ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Francesco Moriero

ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente: Francesco MorieroTMW/TuttoC.com
Francesco Moriero
© foto di Federico De Luca
domenica 6 gennaio 2013, 22:30Interviste TC
di Daniele MOSCONI
22^ appuntamento con "Mi ritorni in mente"

Per una volta partiamo dalla fine, dalle parole con cui ci congediamo da Francesco Moriero: "E' stata una piacevole chiacchierata". Ha ragione il folletto salentino, leccese doc, a pronunciare quelle parole, perchè con lui è nata una conversazione più che un'intervista per la nostra rubrica "Mi ritorni in mente", questa volta dedicata ai tifosi del Lecce.

Quella sua genuinità e sincerità che è sempre apparsa in tv nelle tantissime interviste rilasciate, è apparsa ancora più chiara ed evidente con noi di TuttoLegaPro.com. A Lecce lui è il ragazzo della strada che si è fatto campione. Cresciuto in un quartiere chiamato 167, dove il pallone era la colazione, il pranzo e la cena, Francesco ci ha creduto e ha fatto del sogno di ogni ragazzino, la sua vita. Dall'esordio in un'afosa serata di fine agosto del 1986 contro la Juventus, alla fine della sua carriera quando giocava nel Napoli e si rese conto che ormai era ora di appendere gli scarpini al chiodo.

Francesco Moriero nasce a Lecce il 31 marzo 1969, ruolo tornante di fascia, all'occorrenza poteva anche fare la punta esterna, ma quello che maggiormente gli piaceva fare era dribblare. Se c'è una cosa che un avversario non accetta, questa è il dribbling secco, capace di lasciarti sul posto. Con la sua statura adatta ad uno rapido come lui (1.73), era veramente difficile stargli dietro, visto che faceva dello scatto sul breve un'arma a disposizione per mettere in difficoltà i dirimpettai dell'altra squadra. Ha giocato 368 partite nei pro, segnando 30 gol (più due con la Nazionale).

Gli esordi in maglia giallorossa e dopo sette anni l'approdo al Cagliari (1992) dove gioca per due stagioni. Dal 1994 al 1997 milita nella Roma. A maggio dello stesso anno firma con il Milan, ma a luglio passa all'Inter nell'ambito di uno scambio. Con i nerazzurri vince una Coppa Uefa (1997/98) contro la Lazio al "Parco dei Principi" di Parigi (3-0 il finale). Quell'annata lo portò dritto al mondiale di Francia 1998.

Non vogliamo aggiungere altro, perchè toglieremmo la poesia che Francesco ci ha messo nel raccontarci episodi e aneddoti simpatici di una carriera vissuta sempre con il Lecce dentro il cuore. In questa intervista esclusiva ci ha fatto sentire parte integrante della salentinità, facendocela vivere in pieno.

Ciao Francesco, tu cominci giovanissimo nel Lecce. Una vita intera dedicata alla squadra della tua città

"Sì, comincio che avevo sei anni. In un Lecce club, una piccola realtà affiliata alla società giallorossa. Con me c'erano Antonio Conte (attuale allenatore della Juventus), Alessandro Morello (allena nelle giovanili del Lecce) e Gianluca Petrachi (Direttore sportivo del Torino in A). Con loro faccio tutta la trafila, dai pulcini alle soglie della prima squadra, arrivando ad una finale scudetto con la Primavera".

A che età arrivi nel gruppo dei più grandi?

"Noi già a 15, 16 anni siamo con loro. Come detto, siamo cresciuti insieme, quindi ci conoscevamo molto bene noi più giovani, ed era un vantaggio non da poco".

Ricordi il tuo esordio?

"E come no! E' una storia particolare la mia. Tutto ebbe inizio una sera di agosto del 1986. Io avevo 16 anni e mezzo e stavo in spiaggia, giocando con gli amici. Mio padre invece  quel giorno mi cercava su tutte le spiagge, perchè dalla società lo avevano chiamato perchè mancavano parecchi giocatori e nel mio ruolo mancava Raise. Ricordo ancora che aveva la fiat 126. Fatto sta che mi trova e mi porta in albergo. Arrivo che erano le 18:30, mentre la partita c'era alle 20:30. In ascensore scendo con il mister di allora, Carlo Mazzone. Ero tutto pieno di me, accanto all'allenatore. Lui mi fa: "A pischellè (in dialetto romano significa ragazzino) sei emozionato?". Io lo guardo e convinto che tanto sapevo di far numero, al massimo andavo in tribuna, gli dico: "No mister, io sono tranquillissimo". Lui non se lo fa ripetere due volte: "Tanto nun me frega n'cazzo, oggi giochi". Poteva crollarmi il mondo addosso, invece ero sereno, poi veramente ho giocato dal primo minuto".

Quella frase di Carlo Mazzone rivolta a Francesco, ha fatto nascere una risata spontanea, prima a lui e poi a noi. Quel "Tanto nun me frega n'cazzo, oggi giochi", rientra di diritto nelle frasi più belle e sincere lette qui nello spazio di "Mi ritorni in mente". E pazienza se qualcuno non coglierà la bellezza di queste parole. 

Che sensazioni hai provato?

"Indescrivibili! Ricordo che i primi dieci, quindici minuti avevo davanti a me Antonio Cabrini, Massimo Mauro. Gente che fino a qualche istante prima vedevo sulle figurine. Fu una cosa devastante per me. Se mi tremavano le gambe? Quello no! Però dopo quel lasso di tempo, si è accesa la scintilla, così ho capito che era meglio giocare come se fossi sulla spiaggia, dov'ero fino a poche ore prima. Alla fine feci una bella partita".

Ricordi il tuo primo gol?

"Vediamo. Se non ricordo male, contro il Messina. Respinta del portiere, la palla mi arriva sul destro e la piazzo sotto il sette".

Chissà che emozione...

"Una cosa incredibile. Ero un ultrà da ragazzino, ho vissuto la curva sud, quindi sapevo benissimo cosa voleva il tifoso. Ricordo che andai ad abbracciare mister Mazzone, sembrava che mi sollevassero da terra, talmente grande il boato. Far gol nel mio stadio è una cosa che non si può descrivere".

Ci parli spesso del tuo rapporto con Mazzone. Ce lo puoi descrivere in maniera più approfondita?

"Per me lui è stato prima che un allenatore, un padre. Vivelo con lui 24 ore su 24, anche perchè i miei non c'erano mai a casa. Mio padre a quel tempo faceva l'infermiere, mentre mia madre faceva le pulizie a casa della gente. Pensa che io andavo al campo a piedi con la borsa, lui passava con la macchina e mi dava sempre un passaggio. Si parlava tanto con lui, era uno vero. Mister Mazzone mi ha insegnato a comportarmi dentro e fuori dal campo, mi insegnava i trucchi da usare in campo, è stato una persona a cui devo molto. Con lui non esistono mezze misure: o diventi uomo o diventi uomo. Era anche questa la sua forza".

In quel Lecce degli anni '80 quando hai esordito tu, c'era il presidente Franco Jurlano. Un uomo che per i colori giallorossi ha fatto tantissimo.

"Hai detto bene, per il Lecce ha fatto davvero tanto. Ha portato questa città in serie A, ha combattuto con i suoi pochi mezzi per farla rimanere il più possibile nella massima serie. Era un sanguigno, orgoglioso e amava questi colori come se fossero figli. Non posso che avere un ricordo bellissimo di quest'uomo, perchè lui ci ha insegnato l'attaccamento alla maglia, l'orgoglio di essere figli di questa terra".

Torniamo alla tua carriera. Nel 1992 passi al Cagliari.

"Anche lì trovai Mazzone, dopo un anno. Quella era una squadra fantastica, facemmo stagioni esaltanti, giocando anche la Coppa Uefa (in panchina c'era il compianto Bruno Giorgi)".

Ricordi qualcuno di quella squadra?

"Certo! Gianfranco Matteoli, c'era Enzo Francescoli, il mitico Aldo Firicano, Pusceddu sulla sinistra, in porta avevamo Fiori. Un gruppo di ragazzi fantastico che ricordo ancora con affetto".

Si emoziona nel ricordare, si sente dal tono di voce che tende a scemare per perdersi nell'emozione del momento. Capita spesso ai nostri ospiti, ma lo scopo di questo spazio sta anche nel trovare angoli di cuore ancora inesplorati.

Dal 1994 al 1997 tre anni di Roma. Analogie con Lecce non solo dal punto di vista cromatico.

"Verissimo, a Roma ho vissuto tre anni bellissimi, in una città che vive per le proprie squadre, da quando si sveglia fino a notte fonda. Era la fase della maturazione per me, anche lì trovai il mister Mazzone che mi volle fortemente".

Un ricordo dei derby?

"Non ci sono parole, troppo mitici. Ricordo quello dove vincemmo 3-0 e io feci l'assist a Balbo. Per poco non veniva giù l'Olimpico. Andai ad esultare abbracciando Abel (Balbo) e ad un certo punto mi sono chiesto, in mezzo a quella euforia pazzesca: "Ma dove mi trovo?". Una cosa pazzesca solo a ripensarci. Sembrava stesse crollando lo stadio".

Gli nasce un sorriso quando ne parla.

Poi passi all'Inter, dove arrivi in una squadra fantastica.

"Esatto! Quella era un Inter davvero eccezionale. Tanto che vincemmo la Coppa Uefa nel maestoso scenario del "Parco dei Principi" di Parigi contro la Lazio. Fu una notte indimenticabile. Alzare un trofeo ha un sapore molto particolare".

Quasi come una promozione del Lecce?

"No, non si possono mettere su una bilancia queste due cose. Sono emozioni diverse, le vivresti in maniera diversa sicuramente".

Nei tuoi post sui social network fai spesso riferimento al salento, la tua terra. Ma cosa significa essere salentini?

"Bella domanda. Essere salentini significa vivere l'attaccamento che una madre ha nei confronti del figlio. Dire tutto è riduttivo e sminuirebbe cosa significa tutto ciò. La gente ancora oggi mi vuole un sacco di bene per quello che ho fatto per il Lecce. Ma lo rifarei un altro milione di volte, non mi stancherei mai".

Torniamo al calcio. L'esperienza calcistica che non dimenticherai mai?

"Ce ne sono tante. Ad esempio una che non dimenticherò mai è una partita con la maglia della Roma. Coppa Uefa 1996 contro lo Slavia Praga, all'andata 2-0 per loro. Al ritorno mister Mazzone ci carica come non mai. Entriamo in campo e li distruggiamo sul piano del gioco e del ritmo. C'erano 70 mila tifosi indemoniati che ci davano una dose di adrenalina inspiegabile, una cosa che se ci penso mi si accappona la pelle (la foga con cui racconta questo episodio la fa venire anche a noi). Loro sono in confusione, si vedeva. Ormai avevamo la preda in mano e ci giocavamo la semifinale di Coppa. Io faccio doppietta e poi Giannini fa il 3-0. Era fatta! Poi invece da un rinvio del loro portiere c'è sto tipo di cui non ricordo nemmeno il nome (era Vavra) che fa un gol assurdo e noi usciamo fuori dalla competizione. Io ancora oggi, mi devi credere, non riesco a pensare che quella partita sia finita 3-1. Non è possibile, mi rifiuto di pensarlo. Posso aggiungerne un'altra, positiva però?".

Ma certo...

"L'aver indossato la maglia della nazionale, partecipando al mondiale di Francia 1998. Feci una stagione fantastica con l'Inter e Cesare Maldini (Ct degli azzurri in quella competizione) mi convocò. Giocai tutte le partite di quell'edizione. Fu un'esperienza che non dimenticherò mai, perchè credo che per un giocatore, indossare la maglia della propria nazionale e partecipare al mondiale, sia qualcosa che non ha eguali".

Chi erano i tuoi idoli da ragazzino?

"Franco Causio, detto anche il barone e Bruno Conti. Mi piaceva il loro modo di giocare, sempre fuori dagli schemi, un po' come me. Ancora oggi, quando parlo con Bruno mi sembra di toccare il cielo con un dito. Per me rimane un mito".

Il gol più bello contro chi pensi di averlo segnato?

"Beh, non ne ho fatti molti in carriera, però ricordo con piacere quello che feci con l'Inter. Vincemmo 1-0 a Piacenza. Dietro questo gol c'è un retroscena gustoso che voglio raccontarti".

Non aspetto altro ...

"La partita era bloccata, il Piacenza si difendeva bene. In panchina avevamo Gigi Simoni. Ogni volta mi riprendeva perchè portavo sempre palla, mentre lui voleva che io giocassi a due tocchi. Mi sentivo intrappolato e non riuscivo a fare ciò che mi diceva. A fine primo tempo mi riprende ancora, ma si era ancora sullo 0-0. Ad un certo punto vedo che si alza un mio compagno dalla panchina e capisco che stava per sostituirmi. Io allora penso: Se mi deve sostituire, almeno provo a far qualcosa. Prendo palla e corro. Ricordo solo le caviglie che saltavo con una facilità irrisoria. Mi sono trovato davanti al portiere e ho incrociato sul palo lungo. Davvero un gran bel gol".

Quando ti sei accorto che dovevi appendere gli scarpini al chiodo?

"Guarda, io credo che nella carriera di un giocatore arrivi un momento in cui ti accorgi che il campo non è più quella cosa meravigliosa che hai vissuto per tanti anni e inizi a sentire la mancanza di stimoli. E così ti rendi conto che devi far spazio alle giovani generazioni. A me per esempio è capitato di capirlo quando ero a Napoli. C'era Zeman come allenatore. Ho subito un infortunio al menisco e non riuscivo a recuperare, così mi sono reso conto che ormai c'era ben poco da fare e la voglia che prima mi bruciava dentro, ora era scomparsa e ho detto basta con il calcio giocato".

Dove hai messo gli scarpini?

"Li ho messi in un borsone e ora sono in cantina. Se li uso ogni tanto? Certo, ma solo per beneficenza. Solo per motivi nobili torno a correre sul campo".

Dopo aver lasciato il calcio hai intrapreso la carriera da allenatore.

"Ho iniziato con una breve esperienza in Africa, poi ho diretto la Virtus Lanciano e il Crotone in Prima Divisione e con quest'ultima ho conquistato una promozione ai play off (finale contro il Benevento dopo il pareggio per 1-1 all'andata, al ritorno vittoria per 1-0 grazie ad un gol di Caetano Calil). Fu una vittoria del gruppo in quel caso, perchè abbiamo vissuto una stagione con tanti problemi societari e nessuno ci dava un briciolo di fiducia. Per concludere ho lavorato nel Lugano e a Grosseto, dove attualmente sono ancora sotto contratto".

Cosa pensi ti possa riservare il futuro?

"Ogni tanto ci penso e mi rispondo dicendo che il mio sogno è allenare in A. Però per arrivarci ci vuole molta forza e tanto lavoro duro. Non ho fretta, voglio imparare di tutto e di più".

Se ti chiama il Lecce?

"Ci andrei subito, lo sanno anche i muri che per questa squadra farei di tutto. Lascerei qualunque cosa, ovunque sono per allenarla. Sarebbe una grossa soddisfazione riportare i colori della mia città in A. Chissà che un giorno non si avveri...".

Prossimo appuntamento con "Mi ritorni in mente" è per domenica 20 gennaio.