Perché in Italia non siamo ancora pronti per le seconde squadre? Per un Sassuolo B che nasce ci sarà sempre un Pontedera capace di batterlo sul campo

18.04.2023 00:00 di  Marco Pieracci  Twitter:    vedi letture
Perché in Italia non siamo ancora pronti per le seconde squadre? Per un Sassuolo B che nasce ci sarà sempre un Pontedera capace di batterlo sul campo

Dico la mia sull’argomento seconde squadre, tornato di stretta attualità in vista dell’imminente consiglio federale di domani nel quale verrà trattato in maniera più approfondita. Parto da un assunto: se a distanza di cinque anni dalla loro introduzione siamo ancora qui a infervorarci, come se si trattasse di una novità epocale, vuol dire evidentemente che le cose non sono state fatte bene o comunque non tutto è andato nel verso giusto. Fatta questa doverosa premessa, i vantaggi sul piano tecnico ricavati dalla Juventus sono sotto gli occhi di tutti, più evidenti che mai nella stagione in corso con tanti ragazzi di qualità entrati a far parte delle rotazioni di Allegri (Barbieri titolare ieri col Sassuolo è l’ultimo di una lunga serie) e allora la domanda sorge spontanea: perché altri club di Serie A non hanno seguito la strada tracciata a Torino? Per gli elevati costi si dirà, obiezione accolta. Vero, ma siamo così sicuri che in prospettiva i benefici siano inferiori ai costi? Restando in casa bianconera, cedendo al termine della stagione Iling o Soulè in Premier o Liga l’investimento sarebbe già abbondantemente ripagato.

Forse il freno maggiore è da ricercare nella mentalità: quando si parla di giovani per vedere risultati concreti e non solamente potenziali, da toccare con mano. Insomma, bisogna armarsi di pazienza. Qualcosa capito con largo anticipo in molti paesi europei, non a queste latitudini dove si continua a preferire la logica del tutto e subito, l’usato sicuro, la pianticella già fiorita e rigogliosa a quella in erba da annaffiare con cura per farla germogliare. Chiariamo il punto, nessuno pensa che questa possa essere la panacea di tutti i mali endemici che affliggono da tempo il nostro calcio. Ad ogni modo è fin troppo semplicistico accogliere senza sé e senza ma la vulgata comune che lo vede come il male assoluto, lo spauracchio da combattere a tutti i costi: la minaccia che mina alle radici la sopravvivenza delle realtà di provincia destinate a scomparire nell’oblio, evocando scenari apocalittici intrisi di una certa dose di retorica e demagogia.

Se un Comune di 10mila abitanti come Saló va in B non è per caso o grazia divina, c’è piuttosto un valido motivo che è rintracciabile in parte nella solidità economica di una proprietà lungimirante ma soprattutto nella capacità di programmarne la crescita nel tempo con investimenti mirati senza fare mai il passo più lungo della gamba, in netta controtendenza con i cattivi esempi di cui la storia recente della Lega Pro ha fatto e, ahimè, continua a fare collezione. Così come non penso che un ipotetico Napoli Under 23, Next Gen o come caspita lo si voglia chiamare sarebbe stato in grado di contrastare lo strapotere del Catanzaro. Aprirsi al cambiamento non è mai sbagliato, poi si può discutere sulle modalità, capire la maniera migliore per integrarle nel sistema rispettando chi già ne fa parte, creando le premesse ideali per una pacifica convivenza che possa giovare e non nuocere. Perché in fondo la diversità è ricchezza. Statene certi, per un Sassuolo B che nasce ci sarà sempre un Pontedera capace di batterlo sul campo.