ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Gibì Fabbri

ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente: Gibì FabbriTMW/TuttoC.com
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domenica 24 giugno 2012, 22:30Interviste TC
di Daniele Mosconi

"Nella mia vita ho avuto due amori, completamente diversi: la Elena (la moglie) e la Spal". Questo è ciò che Gibì Fabbri vorrebbe ci fosse scritto sul suo epitaffio il giorno che non ci sarà più. Abbiamo voluto cominciare così, con questa confessione di un uomo che ha 86 anni ma una lucidità ammirevole, perchè Signori come il "Gibì" ne nascono pochi, e noi di TuttoLegaPro.com siamo orgogliosi di averlo potuto intervistare in esclusiva per questo spazio redazionale, dal titolo: "Mi ritorni in mente".

Ci sono personaggi che nel mondo del calcio oltre a farne la storia, ne sono stati grandi protagonisti. Lui ha fatto entrambe le cose, ma soprattutto lui è la Spal, lasciando nei cuori dei tifosi spallini, ricordi indelebili.

Sui giornali c'era sempre quel "G.B." prima del suo cognome, quando si leggeva la formazione e c'era l'allenatore. A dire il vero ci son voluti tanti mesi per capire cosa si nascondesse dietro quell'abbreviazione. Alla fine, affettuosamente lui venne chiamato: Gibì Fabbri. Giovan Battista Fabbri, 86 primavere.

Quando lo abbiamo contattato la prima volta, al telefono, era all'incirca l'ora di pranzo. Era nell'orto. Quando ce l'hanno detto, abbiamo stentato a crederci. La sua voce è gentile, molto paciosa. Gli chiediamo un'intervista per parlarci della sua vita prestata al calcio: "Non c'è problema, quando vuole", con quella inflessione romagnola che ce lo fa immaginare più giovane, ricordando "i vitelloni" di felliniana memoria.

Ha allenato fino alle soglie del terzo millennio, avendo tra i suoi giocatori gente come Enzo Bearzot (Ct della nazionale campione del mondo a Spagna '82), Paolo Rossi, Fabio Capello, Edy Reja. E tutti, ma proprio tutti, quando parlano di Gibì, si tolgono il cappello. Il campione del mondo di España '82, il Pablito nazionale, in una breve intervista ebbe a dire di lui: "Devo tanto a Gibì, è stato il mio grande unico e inimitabile maestro. Fu lui (quando giocava nel Vicenza, fine anni '70) a puntare su di me, a trasformarmi da mezz'ala a centravanti, ed a farmi raggiungere i risultati importanti della mia carriera. A mister Fabbri mi lega un rapporto che può essere tra un padre ed un figlio, che da sempre è andato oltre l'aspetto professionale".

Su questo grande campione, c'è un retroscena che Fabbri ci racconta con il sorriso sulle labbra: "C'era il presidente del Vicenza (Giusy Farina ndr) che mi disse: guardi mister, Verza (Vinicio ndr) è un fuoriclasse, poi c'è quel Rossi che a me pare un vero bidone. Veda lei cosa può fare, non vorrei che il Giampiero (Boniperti, allora presidente della Juventus ndr) mi avesse rifilato un pacco. Io gli dissi: guardi presidente, con la calce si può fare un muro, ma con un giocatore è difficile che si possa farlo divenire un fenomeno se non è capace. Così l'ho provato e vedevo che questo (Paolo Rossi ndr) quando prendeva palla non gliela toglieva mai nessuno. Così ho pensato che se lo spostavo più avanti, questo faceva sfracelli. E così è stato, divenendo il grande campione che è stato".

E' lui, il protagonista di questa 8^ puntata di "Mi ritorni in mente" la rubrica della redazione di TuttoLegaPro.com che vuole ricordare i personaggi del passato che hanno fatto la storia nelle squadre attualmente militanti in Lega Pro.

Ha allenato tantissime squadre, ma dove ha lasciato un segno incancellabile è stato alla Spal. Tornando al nostro primo contatto, quando gli diciamo che l'intervista sarebbe stata incentrata sulla formazione estense, la sua voce si accende per dire: "Ci ho fatto 12 anni, veda lei se non ho qualche ricordo piacevole". Un po' come un padre quando parla di un figlio lasciato andar via per lavoro.

Accomodatevi, perchè da ora in poi rivivremo i frammenti di una storia d'amore tra il Gibì e il calcio, che dura ancora oggi nonostante sia ormai un ex allenatore. Avevamo preparato tante domande, ma ha stravolto tutto con la sua spontaneità e sincerità. Ogni tanto la sua voce aveva un calo, perchè i ricordi di una vita, quando ne parla: "Mi fanno emozionare, ed io sono sempre stato uno molto vero, amante della semplicità. Ho avuto poco nella mia infanzia, così quando vedevo cose belle, ero capace anche di far scendere una lacrimuccia".

Ha una memoria incredibile. A riprova di ciò, gli facciamo presente che lui ha allenato per 60 anni circa, ma subito ci corregge: "Per 57 anni, per fortuna ho una buona memoria".

Chissà quanti ricordi nella sua carriera...

"Eh, cosa vuole che le dica (ricorrerà spesso questo intercalare, tipico dei dialoghi di quelle zone), un'infinità, tutti molto vivi nella mia mente. Ricordo i primi calci a Cento. Nel '42, con la bici andai a vedere il derby tra il San Pietro in Casale e la Centese. Arrivai lì per vedere se potevo entrare, mi ferma uno e mi dici: Battista, vuoi giocare? Ed io rimasi sbigottito, dicendo che non poteva essere una cosa simile. E lui insistendo: ma dai, ne manca uno. Ed andai in campo. Correvo, ero uno generoso, come lo sono sempre stato nella mia vita. Magari non ero bravo, però il fiato mica mi mancava accidenti. Mi chiamavano "brusalerba" (brucia erba, perchè era un uomo di fascia)".

20 anni fa lei fu l'artefice dell'ultima promozione in B della Spal e su questo ci torneremo più avanti. Cosa prova a vedere questa società in queste condizioni, con un piede e mezzo nella fossa?

"Tanto dolore, perchè qui a Ferrara la Spal è una cosa di famiglia, prima c'è la moglie, poi c'è lei, quasi fosse un'amante, accettata di buon grado anche dalle mogli. Purtroppo questi signori son venuti qui, convinti di scoprire l'America, così negli ultimi quattro-cinque anni hanno fatto solo danni. Abbiamo sempre avuto un passato discreto, mentre ora ci tocca vivere questi momenti bui".

E' un uomo schietto e sincero il Gibì, nato per il calcio: "A me le scrivanie non piacevano, io volevo solo stare sul campo, volevo insegnare il calcio e credo che le cose stiano peggiorando negli ultimi anni".

In che senso?

"Ma si dai, se io vedo un calciatore battere il calcio d'angolo e la tira addosso al portiere, il cronista urla che questi ha fatto una gran parata. Ma cosa dice! Io darei un grosso calcio nel sedere al giocatore che gliel'ha tirata addosso, altro che tanti discorsi accademici. Il calcio d'angolo è un occasione importante per segnare e te la tiri addosso al portiere, ma se ti prendo..."

E giù una risata, di quelle che arrivano quando si è nella foga del discorso. Si parla che è un piacere, come se non ci fosse un telefono e tanti chilometri a dividerci, ma un bicchiere di vino rosso di queste parti e qualche stuzzichino ad accompagnare il nettare degli dei su un tavolo, capace di stordire come poche cose al mondo, talmente è duro.

Cosa le manca maggiormente del calcio?

"Eh, mi manca l'insegnamento, perchè io ho sempre pensato che il calcio sia una cosa molto semplice, non stando tanto dietro a quelli che fanno della preparazione atletica il loro unico fine. Cosa me ne faccio della corsa se non so calciare un pallone".

Si sente la foga dell'appassionato quando ci parla di questi piccoli dettagli, per lui fondamentali: "Ho sempre predicato calcio, come si effettuano passaggi giusti, come si calcia il pallone, altro che corse inutili che poi ti fan male le gambe".

Parliamo della sua Spal. Quella promozione in B (anno 1992 nd).

"La ricordo come fosse ora. Eravamo alla penultima giornata, eravamo a Siena, facemmo 0-0, convinti che ancora non fosse finita, invece la matematica ci regalò questa enorme soddisfazione. Tornammo la sera a Ferrara, al "Paolo Mazza" e c'erano almeno 15 mila spallini entusiasti. Cose da far drizzare i capelli, perchè non capitava spesso".

Ricorda qualche giocatore di quella squadra?

"Certamente! Ricordo il Lancini (difensore nd), bravo ma dai piedi un po' duretti a dire il vero, però quell'anno fu capace di fare un gol che ancora oggi quando lo sento glielo ricordo e lui ride. C'erano Zamuner, quanto correva, e Bottazzi. Inoltre c'era anche Paramatti. Tutti dicevano: mister ma questo non è buono, ed io dicevo l'esatto contrario, sostenendo che avesse stoffa da vendere. Ed infatti andò alla Juventus. Se non era bravo, poteva mai andare alla Juventus?". 

Senta, parlando dei suoi tanti giocatori che ha allenato, ce n'è uno in particolare: Enzo Bearzot (dal '59 al '63). 

"Era una gran bella persona, molto colto, leggeva tanto. Una pasta d'uomo, che nonostante non sia mai stato un fulmine di guerra in mezzo al campo, era un generoso, capace di farsi in quattro per gli altri. Pensi che abbiamo fatto il corso di Coverciano insieme".

Senta, ha un rammarico nella sua vita che ancora non riesce a spegnersi dentro di lei?

"Ne ho molti, ad esempio quel Vicenza che arrivò secondo nel campionato 1977-78. La stagione successiva, il presidente Farina (poi anche proprietario del Milan) volle monetizzare e quel giocattolo si ruppe irrimediabilmente. Ne ho un altro che ancora oggi, se ci penso mi fa male. Lei non lo sa, ma io ho giocato per sei anni a Messina, così ogni volta che tornavo su, con la Elena (la moglie nd) si stava insieme e si stava bene, però ogni volta quando pensavo che dovevo fare più di mille chilometri per tornare a giocare a calcio, mi dispiaceva non poco. Alla fine dopo che tornavo sul manto erboso, tutta la malinconia passava in fretta. Per me il calcio è stato più di un amore".

Entriamo in punta di piedi nella sua vita privata, ce lo consente?

"Ma certo, quali segreti può mai avere un signore di 86 anni?".

Quanto è stata importante sua moglie Elena nella sua vita?

"E' stata qualcosa di più, come le dicevo, ogni volta che scendevo giù in Sicilia era una martellata mica da poco. Ci scrivevamo le lettere d'amore, il telefono non c'era mica. Così quando tornai su, le dissi: mi vuoi sposare? Altrimenti qui ci facciamo vecchi. E nel 1955 nel mio paese, erano sì e no mille abitanti, io giocavo in A, si figuri che festa che c'è stata".

E' molto emozionato quando parla della sua metà e sinceramente ci è risultato difficile non sentire anche dentro di noi un sommovimento, tale era il coinvolgimento del Gibì quando ci ha parlato della Elena. La chiama così, in terza persona, un po' come si faceva un tempo e come narravano gli scrittori più importanti. 

Come vi siete conosciuti?

"Eravamo vicini di casa, lei abitava dietro la mia finestra della camera. Così quando non potevamo vederci, ci mandavamo i baci dalla finestra. Erano amori molto casti, però più sinceri".

Ormai il buon Gibì è visibilmente emozionato: "Mi ha sempre voluto bene, era sempre presente, è una persona fondamentale nella mia vita. Quando non c'ero per lavoro, lei defilata, c'era sempre".

Lei ha ancora un sogno nel cassetto, oppure ormai i sogni non fanno più parte della sua vita?

"Sì, se ci penso, avrei voglia di tornare - non tanto per allenare - ma per fare il tutor con un vero allenatore, per insegnare come si fa questo mestiere, per far capire alle nuove generazioni come si calcia un pallone, come si fanno i passaggi. Ne ho visti troppi di maestri fare una brutta fine nella mia lunga carriera. A me che mi consideravano vecchio, alla fine io sono sempre rimasto in piedi".

Fabbri, ha la saggezza di chi ha raggiunto una certa età. Così quando si parla di certe cose, ad esempio le emozioni che gli ha regalato il calcio, non nega che ogni tanto è scappata una lacrima.

"Eh sì, è successo spesso, perchè sono una persona semplice, molto sensibile, così quando i miei ragazzi raggiungevano dei risultati, oppure facevano un gol particolare, magari studiato in allenamento, io ero contentissimo e l'emozione diveniva commozione".

Quand'è l'ultima volta che si è commosso?

"L'altra sera, dei ragazzi classe '92 mi hanno regalato una targa con una dedica speciale. Appena l'ho letta, accidenti mi son messo quasi a piangere. Cosa vuole: sono uno sensibile".

Ci racconta la sua infanzia?

"Avevo tre fratelli maggiori - sempre con la Gazzetta sotto il braccio, guai se un giorno non c'era - che nel '35 mi regalarono il primo pallone di cuoio. Ero contentissimo, perchè ci giocavo, ma non avevo le scarpe. Non c'erano mica quelle scarpette che ci sono ora. Allora tutto era alla buona. Ho sofferto la fame della guerra, ho vissuto di tante privazioni, ma non mi dispiace sa, perchè ho insegnato alcuni valori ai miei figli e ne sono molto orgoglioso".

C'è qualcuno nel mondo del calcio che ancora oggi sente di stimare particolarmente?

"Giampiero Boniperti. Gli ho sempre dato dei dispiaceri enormi (ad esempio un 2-2 a Torino con la Spal, quando giocavamo in A, nel 1955\56 in cui segnò anche lui). Lui ogni volta che mi vede mi dice sempre: te sei pericoloso e ride. Mi ha regalato la medaglia del 16° scudetto. Ancora oggi la conservo gelosamente".

Tornando alla sua Spal, non le viene mai voglia di tornare ad allenare?

"Certo e me lo chiedono anche i tifosi della tribuna Ovest, gli spallinati. Mi dicono: Gibì ma diglielo te come si gioca. Poi mi rendo conto che ho una certa età e tutto svanisce".

Quando torna al "Mazza" cosa prova?

"E' sempre una cosa bella, come posso descriverla!? Certo la solfa è sempre quella, il livello è basso, ed alle volte mi chiedo come facciano a sbagliare certi gol. Il calcio si è molto involuto. Un tempo l'uomo da fondo campo dava la palla in mezzo, ora tira. Roba da matti. E la gente applaude!".

Il più bel complimento che ha ricevuto, chi glielo ha fatto?

"Sicuramente Gianni Brera. Venne a vedere una partita del Vicenza - lo ricordo come ora, era contro il Vicenza - e mi disse: non sapevo che in provincia si giocasse un calcio così bello. Mi fece molto piacere, perchè Brera era un giornalista davvero eccezionale".

L'intervista è conclusa, vuole aggiungere qualcosa?

"Cosa vuole che le dica. Il calcio per me è stato un'enorme passione, vissuta attimo per attimo e ho avuto la fortuna di essere pagato per quello che mi piaceva. Mi fan ridere quelli che parlano di sacrifici nel calcio. Ma quali sacrifici, è sempre stato un piacere. Sono stato sempre un generoso in mezzo al campo. Si figuri che nel secondo tempo correvo più del primo. Se si giocasse come si faceva un tempo, si vedrebbero meno orrori sui campi di calcio".

L'intervista, come detto, si è conclusa. Ci rendiamo conto che è molto lunga, ma ne è valsa la pena. Per due motivi: per noi che l'abbiamo fatta e per chi la leggerà.

Appuntamento con "Mi ritorni in mente" per domenica 8 luglio.