ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente : Gioacchino Prisciandaro

ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente : Gioacchino Prisciandaro
domenica 15 marzo 2015, 22:30Interviste TC
di Daniele Mosconi
79° appuntamento

Riccardo Rossi in un libro di poco più di cento pagine li ha definiti "Bomber di provincia": denominati così perchè nella loro carriera hanno giocato prevalentemente in club lontani dalle luci della grande ribalta. Il loro merito? Aver fatto impazzire intere città grazie ai loro gol e a quell'atteggiamento che il tifoso apprezza da sempre.

Gioacchino Prisciandaro, da bomber di provincia, che non ha mai toccato la A, non ha l'onore di avere una pagina di Wikipedia dedicata a lui. Per i tifosi della Cremonese non ce n'è bisogno: lui è "Jack lo squartaporte". Era denominato così il bomber pugliese, capace nei campi della C e D di fare la differenza ovunque andasse. Arrivato a Cremona dopo una vita nei campi del sud, si è messo in gioco accettando la proposta della società lombarda: ha subito impresso il suo marchio alla sua avventura grigiorossa, a suon di gol, riportando la Cremo a giocare in B dopo un'assenza di sei anni.

Il suo arrivo a Cremona è stato particolare: la società ha messo nelle mani di Gigi Gualco - allora dirigente - un gruzzolo di soldi e credibilità da spendere per prelevare un bomber, di quelli importanti: la scelta era tra Prisciandaro e Giorgio Corona. Due nomi altisonanti che dovevano fare una sola cosa: i gol.

La scelta ricadde su "Jack lo squartaporte" che si impose fin da subito nell'ambiente cremonese e alla domanda su come fossero i gol alla Prisciandaro: "Il gol alla Prisciandaro non esiste perchè io segno in tutti i modi possibili". Ed aveva ragione: in un paio d'anni ha letteralmente trascinato la Cremonese dalla C2 alla B (dal 2003 al 2005, ndr) a suon di gol: ben 46 in un biennio dove il tifoso sapeva che prima o poi "in tutti i modi avrebbe segnato Jack lo squartaporte".

E' arrivato in B con la società grigiorossa a 35 anni e in quel momento ha coronato il suo sogno: arrivare alle porte del grande calcio. E chi se ne frega se ci è arrivato così tardi. Nella cadetteria ha però compreso una cosa che da qualche tempo faceva capolino: il fisico non reggeva più e alla Gazzetta dello Sport ha ammesso: "Ci tenevo ad arrivare fino a qui dopo una carriera difficile. E' stata una bella soddisfazione. Ma adesso basta, non ce la faccio più. Ho qualche acciacco fisico, non riesco ad allenarmi bene come questa categoria impone. Non è giusto andare avanti, meglio tornare a giocare dove mi sento più a mio agio". Tornandosene a giocare in D, nel Palazzolo, dove i ritmi sono più blandi e anche il suo fisico, provato da anni su campi dove il rispetto te lo devi guadagnare da solo, poteva ancora dare il suo contributo. Inutile dire che ha continuato a giocare fino a cinque anni fa con il Casamassima, cittadina dove attualmente vive Prisciandaro, in Prima Categoria pugliese.

Per questo appuntamento numero 79° con "Mi ritorni in mente" che guarda caso arriva al terzo anno di vita di questa rubrica, non potevamo scegliere un ospite migliore per spegnere la terza candelina. Mancano ancora venti appuntamenti alla fine, ma con Gioacchino Prisciandaro - intervistato in esclusiva da TuttoLegaPro.com - siamo andati sul sicuro e la segnalazione - di un anno fa - da parte di un nostro lettore era passata per troppo tempo inosservata.

Gioacchino, a 35 anni in B. C'è il rammarico di essere arrivato troppo tardi in alto?

"Purtroppo sono arrivato tardi a giocare in B. Ero alle soglie dei 36 anni e già la cadetteria era un obiettivo che mi ero posto. La serie A? Non è mai stata un assillo: in fondo la mia carriera l'ho fatta e sono soddisfatto di ciò che ho fatto. Ho giocato per ben 25 anni a calcio".

Eri chiamato "Jack lo squartaporte".

"Si, per i tifosi della Cremonese io ero Jack lo squartaporte".

Attualmente cosa fai?

"Ho una stazione di servizio e un bar qui a Casamassima, in provincia di Bari, dove vivo. E' una vita di sacrifici: la mattina mi sveglio alle tre, ma mi piace e lo faccio senza nessun problema. Non ho chiuso con il calcio, nel tempo libero ho una scuola calcio e insegno ai bambini ad avvicinarsi a questo sport con lo spirito giusto".

Cosa ti piace del rapporto con i bambini?

"La loro ingenuità, quella voglia di imparare che oggi si è un po persa".

Non ti manca il calcio?

"Ho smesso cinque anni fa e non mi manca nulla. Ho fatto il calciatore per tantissimi anni e non sento il bisogno di buttarmi in avventure senza senso. Ho avuto delle chiamate dalla D e dalla Lega Pro, ma ho preferito restarne alla larga: ci sono troppe chiacchiere e alla fine non ti pagano. Da queste parti si dice che il pallone s'è scassato".

Secondo te chi l'ha scassato il calcio?

"Può essere anche che sia questa generazione, cresciuta senza tanti assilli. Quello che noto è la mancanza di fame: non appena arrivi nella squadra Primavera, dopo un anno sei già in D o nei professionisti, senza neanche meritarlo. Ci sono delle regole che dovrebbero aiutare i giovani invece li portano a bruciarsi prima del tempo. E' tutto sbagliato. Non ho mai avuto il problema di giocare o meno: mi impegnavo durante la settimana e la domenica giocavo perchè sul campo davo tutto, senza risparmiarmi. Quello che non capiscono i capi del nostro calcio: gettare nella mischia tanti giovani dalle belle speranze, senza rendersi conto che il livello del nostro calcio si è abbassato pericolosamente".

Mancano gli istruttori?

"Non credo siano solo gli istruttori. Loro in fondo li hanno per una, due ore al giorno. La responsabilità - se così vogliamo chiamarla - è di noi genitori. Siamo apprensivi, non accettiamo che qualcuno dica a nostro figlio cosa deve o non deve fare. Me ne rendo conto anche io e so di sbagliare".

La tua infanzia nelle scuole calcio com è stata?

"Era diverso: io a cinque anni giocavo per strada con gli amici. Quando andavo a fare allenamento, prendevo due pullman dopo la scuola. Oggi nella stessa città il genitore accompagna il figlio. C'è una differenza enorme che porta questi risultati. Tu pensa che io da bambino, a otto anni davo una mano in un negozio di salumeria: la famiglia era povera e serviva il contributo di tutti. Non avevo niente e con niente ero felice. La cento lire che mi dava il padrone della salumeria era un premio enorme per me".

C'è qualche giocatore che ti piace attualmente?

"Mi piace molto, per lo spirito che mette in campo, Gigi Castaldo dell'Avellino. E' della vecchia guardia, uno che non si arrende mai. Se pensi che Giorgio Corona a quasi 41 anni fa ancora la differenza a Messina. Noi, mi ci metto anche io, avevamo e abbiamo ancora fame, vedi Gigi e Giorgio. Sappiamo cosa significa il sacrificio.. Ora ti rendi conto di quanti guasti sta facendo la regola sui giovani".

Non credi che manchino i leader in Italia?

"La risposta è diversa da come hai posto la domanda: in ogni spogliatoio ci sono attualmente troppi leader negativi. Essere leader è una dote innata e nel calcio di oggi ce ne sono pochi. Ecco perchè Corona, Castaldo e se mi sfugge qualcuno mi scuseranno, fanno la differenza: sanno fare gruppo. Ci sono troppi leader negativi e questi sono il male del nostro calcio. Anche a Cremona, ad esempio: non è possibile che la società ogni anno investa tanti soldi e non riesca a salire in B. Mi sento ancora con alcuni tifosi e mi rimpiangono. Posso essere orgoglioso a livello personale, ma piange il cuore sapere che nessuno ha il nostro carisma".

A proposito di squadre che investono molto, c'è anche il Lecce che sta faticando a tornare in B.

"Purtroppo c'è un problema di fondo: quando scendi in Lega Pro è raro che torni su al primo colpo. Ci vuole costanza e pazienza, cercando di non investire a caso, ma puntando sui giocatori giusti. Non è facile vincere un campionato, te lo garantisco".

La Cremonese dove hai giocato era più forte?

"Non lo so se eravamo più forti: so che eravamo un gruppo dove c'erano leader positivi. E questi fanno sempre la differenza".

A Cremona eri chiamato "Jack lo squartaporte".

"Mi hanno voluto bene e come ti ho detto prima, con alcuni di loro ancora mi sento".

Cosa ti dicono?

"Gente come voi non c'è più. Eravate attaccati alla maglia, mentre oggi sono tutti mercenari".

Tra gli allenatori che hai avuto a Cremona, con Giorgio Roselli hai costruito un rapporto bellissimo.

"Con Roselli ho avuto un rapporto bellissimo perchè era schietto e ti guardava in faccia. Con lui abbiamo vinto due campionati di fila, dalla C2 alla B (dal 2003 al 2005, ndr). Mi ha anche chiamato per fare il secondo con lui, ma non posso muovermi con questo lavoro".

Arrivato in B cosa è successo?

"Che non reggevo i ritmi. Non dico che ero sazio perchè avevo raggiunto il mio obiettivo, ma avevo degli acciacchi fisici che mi impedivano di allenarmi al meglio. Sul campo le prestazioni c'erano, ma un giocatore sente dentro di sè se ancora ce la fa o meno. Io ho capito che non potevo dare di più e per rispetto dei tifosi grigiorossi ho scelto di scendere in D al Palazzolo. Per soldi? Non solo: il ritmo era più consono al mio corpo di quasi trentaseienne"

Parliamo del calcio in generale: come vedi Antonio Conte come Ct della Nazionale? Avrai notato che ci sono stati degli screzi con i vertici della Federazione.

"Conte è uno grintoso, che ha fame, ha voglia di lavorare. Lui vuole fare gli stage che i club non gli permettono di fare perchè è uomo di campo e questo ruolo in Nazionale lo sta imprigionando".

Cosa manca al nostro calcio per rifiorire?

"I giovani non ci sono. Probabile che sia un problema generazionale. Nel calcio, come dicono a Napoli, devi avere la cazzimma: questi sembrano delle donnine che hanno paura al primo contrasto. Il calcio è lotta anche nel fango, perchè io un pallone a te non te lo regalo: piuttosto mi spacco una gamba. Credo anche che ci siano troppi stranieri, che arrivano togliendo spazio ai nostri, però è anche vero che non c'è tutta questa qualità".

Tu ne avevi molta di "cazzimma" in campo.

"Se non hai il sangue agli occhi non puoi fare il calciatore. C'erano difensori che facevano paura per come ti picchiavano: allora o ti mettevi a picchiare anche tu, oppure la domenica dopo stavi seduto in panchina".

Abbiamo quasi concluso: cosa manca agli attaccanti oggi?

"Giocano tutti spalle alla porta e così di gol non ne fai molti. Sono pochi quelli che si buttano dentro. E questo è il male minore, se non fosse che non sanno neanche farlo. Per questo ti dico che gente come Castaldo, Corona, sapevano e sanno come fare gol. I più giovani devono prendere esempio da loro". 

Un pensiero infine ai tifosi della Cremonese.

"Intanto li saluto con affetto (sorride, ndr). A loro dico di stare calmi, di non avere fretta e di stare vicino alla squadra. Prima di contestare, attendere la fine del campionato e poi magari farsi sentire".

Ti hanno mai contestato i tifosi della Cremonese?

"No! Io ero uno che sapeva cosa voleva il tifoso e mi veniva naturale dare tutto per loro".

Un gol in maglia grigiorossa che ricordi con più affetto?

"Quello al Mantova, nel derby. Il gol del 2-1 al 90'".

Prossima intervista per "Mi ritorni in mente": domenica 29 marzo 2015