossa hai vinto una Coppa Anglo-Italiana. La finale contro il Derby County non l'hai giocata, essendo squalificato.
"E' vero, purtroppo presi un'ammonizione che mi è costata la finale. Se durante il campionato l'allenatore Simoni faceva giocare la squadra titolare, nella Coppa faceva scendere in campo chi non giocava spesso: nella finale invece si presentò la squadra titolare".
C'è un episodio che ti lega a quella competizione: la fossetta scavata nella partita contro il Tranmere Rovers che fece sbagliare Alridge.
"L'aveva già calciato il rigore e l'aveva segnato. L'arbitro, a seguito delle nostre proteste per la sua finta prima di calciarlo, fece ripetere il tiro dal dischetto. Io mi avvicinai alla lunetta e d'istinto scavai con il piede una piccola buca che poi ha permesso a Turci di parare il successivo rigore".
Lo fece anni dopo anche Riccardo Maspero con la maglia del Torino contro la Juventus.
"Si, ma sono analogie che vengono colte, ma non ne vedo molte personalmente. E' stato un caso, tutto qui".
Il 28 marzo 2003 a Wembley c'erano circa quarantamila tifosi inglesi e quasi duemila tifosi grigiorossi.
"E' stata un'enorme soddisfazione, da cremonese vincere con la squadra del mio cuore. Lo paragono agli anni della serie A. Per una città così piccola come Cremona, vincere un trofeo è stato qualcosa di indescrivibile, di storico".
Dando uno sguardo alla tua carrriera, il tuo primo allenatore nella prima squadra è stato Emiliano Mondonico, poi arrivò Bruno Mazzia, con il quale non hai mai legato particolarmente.
"Non c'era feeling tra di noi. Quell'anno (1986, ndr) non giocai mai e andai a Novara. Tornai che in panchina c'era Burgnich (1989)".
Mondonico ti fece esordire in A contro il Pescara: il 2 marzo del 1986.
"Era un maestro, non solo di calcio, ma soprattutto di vita. Professionalmente era uno dei pochi che sapeva leggere le partite alla perfezione, riuscendo a cambiare volto alla squadra con poche mosse. Molte volte, quando eravamo in panchina, ci diceva in anticipo cosa sarebbe successo: state a vedere che tra dieci minuti segnamo, sono cotti ormai. Oppure diceva: tolgo una punta, metto un centrocampista, sposto Lombardo (Attilio, ndr) da destra e lo metto avanti e vinciamo, state tranquilli. E otto volte su dieci accadeva. Un grande uomo".
Mentre Gigi Simoni (dal 1992 al 1996)?
"Grande persona, in particolar modo era uno che guardava in primis i valori. Per lui il giocatore doveva essere prima uomo, poi calciatore per poter giocare. Allenatore completo al cento per cento. Quando allenava dedicava il suo tempo al perfezionamento degli schemi di gioco".
Burgnich?
"Ottima persona anche lui. Se lo vedi la prima volta ti fai un'idea di lui sbagliata: ti sembra un burbero, un duro che nello spogliatoio fa chissà cosa, invece è l'esatto opposto: anche troppo buono".
Hai avuto anche Nedo Sonetti (nel 1997)
"Un sergente di ferro, con un carattere particolarmente duro. Un altro allenatore che ricordo con piacere, anche se era alla fine della sua carriera da tecnico è stato Gustavo Giagnoni. Arrivò a Cremona a quindici giornate dalla fine della stagione 1990/91, dopo l'esonero di Burgnich. Avevamo quattro punti di vantaggio sulla quart'ultima (retrocedevano in quattro dalla B alla C1, ndr). Dacché è arrivato lui abbiamo fatto quindici partite senza perdere, vincendone dieci e pareggiandone le altre, arrivando in serie A".
Cosa è cambiato in quelle partite?
"Quando c'era Burgnich lo spogliatoio non era unito: c'erano vari gruppi che mettevano in difficoltà la compattezza della squadra. Giagnoni, ha subito fatto piazza pulita, mettendo da parte i vecchi, facendo giocare i giovani, lanciando ragazzi come Maspero, Bonomi, Marcolin e Favalli, arrivando in serie A".
Come abbiamo avuto modo di evidenziare nel corso della nostra intervista, tu eri un centrocampista di fatica, attorniato da calciatori che davano del tu al pallone. Oggi invece quelli che sanno giocare a calcio sono diventati la minoranza, con tutti onesti mestieranti intorno a lui.
"Negli anni che ho giocato c'erano giocatori di livello internazionale che sapevano trattare il pallone. Ho avuto la fortuna di marcare i più forti: Maradona, Baggio, Rui Costa, Paulo Sousa, Platini, Mancini".
Di tutte le maglie che hai collezionato, ce n'è una di cui conservi un ricordo particolare?
"Di Roberto Baggio le ho tutte e quattro: con la Fiorentina, la Juventus, l'Inter e il Milan. Ho quella di Careca con il Napoli. Devo dire una cosa: tutti i campioni che ho marcato, erano persone a modo che sul campo ti rispettavano e sapevano farsi rispettare".
Ce n'è uno in particolare che ricordi con piacere?
"Roberto Baggio. Era una persona straordinariamente umile: ogni volta che mi vedeva mi abbracciava, mi baciava, mi faceva sentire un campione, quando in realtà ero un mediocre giocatore. Quel suo non sentirsi superiore lo rendeva speciale".
Siamo quasi alla fine dell'intervista: la Lega Pro è il campionato dove giocano prevalentemente giocatori giovani. Ti chiedo: secondo te l'Italia calcistica è un paese per giovani?
"Ho visto ultimamente un programma su Sky dal titolo "Il calcio malato" e parlando del problema che hai posto nella domanda, si è analizzato il fenomeno Inter che qualche anno fa vinse la NextGen Series (oggi non esiste più, si chiama Youth Champions League, ndr), non ce n'era uno che attualmente gioca nella prima squadra. Nell'Ajax che sfidò i nerazzurri in finale, ben sette giocano nella rosa dei lancieri. Non c'è molto da aggiungere. Mettiamoci la cultura del tifoso italiano che vuole vincere e se tu allenatore metti un giovane che alla prima partita sbaglia, iniziano a fischiarlo, corri il rischio di bruciarlo".
Anche tu hai avuto le stesse difficoltà dei ragazzi di oggi?
"No, per fortuna no. C'erano molti meno stranieri e la Cremonese stessa puntava molto sul proprio settore giovanile. Sono venuti fuori molti ragazzi: Cabrini, Prandelli, Vialli, Marcolin, Favalli, giusto per dirne alcuni. Non è facile trovare giovani all'altezza: le regole non aiutano purtroppo".
Prossima intervista per "Mi ritorni in mente": domenica 1 marzo 2015
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