Gli stadi si riaprono, il calcio può ripartire. Mi preoccupa l’intelligenza dell’italiano medio. “Serve o no la Serie C?” si è chiesto Ghirelli, ma probabilmente quella che non serve più è la Serie B

08.10.2021 00:00 di  Luca Bargellini  Twitter:    vedi letture
Gli stadi si riaprono, il calcio può ripartire. Mi preoccupa l’intelligenza dell’italiano medio. “Serve o no la Serie C?” si è chiesto Ghirelli, ma probabilmente quella che non serve più è la Serie B

Mentre mi approccio a scrivere queste righe per TuttoC.com mi scopro vittima di pensieri contrastanti. Su più fronti. Nelle scorse ore è stata approvata dal Governo l’apertura degli impianti sportivi fino al 75% della loro capienza massima. Una buona notizia, per non dire ottima, per le società calcistiche che potranno tornare a contare sul ritorno degli incassi da botteghino. Un problema da non sottovalutare per chi, invece, deve assicurarsi che tutto vada nel migliore dei modi. A cosa mi riferisco? Alla genetica incapacità dell’italiano medio di rispettare le regole. Chi ha voglia di innalzarsi a paladino populista dopo questa affermazione è bene che smetta di leggere da qui in avanti. Perché la situazione peggiorerà.



Sappiamo bene che quando le persone si ritrovano in gruppo, specie se non accade da qualche tempo, il cervello dei singoli presenti cede il comando ad una sorta di intelligenza collettiva. “L'intelligenza di una folla - ha spiegato brillantemente qualche anno fa Sir Terry Pratchett - è uguale all'intelligenza del più stupido dei presenti, divisa per il totale dei presenti”. Una perfetta e sintetica spiegazione di quale sia il rischio a cui andiamo incontro: quello di un aumento dei contagi. Tutti insieme, travolti dalla gioia e dalla frenesia, le mascherine saltano (i vaccini oggi in commercio purtroppo non garantiscono copertura al 100%), i contatti aumentano in maniera imprevedibile e senza un efficace sistema di controllo da parte delle Autorità, il rischio diventa molto alto. Ecco perché non è corretto essere pienamente felice dell’aumento del pubblico negli stadi. Sia chiaro, nessuno qui vuole impedirla. Ma una percentuale di rischio c’è ed è inutile nasconderla.

Altro tema che mi lascia perplesso è quello della riforma. La scorsa settimana ho concentrato l’attenzione su cosa sarebbe potuto rimanere sotto il vessillo della Lega Pro con il nuovo sistema in corso di sviluppo nelle segrete stanze della FIGC. Poche ore dopo lo stesso Francesco Ghirelli ha avuto voglia di prendere posizione riassumendo il tutto nella provocatoria domanda: “Serve o no la Serie C ?”. A questo proposito voglio implementare la discussione, tirando in ballo anche la cadetteria, con quanto dichiarato da Antonio Gozzi, presidente della Virtus Entella e imprenditore di primo piano, attraverso le colonne de La Repubblica: “Quando osservo il livello di questa stagione di Serie B mi spavento. Ho visto Parma-Pisa, sembrava Serie A. Livello ed investimenti si sono molto alzati con le proprietà americane. Diventa difficile competere”. Parole, queste, di una persona che ha sempre fatto calcio senza mai dimenticare la realtà al di fuori del pallone. Dunque, se le proprietà straniere che si stanno espandendo ovunque stanno davvero spostando gli equilibri, è probabile che sul futuro del movimento ci stiamo ponendo la domanda sbagliata. Anziché interrogarci sulla necessità o meno della Lega Pro, non sarebbe meglio farci la stessa domanda sulla Serie B? In fondo se l’asticella si sta davvero alzando verso l’alto, le società cadette avrebbero molto di più a che spartire con i venti club del massimo campionato, che con quelli della C. Un campionato che, in questo modo, assumerebbe davvero i lineamenti di un ponte (comunque suddiviso fra C1 e C2) fra il calcio di base e quello dei grandi palcoscenici e capitali. Il calcio dei comuni, come piace sottolineare spesso a Ghirelli. Una giusta via di mezzo preferisco dire io.