ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Patrizio Sala

43° appuntamento
27.10.2013 22:30 di Daniele MOSCONI   vedi letture
Patrizio Sala
TMW/TuttoC.com
Patrizio Sala

Fino a qualche tempo fa c'era una pubblicità che rappresentava in toto la gioventù: erano due ragazzi - uno bianco ed uno di colore - che si davano il cinque per festeggiare un successo che non ha vincoli di colore o nazionalità. Quei volti sorridenti avevano il significato dell'innocenza e del divertimento che lo sport, praticato in un certo modo sa regalare. Ragazzi che da bambini iniziano il percorso verso l'adolescenza, per poi avviarsi verso il futuro da protagonisti della società.

In fondo il calcio - sport nazionale se ce n'è mai stato uno diverso in Italia - è una disciplina semplice da praticare: due pietre o zaini come porte, un pallone, alcuni amici e il divertimento è cosa fatta. Sorrisi, tensione, rabbia, gioia e voglia di stare insieme: questo è il calcio.

Dopo le partite di quartiere, iniziano i tornei estivi e quelli invernali, dove si cementano rapporti nati grazie ad un pallone. Amicizie nate quasi per caso che durano una vita intera.

Non di rado si vedono gruppi di ragazzi un po' cresciutelli che si raccontano le esperienze vissute grazie ad un pallone, con davanti un buon bicchiere di vino e qualche salume ad accompagnare l'evento, in modo tale da allietare la serata. Le loro risa si spandono nell'ambiente come un gradevole tocco di profumo: i loro gesti e la loro mimica nel raccontare un tiro o una parata. Tornare ragazzini anche da adulti.

Però, come in tutte le cose della vita, il calcio chiede. Senza sconti. Dando tanto se ci sai fare: fama, soldi e potere.

E' una scala che parte in modo naturale: dalla scuola calcio fino alla prima squadra di un club. Così avviene il percorso cui non tutti hanno accesso e in molti finiscono per fare la "vita da mediano" che cantava Luciano Ligabue, tra dilettantismo e prime porte del professionismo e chi invece, restando in tema canoro, finisce per essere l'"uno su mille" che ce la fa come cantava Gianni Morandi. In molti si arrendono e in tanti ancora oggi sperano in un futuro diverso, regalandosi soddisfazioni in categorie minori.

Il protagonista di questo 43° appuntamento con "Mi ritorni in mente" è uno che ce l'ha fatta, vincendo sul campo e regalandoci un'intervista sana e schietta. Patrizio Sala, mediano "mangiacaviglie" vecchio stampo, nasce nel 1955 a Bellusco, piccola realtà della Brianza.

Come in tante storie raccontate in questo spazio, è da un paesino quasi sconosciuto che nascono i campioni capaci di infiammare le folle negli stadi la domenica. Il calcio nasce proletario - per le masse - per diventare business con il passare degli anni e della scala gerarchica fino alla serie A. Patrizio ci arriva con la maglia del Torino nel 1975/76 e subito diventa protagonista in positivo come meglio non poteva: scudetto granata. La storia non poteva cominciare meglio.

Prima di allora gavetta, tanta e tosta, con la maglia del Monza, squadra che in quegli anni faceva la spola tra serie B e serie C. Il ragazzo ci sa fare e Gigi Radice ne consiglia l'acquisto da parte del Torino. L'occhio lungo del tecnico ci ha visto bene e viene premiato alla grande. Allora sui giovani si puntava per davvero, non per mero riscontro economico.

Uomo d'altri tempi "il" Sala, come lo sono stati Carlo Mazzone o Adriano Bardin, passando per Giovan Battista Fabbri e per concludere con Emiliano Mondonico. Spessore umano e caratteriale che, messi a confronto con quelli di oggi, ti mostrano un abisso in cui rischi di perderti. Mai banale e per niente scontato, Patrizio Sala ha ripercorso la sua carriera, parlando del Monza, degli esordi, del Torino e di quel folle scudetto, la sua esperienza da allenatore, fino all'arrivo nel mondo femminile come allenatore del Fiammamonza. Piccoli attimi rubati ad una quotidianità che ora lo vede impegnato nel mondo dei bambini, con la società del Novara. In un progetto che dovrebbe far nascere un nuovo Patrizio Sala. Magari con lo stesso carattere.

Di seguito l'intervista esclusiva concessa a TuttoLegaPro.com

Mister da dove vogliamo partire?

"Veda lei, non ci sono problemi. Sono a vostra disposizione".

Lei inizia dalle giovanili del Monza.

"Era il 1970/71 e nel 1973/74 esordisco in C con la maglia della prima squadra".

Se lo aspettava di arrivare subito in alto?

"No assolutamente. Ero un ragazzo come tanti che aveva un sogno nel cassetto e confidava in se stesso".

Alla fine è arrivato tutto insieme: scudetto con il Torino e la convocazione in nazionale.

"Sì, tutto molto bello e conquistato con i sacrifici, senza che nessuno mi regalasse nulla".

Per il calcio ha dovuto lasciare gli studi.

"E' vero e oltre a giocare andavo anche al lavoro. Ho conosciuto varie sfumature della gavetta prima di arrivare dove sono arrivato".

Parliamo del calcio di oggi: Benitez in una recente intervista ha detto che nel calcio la bugia è una necessità.

"Credo che sia vero. Al giornalista non si può mai dire la cosa per intero, gli va sempre edulcorata la pillola che poi si rifilerà alla squadra o al singolo giocatore. Il giornalista è sempre in cerca di temi da sbattere in prima pagina, però - in conclusione - uno si deve mettere sempre nei panni dell'altro e capirne le necessità".

Il calcio è sempre bello e piacevole?

"Assolutamente no. E' un mondo ovattato dove hai a che fare con persone più grandi di te che ti insegnano molto e inoltre ti trovi in squadra con persone simpatiche e antipatiche con cui dovrai condividere gioie e dolori".

E' una scuola di vita il calcio.

"Ti insegna molto e ti fa maturare molto di più di quello che traspare dal di fuori".

Guardando il calcio oggi, lei ci vede ancora della poesia?

"Più che poesia vedo che mancano i poeti da campo. Troppo imbottigliati dentro un gioco dove il fisico prevale sull'imprevedibilità. Devo ammettere che si sta perdendo la spontaneità di un gioco che ha sempre il suo dannato fascino".

Qualche giorno fa ci è capitato di guardare le interviste di qualche anno fa e dobbiamo ammettere che anche nelle dichiarazioni c'era più realtà e il giocatore o l'addetto ai lavori era più portato ad una sana dialettica senza cercare frasi fatte come ormai è di moda oggi.

"Sono d'accordo, ma se ci pensi è il calcio stesso che si è rarefatto dandosi completamente alla tv e ai media che tendono a darne una visione meno reale, divenendo uno sport già preconfezionato, neanche fosse il wrestling. La spontaneità che sto avendo con te adesso è difficile trovarla nei protagonisti di oggi. L'immagine del giocatore ne esce strumentalizzata e non potrebbe essere altrimenti".

In questo quadro poco edificante, ci sono anche le nuove generazioni che sembrano crescere senza la necessaria autorità per imporsi ad alti livelli. Così ci troviamo il Ct Prandelli a strigliare i più giovani, rei a suo dire, di non avere la personalità a livello internazionale. Lei è un teorico della famiglia come caposaldo della società. Quindi le chiediamo: non crede che anche il fattore famiglia lontana sia un ostacolo alla crescita di un giovane?

"Un ragazzo alle prime esperienze paga dazio proprio perché non ha quel fusto necessario per crescere che è la famiglia. Mi metto anche nei suoi panni: trovarsi poco più che maggiorenne lontano da casa è un trauma che va considerato allo stesso livello dell'educazione che ha ricevuto fin da piccolo, la quale diviene la base principale per la sua crescita. Quando un ragazzo riceve una formazione giusta tramite un vero istruttore, allora avviene una metamorfosi molto importante nella fase più critica del giovane: l'istruttore stesso diventa un educatore che consente uno sviluppo armonioso e fa sì che dinanzi ad una situazione come quella di molti, di trovarsi lontano da casa, a viverla in modo meno problematico".

E' un tema che appassiona Sala Il suo modo di vivere la famiglia ce lo fa paragonare a Franco Califano, con quest'ultimo che non aveva un grande rapporto con la stabilità affettiva. Il cantautore ha fatto delle garçonnière il suo habitat naturale concedendo se stesso al sesso senza ulteriori argomenti, mentre "il Pat" come affettuosamente viene chiamato da chi l'ha conosciuto e gli vuol bene, ha riposto nella famiglia il suo fulcro naturale e da questa parte per proseguire nel suo pensiero, che diviene garbato ma allo stesso modo duro: in fondo Sala nella vita è un po' il guerriero che è sempre stato in campo.

"Partiamo dal basso per farti comprendere al meglio ciò che voglio dire: un bambino nasce con dei capisaldi netti e marcati: a scuola la maestra è la stessa dalla prima alla quinta elementare e già da quei primi passaggi c'è la ricerca di identità di una figura forte che aiuti nel percorso di crescita. La famiglia infine è fondamentale, ma occorre che anche intorno ai genitori ci siano delle persone che sappiano essere responsabili del percorso di crescita di un ragazzo".

Un trattato di pedagogia e psicologia d'alta scuola. Sala ha voluto battere su questo tema, visto che spesso gli è capitato in convegni e dibattiti di parlare di questa tematica. C'è un ultimo appunto che intende fare Sala. Gli parliamo degli ultimi episodi di violenza avvenuti con protagonisti i genitori dei bambini. Comprende ma fino ad un certo punto.

"Vedi, una volta non c'era la retta da pagare per andare a scuola calcio e molti giovani venivano fuori proprio perché c'era una selezione chiara e netta. Adesso - ed in questo caso fammi mettere un attimo al posto delle famiglie - io genitore pago e ho, non dico il diritto, ma sento il dovere di dire la mia sulla scelta della società o dell'istruttore stesso. Evidente poi che ci si imbatta in situazioni poco edificanti, ma è la società italiana nel suo complesso che si è imbarbarita parecchio. Loro in fondo sono lo specchio fedele di ciò che siamo".

Limpido e lineare, arriva al cuore della questione, come un buon vino che sorseggiato in un ambiente a temperatura costante, diventa un nettare al palato. Sala, ci ha confessato che nel corso degli anni ha imparato a conoscere il mondo dei vini, divenendo un esperto nel campo. Noi abbiamo voluto stuzzicarlo e ne è venuto fuori un quadro parecchio divertente e inedito.

Scorrendo la sua carriera, vogliamo che lei ci associ un vino ad ogni sua esperienza. E' pronto?

"Bella questa cosa! Sono pronto. Oddio non è che sia un esperto, ma diciamo che so riconoscere un buon vino da uno di pessima qualità".

Il Torino che vino è?

"Un rosso di quelli tosti, che si associa anche al colore della sua maglia, quindi non potrebbe essere diversamente. Quale vino per il Torino? Diciamo che un Barbera di alto livello è un'ottima scelta".

Il gol?

"Siamo italiani e lo spumante è d'obbligo, ma in questo caso scelgo lo champagne. Tutte le bollicine che si riassumono in quel momento in cui non capisci niente. Lo champagne ha il pregio di non farti ubriacare a differenza del vino. Certo se ne bevi una botte è diverso, ma bevuto con moderazione non ha lo stesso effetto".

Si diverte Sala nel rispondere alle nostre domande e decidiamo di proseguire.

Un dribbling cosa sarebbe?

"Un barolo d'alta scuola. E' un po' come un gol in rovesciata: una vera opera d'arte".

Infine non dimentichiamo il Monza.

"Eh il Monza (sospira, ndr)! Quale vino associare ai brianzoli? Direi che ci starebbe bene un rosé, ma propendo per un rosso più leggero: un grignolino. Visto che ci siamo, ricordo che il primo bicchiere di vino l'ho bevuto in ritiro proprio con il Monza nelle mie prime esperienze in prima squadra".

Il Monza secondo lei andrà mai in A?

"Eh qui si entra in un campo più vasto. Nel calcio tutto è possibile e quindi mai dire mai. Però perchè ciò avvenga c'è bisogno di programmazione. E qui viene il difficile proprio a causa della mancanza di progettualità che ha sempre contraddistinto il mondo del calcio. Tornando al tema che discutevamo prima della mancanza di originalità di questo sport, una parte importante ce l'hanno anche le società. Quando si prende un allenatore non si fa mai un discorso a medio o lungo termine, ma si dice: abbiamo preso questo allenatore perchè c'è un progetto. Lo stesso progetto che poi va a farsi benedire dopo cinque sei domeniche E si licenzia il tecnico. Sarebbe più onesto dire: partiamo con te e vediamo: se rendi bene, altrimenti amen, abbiamo sbagliato e si separano le strade".

Lei la scorsa stagione è partito come coordinatore del Fiammamonza (la squadra di calcio femminile della cittadina brianzola) e ad un certo punto si è trovato a fare l'allenatore della prima squadra. Che giudizio può dare di quella esperienza?

"Ottimo e mi ha dato molto dal punto di vista umano. Si dice che il mondo del calcio femminile sia dilettantismo, ma lo è solo sulla carta. C'è molto spirito di competizione e c'è più individualismo rispetto al calcio tradizionale".

Per la prossima domanda ci facciamo aiutare da un titolo di un film "Donne sull'orlo di una crisi di nervi". Le è capitato di dover rincuorare qualche ragazza che, colta da un momento di crisi, si è lasciata andare ad un pianto liberatorio?

"Questa domanda mi consente di approfondire il tema che dicevo poco prima, ovvero l'aspetto umano. Con le donne devi avere un atteggiamento e un modo di porti diverso, che non significa snaturarti. Per niente, anzi. Ti poni con loro come un amico, sapendo che il distacco tra allenatore e giocatore deve esserci sempre - sia essa donna o uomo - ma sono le situazioni che si vengono a creare che devi gestirle in maniera diversa, con più tatto e questo mi ha dato la possibilità di arricchirmi dentro, migliorando il mio carattere che non nego sia stato sempre un'arma a doppio taglio. Fermo restando, rispondendo alla tua domanda che anche gli uomini piangono. Sono sensibilità diverse, ma sono mondi che differiscono di poco sotto questo aspetto. Magari i maschietti lo nascondono meglio".

Torniamo per un istante alla sua esperienza con il Torino: quando abbiamo intervistato Massimo Crippa, ci ha colpito la sua testimonianza su Superga. Lei ha vissuto il Torino e avrà avuto modo di andare qualche volta su quella collina.

"Sì, ci sono andato per molti anni e alla ricorrenza c'ero sempre. Difficile dare un'immagine di un luogo che luogo non è. Indossare quella maglia è qualcosa di indescrivibile e non credo di esagerare se dico che indossi la storia prima di quella maglia. Quegli uomini quel giorno perirono, ma rimangono e rivivono ogni domenica per qualsiasi giocatore che avrà l'onore e l'onere di vestire il granata".

Gli uomini quel giorno divenirono leggenda. Patrizio Sala ha tirato fuori l'abito migliore della sua umanità per parlare di un evento così importante e forte sotto l'aspetto emotivo.

Stiamo per concludere l'intervista, però un'ultima curiosità vogliamo togliercela: si dice che lei sia stato un "divoratore di caviglie". E' una descrizione che si confà al vero?

"No, non esageriamo (ride, ndr). Ero un giocatore rude, quello non posso negarlo, ma non ho mai giocato per far male all'avversario".

Prossima intervista con "Mi ritorni in mente": domenica 10 novembre 2013.