ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Franco De Falco

Quante volte, davanti ad un bar chiacchierando con gli amici di giocatori del passato, quando si arriva a lui, non c'è dubbio: De Falco della Triestina. Non esiste De Falco senza il nome della società giuliana dietro. E' divenuto quasi un proseguo del suo cognome. Negli anni '80 ha fatto la storia della Triestina, regalando alla città ed alla tifoseria, momenti indimenticabili. Per questo nuovo appuntamento di "Mi ritorni in mente" abbiamo voluto intervistare in esclusiva per TuttoLegaPro.com questo grande bomber.
Franco De Falco oggi è il Direttore generale della Reggiana, però il pensiero per la sua Triestina è sincero, pulito e ancora oggi carico di quell'emozione di chi non potrà mai dimenticare cosa ha vissuto con quella maglia.
Trieste è città importante, che ha dato i natali a scrittori come Umberto Saba e Susanna Tamaro, quindi le persone prima di dare il loro affetto, vogliono vedere cosa tu sai dimostrare. E quando tutto scoppia in un sentimento vero, diventano calorosi come e meglio di tante città italiane.
Franco, come ha fatto uno nato a Pomigliano d'Arco vicino Napoli a scaldare una città come Trieste?
"I triestini sono persone passionali. Spesso dimentichiamo che Trieste ha dato i natali a campioni del mondo come Pasinati, Rocco e Petris, per me è un onore essere al loro livello, almeno come fama nel cuore dei tifosi. I primi tempi in cui sei in città, ti vivono con diffidenza, ma non quella cattiva, perchè vogliono capire quanto tu sai dare per la causa. Con loro è nato fin da subito un feeling naturale, mi hanno fatto sentire amato come qualunque calciatore vorrebbe essere nella sua carriera".
Cosa provi a vedere la Triestina in Lega Pro?
"Potrei fare il romantico, però so bene che il calcio non vive solo di passione - un tempo era così, ora le cose sono cambiate in maniera diametralmente opposta - quindi accade che chi non ha i soldi per investire, rischia di rompere giocattoli importanti. Ci sono tante realtà, non solo Trieste, a giocare in campionati dove sono degli autentici pesci fuor d'acqua. Vedi Cosenza, Salerno, per dirne alcune, tutte finite in D. Purtroppo in situazioni simili, non basta il blasone, ci vuole calma e pazienza. Però quando lavori in piazze abituate a ben altri palcoscenici, ti rendi conto che la pazienza non è molta. A Trieste pagano anni di mala gestione societaria. Sono trent'anni che non c'è un presidente triestino, ci sarà un motivo".
Cosa ti ha dato l'alabarda?
"Mi ha dato tutto, non potrò mai dimenticare cosa ho vissuto. Sono stato sette anni con quella maglia, la sento mia. Indimenticabile l'anno dei 25 gol, quando siamo tornati in B, era la stagione 1982\83, tornammo nella cadetteria dopo 17 anni. Avevo una spalla come Tiziano Ascagni. Ci trovavamo talmente bene che sembrava giocassimo insieme da una vita".
Che ricordo hai di quegli anni, di un calcio così diverso da quello di ora?
"Eh! (sorride ndr) era tutto molto diverso. Ricordo che se facevi 15 gol eri capocannoniere in serie A, figurati io ne feci 25 in una stagione. Si viveva un calcio più genuino, più bello anche da ricordare. Ora non c'è più bisogno perchè le tv ti inondano di immagini".
A quei tempi non esistevano le pay tv e le partite si sentivano alla radio, la sera c'era 90° minuto. Torneremo secondo te a vivere quelle emozioni così intense?
"Penso si sia arrivati ad un punto di non ritorno. Il calcio è stato inondato di soldi, solo che invece di investirli in infrastrutture, le società hanno pensato bene di ingrassare i giocatori. Non vedo però in questa crisi un male assoluto. Anzi ritengo che sia un bene, perchè tutto può normalizzarsi".
Sei d'accordo con la riforma dei campionati?
"Certamente, le battaglie che fa Macalli sono condivisibili! Non si può fare altrimenti. Dobbiamo entrare nell'ordine delle idee, che chi rispetta le regole deve essere premiato, perchè non è più accettabile trovare club, andare avanti sapendo che al massimo arriverà una penalizzazione e andare avanti come se nulla fosse".
Cosa pensi della norma sui giovani in Lega Pro?
"Io lavoro con i giovani, quindi sono d'accordo con la norma, almeno sul principio, purchè non ci sia l'obbligo. Io, per farti un esempio, ho esordito in A a 16 anni, ma quanti oggi ci riescono? Non dimentichiamo mai come questi ragazzi crescono in ambienti molto ovattati, senza tante pressioni, dove vengono formati come giocatori, ma non sono ancora uomini a tutto tondo. Mentre quando giocavo io era il contrario: andavi a scuola e giocavi a calcio. Divenivi uomo e professionista a 360°. Ecco perchè penso che si debba fare attenzione, perchè poi rischi di bruciare tanti giovani. Ce ne sono molti, ad esempio dell''88, che sono "morti" professionalmente. Così li vedi che abbandonano, trovandosi un lavoro, oppure giocano in campionati come la D o l'Eccellenza. Bisogna tornare alla meritocrazia, perchè così non si ottiene poi così tanto come preventivato".
Il suo è un discorso molto appassionato, da uomo di sport che ha vissuto sulla sua pelle certe situazioni.
"Nel periodo in cui ho giocato, per fare la B dovevi aver fatto un'ottima serie C e la gavetta era durissima. Il salto era davvero molto difficile, mentre oggi vedo tanti ragazzi che in una stagione collezionano trenta partite, l'anno dopo scompaiono perchè sono fuori quota. Ormai non si parla più di un giovane in quanto tale, ma ti chiedono: tizio è del '91 o del '94. La norma - ripeto - è giustissima, però se riusciamo a modellarla in modo da non bruciare tanti giovani, sarebbe la soluzione migliore".
Torniamo a parlare di De Falco giocatore: hai mai fatto scelte contro la tua carriera?
"Si si come no! Però non me ne pento assolutamente. E' capitato proprio quando ero alla Triestina. Per l'alabarda ho rifiutato l'Atalanta, la Lazio, il Torino".
Nessun pentimento, siamo proprio sicuri?
"Certo, perchè a Trieste io stavo bene, avevo l'affetto di una città intera. A quei tempi scelte simili si potevano fare, mentre ora, come dicevamo prima, le cose sono cambiate. Ora tutto è basato sul denaro, mentre allora c'erano anche i sentimenti a farla da padrone".
Il tuo momento più brutto?
"Tanti, perchè quel calcio era magari più povero, però non mancavano i personaggi meno limpidi, diciamo così. Quello sicuramente più triste fu quando andai via dalla Triestina. Arrivò un allenatore con cui non andai d'accordo. Putroppo sono passati tanti anni e non c'è neanche bisogno di fare il suo nome. Sicuramente ripensandoci credo meritassi più rispetto, almeno come professionista e per ciò che avevo dato a questa città".
Il gol più bello?
"Eh è difficile ricordarli tutti, perchè non ne ho fatti pochi, quindi è davvero arduo. Ci sono dei gol che hanno scolpito la mia carriera, come il 100^ fatto in rovesciata contro il Montevarchi".
Tu hai giocato al "Grezar" mentre ora la Triestina gioca al "Rocco". Ci vai ogni tanto nel vecchio stadio?
"Certo, con tutto il rispetto per il "Rocco" ma quello stadio non lo sento mio. Mentre il "Grezar" è un tuffo al cuore. Quando entri là dentro, senti la storia soffiarti dietro le spalle. Senti i brividi della curva urlare il tuo nome dopo aver segnato un gol. Anche se in quel momento lo stadio è tristemente vuoto, io lo sento sempre pieno".
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