ESCLUSIVA TLP - "Mi ritorni in mente": Gigi Marulla

Guardando una partita di calcio, un comune mortale si sofferma in particolar modo su pochi aspetti: uno di questi è il risultato finale. Se la tua squadra del cuore ha vinto sono tutti campioni, se ha perso sono tutti brocchi e di conseguenza l'allenatore è un asino e l'arbitro un incapace. L'aspetto umorale è una variante inscindibile dall'analisi di una partita. E non di rado anche chi commenta ha un impeto di passione che travalica la fredda razionalità. Siamo o non siamo esseri umani? E quindi soggetti a variazioni in base a molteplici aspetti che si presentano dinanzi a noi nella nostra quotidianità.
Torniamo però al preambolo iniziale sulla partita di calcio. Come detto, ci sono varie sfumature che un incontro tra due squadre ci regala ogni volta. Prendiamo una telecamera e piazziamola in alto e guardiamo i movimenti delle compagini sul terreno di gioco. Per molti può sembrare noioso, ma fermiamoci un attimo e andiamo a guardare uno sport come il Football americano.
Nella Nfl (National Football League) ci sono gli allenatori dell'attacco e quelli della difesa che guardano le partite da appositi box situati in posizioni strategiche in alto e da lì possono parlare con l'head coach e coordinare con quest'ultimo tutti i movimenti che ad altezza d'uomo non possono essere notati. Un'idea simile nel mondo del calcio non sarebbe male: Antonio Conte, quando era squalificato per la vicenda scommesse, ha notato la differenza tra il bordo campo e la tribuna nel valutare le situazioni di gioco che cambiano ogni istante.
Potrà sembrare noioso, ma guardare i ventidue in campo che si muovono come tessere di un domino è molto istruttivo, dando anche l'idea di chi è realmente bravo nell'attaccare lo spazio e chi invece si perde in movimenti del tutto inutili, cosa che una visione orizzontale non può dare.
Gigi Marulla, attaccante di quelli che sapevano come fare per muoversi con una certa eleganza in area di rigore, aveva questa particolarità. Quella di agire non in base al movimento del difendente, ma - ed è qui la novità - prendendolo in controtempo e beffandolo in modo inesorabile: infilando il portiere.
Semplice e asettico come una siringa sterilizzata. Doloroso (per il gol preso), ma indolore al momento perché non ci si capacitava di come avesse potuto fare una cosa simile. Questo era in fondo il ruolo dell'attaccante Gigi Marulla. Fare male alle squadre avversarie. Segnava in tutti i modi e aveva un'intelligenza negli ultimi venticinque metri che gli derivava da un dono innato di madre natura.
Certo, non vogliamo dire che fosse Careca o Van Basten, però un attaccante che vuole iniziare a studiare come si muove uno del suo ruolo, se prende i video di Marulla può realmente imparare tanto.
Per chi segue questo spazio da tempo, ricorderà sicuramente quante volte gli attaccanti del passato che abbiamo intervistato hanno sempre detto la stessa cosa: "Per i difensori che ci sono oggi e per i movimenti in linea che hanno, farei caterve di gol".
Non abbiamo la controprova, però provate a chiedere ad una punta di allora, se preferiva i tacchetti del difensore domenicale o i fuorigioco di oggi: non avrebbe dubbi nel preferire i secondi.
Una vita per il gol: potremmo titolare così un ipotetico libro che potrebbe regalarci Marulla e dare alle giovani generazioni un lascito importante per chi come loro si sta avvicinando ad uno sport così ricco di fascino come il calcio.
Gigi Marulla viveva per il gol e da quello nasceva la sua sfida al difensore di turno. Tra le tante piazze che hanno gioito alle sue prodezze finalizzate c'è Cosenza.
Città diversa rispetto a tutta la Calabria, il cosentino medio si sente sempre superiore rispetto agli altri abitanti della regione e questa loro supponenza li fa essere amati e odiati senza distinzioni. Capacità rara.
Con i rossoblù silani Gigi Marulla ha vissuto anni importanti. Quelli della serie B con il "San Vito" che vedeva numeri che oggi sembrano un'eresia. Quelle salvezze raggiunte sempre per il rotto della cuffia. Undici anni di vita con il Cosenza non si dimenticano così facilmente e Marulla aveva un debito con questa città, al punto che ora collabora con il club facendo crescere le nuove generazioni di giocatori in maglia rossoblù, tramite la sua scuola calcio.
Si parte proprio dai più giovani per questa intervista esclusiva a TuttoLegaPro.com nell'ambito dello spazio di "Mi ritorni in mente", dove ogni due settimane cerchiamo di ripercorrere sentieri di un calcio diverso che ha visto come protagonisti uomini che hanno lasciato un segno nel destino di club attualmente in Lega Pro.
Gigi, con te vogliamo partire proprio da un tema di stretta attualità: Alessandro Birindelli ritira la sua squadra per il comportamento poco corretto dei genitori dei bambini in campo e gli viene data partita persa a tavolino.
"Una cosa assurda che dimostra quanto il sistema abbia bisogno di correttivi. Purtroppo la piaga dei genitori protagonisti dilaga e non si trova una soluzione. In questo modo si dà spazio ai genitori per fare anche peggio".
Avendo una scuola calcio, anche tu sei soggetto a una pressione simile.
"La cosa che maggiormente preoccupa non è il comportamento sopra le righe dei genitori, ma il loro accanirsi contro l'arbitro, che arbitro non è, visto che è un addetto della società ospitante. Mi rendo conto che le frustrazioni di una persona si debbano prima o poi riversare su qualcosa, ma in questo modo si fa solo il male dei propri figli".
Si stenta ad accettare che un figlio non sia un fenomeno palla al piede e quindi ci si sfoga in questo modo.
"Altro grande errore. I bambini devono imparare prima a divertirsi, se si toglie loro questa peculiarità si creano dei mostri. C'è un problema".
Quale?
"I genitori questi discorsi non li vogliono sentire e ogni tanto capita che si arrabbino se il figlio non gioca".
A proposito di giovani: in Italia si aspetta un talento che possa regalarci qualche soddisfazione e gli sforzi che si fanno per farli giocare al momento non producono i risultati sperati. Ancora oggi, gente come Francesco Totti, Luca Toni o Andrea Pirlo e lo stesso Buffon, nonostante non siano proprio agli albori delle proprie carriere, sono ancora sulla cresta dell'onda. Da cosa dipende secondo te?
"Manca la cultura del giocatore da marciapiede".
Spiegati meglio.
"Certamente. Quando ero un ragazzino, dopo la scuola era d'obbligo la partita a pallone per strada. L'asfalto era mio compagno e le sbucciature alle ginocchia erano trofei che eri fiero di esibire. Poi la mamma ti faceva storie per i compiti, ma questo è un altro discorso (ride, ndr)".
Ogni volta che abbiamo aperto questo argomento con i vari ospiti di "Mi ritorni in mente", era difficile fermarli. Marulla non si esenta dallo sfoggiare il suo pensiero.
"Giusto farli giocare, però credo che arrivino alle prime squadre con una mentalità che non mi piace. Guarda, io li chiamo i figli del computer e della Playstation. Prima ti ho parlato della strada e del marciapiede come ambito utile per crescere. Sarò un po' retro e non lo metto in dubbio, però credo che l'astuzia e la furbizia che ti dà il gioco con gli amici senza regole, ti porti a essere anche più sveglio e sul campo si vede".
Noti parecchi arretramenti sui fondamentali?
"Altrochè! I difensori non sanno più difendere e la zona come modulo di gioco ha ormai reso i pacchetti arretrati delle linee che fanno sempre lo stesso movimento. Basta che uno di loro sbagli un movimento e vedi il panico. Il che non è così negativo, però prendi gol".
I difensori non sanno difendere. E gli attaccanti sanno attaccare?
"Anche qui il mio pensiero è molto simile: non si attacca più per saltare l'uomo, ma per evitare la trappola del fuorigioco e trovarsi davanti al portiere. E non sempre va bene perché sono così scarsi che sono capaci anche di sbagliare".
Giudizio tranciante il tuo.
"Ma è la verità".
Certo che se ritorniamo a vedere le immagini dei tuoi gol, francamente qualche differenza si nota.
"Era tutto un altro calcio, con i difensori che realmente non ti davano tregua e dovevi saper giocare a calcio per riuscire a vincere le sfide che ti lanciavano".
Addirittura parli di sfide?
"Il calcio di allora era una missione e la domenica scendevi in campo con il sangue agli occhi. I difensori non ti guardavano mica in modo amichevole, anzi cercavano in tutti i modi di farti vivere novanta minuti d'inferno".
Parli di missione e questo termine è inedito per "Mi ritorni in mente". Cosa intendi per "missione"?
"Giocavi per passione e non per lavoro come oggi. Eri felice e ti davi una dimensione diversa rispetto ad adesso e il lavoro della settimana era improntato a una cultura della partita diversa".
Rimanendo nel tema della "missione", tu hai vissuto undici stagioni a Cosenza, arrivando ad essere il giocatore che ha segnato più gol con la casacca rossoblù. Sei considerato da tutti i tifosi silani una bandiera.
"L'affetto della gente gratifica, però se potessi tornare indietro non so se lo rifarei".
Pentito?
"Dall'atteggiamento di alcuni dirigenti del tempo sì, molto. Non c'è riconoscenza per tutto quello che hai fatto. Nel momento in cui vai via, sembra che tu non abbia fatto nulla e questo dal punto di vista umano fa molto male".
Visto che sei entrato a gamba tesa ti chiediamo se dal tuo punto di vista esistono ancora le bandiere.
"No, penso che chi decide di rimanere in una squadra lo fa a ragion veduta. Prendiamo ad esempio Francesco Totti che ha dato tutto alla Roma e ha tutto il mio rispetto, però come ho detto prima, se potessi tornare indietro non rifarei la stessa scelta. Per il Cosenza ho rinunciato alla A. Per la gente lo rifarei subito, per il resto no. Quindi credo che Totti tra qualche anno si accorgerà dello sbaglio fatto nel non scegliere una carriera diversa".
Da come ce ne parli sembra che il calcio ha perso tutta la magia o è una nostra impressione?
"Sì, penso proprio che sia evidente come aspetto. Noi si giocava per passione e la nostra era una carriera basata su valori diversi. Oggi è un lavoro - legittimo pensarlo così - e il calciatore fa bene a scegliere le occasioni migliori per accaparrarsi contratti importanti".
Parlando con altri protagonisti del passato, spesso ci hanno confidato quanto tempo ci mettevano per digerire le sconfitte.
"Ah ho capito cosa vuoi dire: ti posso garantire che un altro aspetto che contraddistingueva quel tempo era proprio l'accettare di aver perso e spesso arrivavi al venerdì che ancora ti dava fastidio quella sconfitta e non vedevi l'ora che arrivasse la domenica successiva per rifarti".
Mentre oggi...
"Li vedi uscire dagli spogliatoi tutti tranquilli e profumati. Vanno a cena la domenica sera come se nulla fosse accaduto. Non credo che ci sia nulla di sbagliato in tutto ciò, però ti fa capire come siano realmente cambiate le cose in questi anni nel mondo del calcio".
Parliamo del "San Vito". Ancora ti emozioni nel vederlo?
"Sono stato proprio domenica scorsa (contro il Martina, ndr) e vederlo assiepato da circa ottocento persone è un dolore inspiegabile. Ti parla uno che ci ha giocato quando c'erano almeno dieci - dodicimila persone e quando segnavi era la curva che ti trasportava da loro. Una sensazione che ancora adesso sento dentro di me".
Secondo te da cosa dipende questo fuggi fuggi generale dagli stadi che si sta verificando negli ultimi anni?
"I costi di una partita di calcio per un padre di famiglia con due figli al seguito sono diventati insostenibili e quindi uno prima di affrontare una spesa simile ci pensa due volte".
Ti spiazziamo: il gol più bello con la maglia del Cosenza
"Mi avete realmente spiazzato e su due piedi non è facile. Ne ho fatti tanti".
Uno di questi 91 che hai segnato con i colori rossoblù.
"Quello a Pescara. Sconfitta 2-1, però scartai tre difensori e il portiere".
Quando si parla di Cosenza non si può non parlare di Gianni Di Marzio.
"Un grande grande grande. Se sono quello che sono, lo devo anche a lui. Uno psicologo come pochi, capace di tirarti fuori il massimo delle potenzialità che avevi. Se per esempio tu potevi dare trenta, lui avrebbe fatto di tutto per farti arrivare a trenta, anche se fino a quel momento hai stentato ad arrivare a venti. Non capisco come ancora non gli abbiano dato l'oscar del calcio. A lui andrà sempre la mia gratitudine e la mia stima per la sua persona e la sua professionalità".
Ancora Cosenza e andiamo su di un compagno di squadra che ora non c'è più: Donato Bergamini. Traccia un ricordo di lui.
"Siamo stati compagni di squadra poco tempo, però quello che ricordo maggiormente di lui sono due cose: la prima era il suo sorriso. Sorrideva sempre, era felice di giocare a calcio e questo suo entusiasmo lo sentivi e te lo trasmetteva. La seconda era la canzone di Zucchero "Come il sole all'improvviso" che cantava sempre".
Vogliamo chiudere questa intervista in modo inedito: con la tua scuola calcio avete anche disputato un incontro nel carcere di Cosenza. Quali sono le sensazioni che hai provato?
"E' stato un impatto violento con un mondo ovattato e la cosa che maggiormente mi ha colpito è stata l'uscita. Noi tornavamo nel mondo dei liberi, mentre i detenuti dopo quell'ora di "libertà" rientravano nelle celle e nel farlo mi acclamavano. Un contrasto forte e toccante che ti fa capire molte cose su ciò che siamo".
Buon anno a tutti.
Prossimo appuntamento con "Mi ritorni in mente": domenica 5 gennaio 2014.
Testata giornalistica Aut.Trib. Arezzo n. 7/2017 del 29/11/2017
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