ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Nedo Sonetti

La capacità che hanno le foto di parlare è sorprendente. La nascita della parola fotografia deriva da due termini greci: phos e graphis, che uniti significano "scrivere con la luce". La storia si è scritta in particolar modo grazie all'utilizzo delle foto e queste sono state la degna cornice di momenti che sono rimasti impressi nell'immaginario di ognuno di noi.
L'ideatore della fotografia, tale Joseph Nicéphore Niépce, non sapeva a cosa sarebbe andato incontro nel momento in cui ha sviluppato questa idea.
Le foto sono dialoghi con il passato e sono momenti che in base allo stato d'animo son sempre vivi. Difficile rimangano indifferenti. Trasmettono sensazioni.
Le foto nel giornalismo - in special modo la carta stampata o su Internet - sono il corredo di un articolo. Provate a leggere qualcosa senza le immagini: vi sembrerà vuoto, più pesante.
Abbiamo immaginato Nedo Sonetti senza il contorno di uno stadio - con vari marchingegni taglia e cuci delle foto - e perde molto del suo appeal: Sonetti e il calcio sono un tutt'uno che non si possono separare. Se un campo da gioco trasmette qualcosa anche vuoto, immaginare Sonetti senza le tribune o il verde del terreno non sono la stessa cosa. L'uomo di Piombino nascosto sotto quei giacconi invernali è la foto classica che si trova non appena si cerca Nedo Sonetti sui vari motori di ricerca. Il volto è sempre lo stesso: passano gli anni, ma quelle rughe sul viso mai sorridente sono un ornamento che non stona, anzi arricchisce la persona.
Stiamo parlando pur sempre di uno che è da oltre cinquant'anni nel mondo del calcio: diteci voi come possiamo osservare una foto del tecnico di Piombino senza il contorno di uno stadio o di una panchina. Nedo Sonetti è stato oltre che un giocatore, anche un allenatore vincente. E per vincente non ci soffermiamo a coppe o scudetti, bensì campionati vinti con squadre diverse.
Alla fine sono sette le promozioni ottenute da questo toscanaccio senza limiti - come tutti quelli nati in questa terra - a cui la diplomazia è iniziata ad esser simpatica superata una certa soglia, quando la saggezza fa a cazzotti con l'istinto.
Oggi uno come lui faticherebbe a trovare squadra, in tempi dove non basta più la capacità. Non è eresia, ma drammatica realtà di un calcio che lo ha messo in disparte e sembra averlo dimenticato. Fortuna che Nedo sorride e non ha paura del dimenticatoio, consapevole che il cuore di chi ama il calcio non dimentica un maestro come lui.
Ci piace l'idea di vederlo battagliare con questi allenatori giovani e rampanti, insolenti e alla ricerca della vittima di turno su cui basare i propri limiti.
Metterli in riga e dar loro lezioni di umiltà ed educazione. Sonetti ha preferito nella sua lunga carriera l'essere prima dell'apparire.
Ed anche lui, come abbiamo avuto modo di notare ultimamente negli appuntamenti di questo 2014 di "Mi ritorni in mente", rientra nella schiera di quegli uomini nati con la radice di certi valori - vedi Magni, Bagnoli o Prati - a cui ancora oggi sono ancorati. E' una bussola - quella dei valori - che ti rende uomo prima che professionista. Dandoti quella luce che altrove si spegnerebbe.
Velenoso e sempre a testa alta in questa intervista esclusiva concessa a TuttoLegaPro.com, tenendo testa a personaggi vulcanici come Cellino e Zamparini, presidenti con cui è impossibile non litigare a suo modo di vedere: come invitare a pranzo un lottatore di sumo, sapendo che il portafogli piangerà.
Mister, non la vediamo più in panchina, come mai?
"Che fai mi provochi? Non fatemi incazzare anche voi con queste domande. Oggi contano altre cose".
Ci dica quali...
"Vedo che vanno di moda i giovani. Quelli che escono dai settori giovanili e hanno già la strada spianata".
Non conta più l'esperienza?
"Ma come non conta! Quella è indispensabile per fare qualsiasi lavoro, non solo l'allenatore".
E adesso come passa le giornate?
"Al bar con gli amici e leggo il giornale".
Che idea si fa del calcio italiano leggendo il giornale?
"L'idea è quella di un calcio che non riconosco, a causa di un cambiamento generale che mi vede poco d'accordo".
E Sonetti invece di allenare legge il giornale?
"E cosa dovrei fare?! Non mi vuole più nessuno (ride, ndr). Vuol dire che non sono più utile".
La provochiamo ancora: non ha le amicizie giuste?
"Te sei un po' bischero, te lo dico ridendo. Non mi sono mai legato a varie compagnie. Le uniche nella mia carriera sono state le promozioni: ben otto. I fatti una volta contavano, oggi è importante essere ruffiani e avere l'aiuto di un procuratore o di uno sponsor. Da quando alleno, il procuratore me lo sono sempre fatto da me".
A questo punto sorge spontanea la domanda: lei da buon toscano non ha mai usato la diplomazia nei suoi rapporti di lavoro, dicendo sempre quello che pensava. Non crede che l'abbia ostacolata questo suo aspetto caratteriale?
"Dipende cosa si intende per ostacolare. Sono 35 anni che faccio l'allenatore, non un giorno. Sono stato fermo un solo anno e sono orgoglioso di cosa ho fatto. Non penso che il carattere sia un problema, anzi penso debba essere una risorsa. Il carattere è una qualità dell'uomo e dovrebbe risaltare nei rapporti interpersonali. Ho sempre preferito avere rapporti limpidi e schietti con chiunque. Non mi sono mai arruffianato nessuno e se ho lavorato tanto vuol dire che ai presidenti andavo bene così. Anche con voi giornalisti non ho mai avuto rapporti diversi dalla professionalità. Invece noto che molti si fanno il giornalista amico e ne sfruttano i vantaggi per farsi pubblicità".
Lei ci pone i quesiti come le ciliegie: in una recente intervista, parlando di Zamparini e Cellino (presidenti del Palermo e del Cagliari, ndr) ha detto: "Lavorare con loro è un po' come darsi una martellata sui coglioni".
Una risata e un sospiro accompagnano la sua risposta: "Non è che mi garbi molto parlare di queste cose, comunque io vado sempre per lavorare e mai per litigare. Se c'è una rottura questa avviene nel momento in cui una delle parti non si comporta bene. E con questi due non ho mai avuto problemi sotto l'aspetto tecnico, ma su temi diversi".
C'è una leggenda che narra di Cellino e dell'aragosta che le ha messo in conto.
"Dite a Cellino che si può mangiare tutte le aragoste che vuole, non ne ho bisogno. Lasciamo perdere, dai. Guarda, trovo Cellino una persona intelligente e allo stesso tempo uno che ti fa uscire cattivi pensieri anche senza volerlo, detto in modo schietto".
Quanto è cambiato il ruolo dei presidenti negli ultimi anni?
"Moltissimo. Ma è un segno dei tempi. Con l'avvento di miliardi di televisioni e milioni di giornalisti, i presidenti hanno visto l'occasione per esporsi. In modo poco intelligente in certi casi".
Che ricordo ha delle sue prime esperienza da allenatore?
"Un ricordo di un giovane alle prime armi che ha iniziato dal Viareggio. Oltre quarant'anni fa. Ho lavorato anche con Vinicio Viani - fratello meno famoso di Gipo - nel Forte dei Marmi".
Parliamo un po' della sua esperienza a Caserta con la Casertana. Ha qualche ricordo di quel campionato 1975/76?
"Facemmo un bel campionato nonostante le difficoltà del tempo. Quello che mi onora maggiormente nel fare questo lavoro è l'aver trovato spunti interessanti ovunque sono andato. A Caserta ad esempio avevo lo sfogo della Reggia di Caserta, vista la mia passione per certe cose. Lì mi rigeneravo subito".
Rimanendo in tema: le squadre di calcio attualmente sembrano tutte dirette da tecnici che le rigenerano e difatti vanno molto forte i motivatori.
"Tutti motivatori, va bene così. Però di calcio non capiscono un tubo. Facile a fare l'allenatore al bar, diverso è entrare in uno spogliatoio e trovare di media venticinque, trenta persone che ti guardano annoiate e pensano: cosa avrà da dirci questo cretino stamattina? Penso che le motivazioni siano utili, sarei un presuntuoso se dicessi il contrario. Ma non bastano. Occorre saper stimolare tutti ed essere coscienti che non siamo uguali, quindi devi trovare il modo di farti comprendere dal giocatore intelligente e meno intelligente. Quello colto e meno colto. Ci sono anche gli stronzi, ma con me hanno sempre avuto vita breve".
Un lavoro non da poco.
"E sennò lo farebbero tutti".
Chissà quante notti insonni.
"No no, ho sempre dormito. Altrimenti 35 anni di carriera non li avrei mai fatti".
Un'ultima domanda: più facile vincere un campionato o salvarsi?
"Sono situazioni diverse. Per vincere ci vuole la personalità del primo. Per salvarsi ci vogliono ingredienti diversi ed entra in ballo la sapienza di un allenatore che conosce i trucchi del mestiere".
Prossima intervista per "Mi ritorni in mente": domenica 11 maggio 2014
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