ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Pedro Pablo Pasculli

26.05.2013 22:30 di  Daniele MOSCONI   vedi letture
ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Pedro Pablo Pasculli
TMW/TuttoC.com
© foto di Tommaso Sabino/TuttoLegaPro.com

Per questo 32° appuntamento per "Mi ritorni in mente", ci trasferiamo nell'emisfero sud del mondo, più precisamente in Argentina. Nel paese di Evita Peron, c'è una squadra, l'Argentinos Junior, denominata "El Semillero", nomignolo ispanico che significa "asilo dei semi". Il club sudamericano è famoso per la militanza nelle proprie file nel corso degli anni di giocatori che hanno raggiunto i vertici del calcio mondiale e tra questi ricordiamo il più forte giocatore di tutti i tempi, Diego Armando Maradona (due scudetti con il Napoli) e Fernando Redondo (tre Coppe Campioni: due con il Real Madrid e una con il Milan).

Tra i tanti campioni che hanno spiccato il volo dopo aver indossato la casacca degli "insetti rossi", altro nome caratteristico del club argentino e che deriva dal colore rosso delle proprie maglia, c'è Pedro Pablo Pasculli.

Sul finire degli anni '70, un giovane dai lunghi capelli (a quel tempo andavano di moda: vedi Mario Kempes e l'Argentina campione del mondo nel '78, nel proprio paese) si trasferì dal Colon ai rossi del Boca e per cinque stagioni fece numeri di tutto rispetto: 203 presenze, 87 gol. Oggi si chiamerebbe fenomeno uno con queste cifre.

Erano anni in cui in Italia si avvicinava la fine del monopolio Rai e iniziavano a nascere le prime tv private (Tele Capodistria fu la pioniera in questo campo). Queste ultime per attirare l'attenzione cominciarono a trasmettere le partite dei vari campionati esteri.  Ma non tutti riuscivano a vederla e chi aveva questa fortuna, ne parlava in toni entusiastici.
Era una rivoluzione copernicana per un paese come l'Italia dove la tv dava veramente poco, come quantità, mentre sulla qualità si era a livelli sicuramente maggiori rispetto ad oggi. La domenica sera dopo le 18 c'era il tradizionale appuntamento davanti alla tv per vedere "90° minuto" con l'inossidabile Paolo Valenti a fare da direttore d'orchestra. Camminare per le strade in quell'orario significava non trovare nessuno. Forse qualche cane. Anche le campane delle chiese rispettavano, in religioso silenzio, il rito domenicale.

Quando un Pasculli poco più che venticinquenne arrivò in Italia, c'era la regola dei "due stranieri" tesserabili da ogni club. Alla punta argentina arrivarono tre proposte, ma lui accettò quella dei salentini. C'è da sottolineare un aspetto in questa vicenda: in quegli anni i movimenti dal sudamerica in Italia non erano molti e in Europa, specie gli argentini, erano mosche bianche.

La prima volta nella massima serie per i pugliesi (1985/86), con Eugenio Fascetti riconfermato a furor di popolo dopo la storica promozione, li vide partire con il duo argentino: oltre allo stesso Pasculli, c'era Juan Barbas (gli affari li concluse il presidente Franco Jurlano) come punte di diamante di una squadra che aveva come obiettivo unico la salvezza. Quell'anno era l'ultimo prima della disputa dei Mondiali di calcio in Messico. Pasculli prese un bel rischio ad accettare una società neopromossa e all'esordio assoluto nella massima serie e a fine stagione dopo un solo anno, tornò dritta in B.

Fortuna che il Ct argentino dell'epoca, Carlos Bilardo conosceva le qualità del giocatore dei salentini, convocandolo sempre nelle gare finali per le qualificazioni al Mondiale messicano. La punta gratificava le scelte del Commissario tecnico con gol pesanti, come quello in Colombia e quello decisivo in Perù.

In Messico fu l'esplosione del fenomeno planetario chiamato Diego Armando Maradona. Famosi i due gol all'Inghilterra, tra cui quello divenuto l'emblema della furbizia nel calcio, denominato "mano de dios" (rete segnata con il pugno con Shilton in uscita e convalidata dall'arbitro).

Pasculli anche qui diede il suo contributo alla vittoria della Coppa del mondo, segnando nella partita degli Ottavi di finale: 1-0 all'Uruguay.

In Italia l'attaccante giocò sette stagioni con i salentini (dal 1985 al 1992) segnando 53 reti.

Difficile racchiudere quegli anni nel Salento in pochi frammenti, ma di sicuro quel Roma-Lecce 2-3 del 20 aprile 1986 rimarrà alla storia e come beneficiaria la Juventus. Un 5 maggio 2002 (anno in cui l'Inter perse lo scudetto sempre a favore dei bianconeri torinesi) con qualche anno di anticipo. Sottile differenza: i pugliesi erano già retrocessi da un pezzo. Due date che ancora oggi vengono usate per polemizzare, ma dietro quei drammi sportivi c'è il succo di uno sport come il calcio: non c'è certezza.

Settimana scorsa Pedro ha compiuto 53 anni (venerdì 17 maggio, ndr). Figlio di genitori nati in Puglia (a Bitonto, provincia di Bari), ma trasferitisi in Sudamerica ad inizio del '900, con un biglietto di sola andata. Stesso tragitto che fecero milioni di italiani con una valigia ed un sogno uguale per tutti: cambiare vita. Non ci voleva molto, visto che in Italia non c'era nulla. A parte la fame che abbondava in tutti gli angoli.

Con Pedro abbiamo trascorso quaranta minuti in cui abbiamo spaziato su tutto ed in questa intervista esclusiva ne è venuto fuori un ritratto unico. Senza remore l'attaccante ci ha affrontato come se fossimo difensori avversari. Quel suo tono di voce all'inizio quasi formale, alla fine della nostra lunga chiacchierata è diventato quello di un amico in più. Ad un certo punto sembra di conoscerlo da una vita e i suoi pensieri viaggiano spediti come i palloni che lui calciava quando con il numero 9 dei salentini faceva impazzire i tifosi della "Nord" del "Via del Mare".

Pedro, benvenuti a "Mi ritorni in mente", lo spazio che TuttoLegaPro.com dedica a quei protagonisti che hanno fatto la storia di club che attualmente militano in questi campionati. Adesso di cosa ti occupi?

"Grazie a voi per aver pensato a me. Sono allenatore in cerca di occupazione. Aspetto una chiamata da qualche società che vuol puntare su di me".

Dal 1985 ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti.

"Eh si, quasi trent'anni. Sembra ieri. Il tempo passa e rimangono i ricordi. Belli e vivi come se avessi appeso ieri gli scarpini al chiodo".

Facciamo un po' di ordine per capire chi è Pedro Pablo Pasculli. Tu arrivi a Lecce nel 1985. C'è un retroscena: non c'erano solo i pugliesi interessati a te. Confermi?

"E' vero! Avevo un'offerta dalla Spagna e una dal Sudamerica. Alla fine scelsi i giallorossi perchè in Italia c'era Diego con il Napoli, Passarella con la Fiorentina, Ramon (Diaz) con l'Avellino. C'erano tanti argentini che giocavano nel vostro campionato".

Prendesti un bel rischio con i giallorossi. Era l'anno del Mondiale 1986 in Messico e andando in una neopromossa potevi perdere il posto nella "Albiceleste".

"Ho veramente corso un bel rischio. Allora non c'erano le tv come oggi dove vedi le immagini in diretta del campionato argentino o di qualsiasi altro paese al mondo. Dovevano venire a vederti e con il Lecce io avevo poco spazio nell'agenda del Ct Bilardo che si muoveva per visionare gli uomini da selezionare per il Mondiale. Però sono stato fortunato perchè in fondo il Commissario tecnico sapeva quanto valevo ed in Argentina lo avevo dimostrato. Nell'ultimo anno prima di trasferirmi in Italia, ho vinto un campionato, la Coppa Libertadores (l'equivalente sudamericano della nostra vecchia Coppa Campioni) e arrivando primo nella classifica marcatori. Quando andai via la società prese Claudio Borghi (al Milan e al Como in Italia, senza mai brillare, ndr).

Nelle qualificazioni hai dato il tuo bel contributo.

"Certo. Bilardo mi ha sempre convocato e feci tutto il finale delle qualificazioni con l'Argentina, facendo la spola tra Italia e Sudamerica, segnando gol pesanti come quello contro la Colombia e il decisivo per l'accesso al Mondiale contro il Perù".

Parliamo adesso dei tuoi primi sei mesi in Italia. Disputasti un girone d'andata senza mai segnare un gol. Che cosa c'era che non andava?

"C'era una cultura diversa e non conoscevo il vostro calcio. I difensori erano sicuramente più arcigni rispetto all'Argentina e pagai un dazio salatissimo e come ti ho detto prima, ho rischiato di perdere il posto nella Albiceleste. Da rimarcare anche il fatto che a quel tempo si giocava in maniera diversa ed essendo noi una piccola squadra, in campo si scendeva prima per non prenderle. E spesso con questo modo di giocare era più il tempo che rimanevi fermo che quello in cui toccavi un pallone".

Classica mentalità italiana.

"Le squadre che dovevano salvarsi giocavano tutte così. Era la norma".

Mentre in Argentina come si giocava?

"In maniera completamente diversa. Gioco più arioso, squadre meno arroccate e ci si divertiva".

Però alla prima di ritorno contro il Verona ti sei sbloccato.

"Alla fine riuscii a segnare sei reti, ma non servirono a nulla perchè siamo retrocessi".

E vi siete tolti lo sfizio di andare a Roma, il 20 aprile 1986. Continua tu...

"Ancora oggi qualcuno mi ricorda quella partita. Era una festa per loro, convinti però di aver già vinto. Ci presero sottogamba e sottovalutandoci ci hanno dato il coraggio di riuscire in un'impresa che ancora ricordano bene. Loro vincendo avrebbero conquistato lo scudetto, invece divenne un pomeriggio di delusione. Perdere un campionato all'ultima giornata non è propriamente il massimo della vita".

E arriviamo al Mondiale messicano. Cosa si prova ad indossare la maglia del proprio paese?

"E' una sensazione che non si può descrivere, ti dà una carica enorme perchè senti che stai difendendo il tuo paese. E' sempre una partita di calcio, ma tieni alto l'onore di milioni di persone e ti senti invincibile".

Ad indossare la maglia del proprio paese è qualcosa di indescrivibile. Ma figurarsi ad alzare la Coppa del Mondo...

"E come posso dirti cosa si prova. Senti il mondo tra le mani e la baci cento volte e non ti stancheresti mai. Alla fine realizzi che su circa quaranta milioni di argentini, almeno dieci, quindici giocano a calcio. E tu non solo sei uno di quelli, ma rientri nei ventidue che giocano il Mondiale. Alla fine lo vinci pure: il massimo che si possa immaginare. La vorrebbero alzare tutti quella Coppa. La vittoria è solo la fine del viaggio, ma prima di arrivare a quel traguardo, devi sempre conquistarti quella maglia, non arriva per grazia ricevuta. Devi sempre essere pronto quando il tuo paese ti chiama. Sudare e sgomitare senza mai arrenderti".

Ma è vero che tu e Maradona non eravate in ottimi rapporti?

"Non è assolutamente vero! In Messico dormivamo in stanza insieme. Con Diego ancora oggi ho un ottimo rapporto. Abbiamo anche giocato nell'Argentinos Junior per qualche anno. Nel calcio queste dicerie ci sono sempre state".

Secondo te è veramente il più forte di tutti i tempi?

"Senza dubbio! Diego è stato capace di vincere in Argentina, in Spagna (con il Barcellona) e con il Napoli. Inoltre ha vinto un Mondiale quasi da solo. Messi è fortissimo, ma Diego era qualcosa di inarrivabile".

Metti su un podio: Maradona, Messi e Kempes.

"Mario (Kempes, ndr) era superlativo, ma stiamo parlando di epoche diverse ed è difficile rispondere alla tua domanda. Maradona ad esempio ha vinto a Napoli con una squadraccia. Ma tu ricordi chi c'era quando vinsero lo scudetto? Garella che parava con le gambe, Fusi, Bruscolotti. Erano un ottimo collettivo, ma Diego era qualcosa di unico e sopperiva alle mancanze di quella squadra. Su un podio io metto Diego, Kempes e Messi. Leo è fortissimo, ma deve ancora fare qualcosa di epico per arrivare al livello dei primi due".

Dopo quella vittoria anche il tuo rendimento in fatto di gol con il Lecce è migliorato.

"Eh si, quel successo mi diede una carica maggiore e la stagione successiva in B non siamo tornati subito in A per gli scontri diretti con il Cesena".

Tornate in A nel 1987/88 con dodici gol da parte tua. E l'anno dopo con Mazzone vi salvate all'ultima giornata contro il Torino in uno scontro diretto drammatico. Famosissima la corsa del "Sor magara" sui vostri gol.

"Ricordi molto bene! Il ballo di Mazzone fu qualcosa di unico. Facemmo un girone di ritorno da sballo e quella vittoria contro il Torino fu l'epilogo più bello".

Il tuo rapporto con Mazzone era molto forte.

"Uomo straordinario e tecnico che mi ha insegnato tanto. Di lui ho un ricordo bellissimo. Allenatori come lui non ce ne sono più".

Con Barbas voi siete nella storia del Lecce.

"Con Juan abbiamo scritto pagine di storia di questa squadra".

E' una cosa positiva, non credi?

"Sicuro! Ma la cosa più bella è un'altra: sono passati ormai tantissimi anni, ma c'è sempre qualche tifoso che ti ferma, ti chiede l'autografo o la foto. Sono cose belle che fanno sempre tanto piacere".

Pedro, rimanendo in tema: quel calcio magari era più lento, ma tecnicamente era molto più avanti di questo. Fisicamente si lasciava a desiderare, ma ti nascondevano la palla. Mentre oggi in serie A vediamo dei giocatori che sembrano degli atleti di uno sport diverso dal calcio: forti fisicamente, ma tecnicamente lasciano molto a desiderare. E ci rendiamo conto di quanto è sceso il livello. Sei d'accordo?

"Sono pienamente d'accordo! Io ho giocato contro giocatori con la G maiuscola come Elkjaer (Verona), Rumenigge (Inter), Maradona, il Milan di Van Basten, il centravanti più forte di tutti i tempi. Marco era un giocatore bello bello bello da vedere e avevo solo da imparare da lui. Senza dimenticare Gullit, Vialli. Gente che sapeva cosa fare con un pallone tra i piedi. Il livello dei campionati europei è molto basso e continua a scendere stagione dopo stagione. Prendi la Spagna: tolte le prime quattro, cinque, il resto è davvero inguardabile. Attualmente nel campionato italiano vedo giocatori che non sanno neanche loro perchè ci giocano. Alle volte capita che guardo le partite con mio figlio e vediamo Mario Balotelli. Ha sempre il muso anche quando segna, mi chiedo: ma dove vive questo? Segna, si incazza e insulta! Ma dove siamo! Quando segnavo mi scoppiava il cuore per la gioia e questo con tutti i soldi che prende si permette anche di insultare. Ma poi io mi chiedo: cosa abbia di speciale questo Balotelli. Senza voler offendere nessuno, ma il giocatore del Milan a me doveva pulirmi le scarpe. Ma non solo lui, perchè vedo certe cose che mi fanno venir voglia di rimettermi gli scarpini anche adesso".

Pedro è stato toccato nel vivo con questa domanda e ci va giù in maniera più decisa.

"Quando con gli amici si guardano i video di quando giocavo, dico sempre che ho sbagliato epoca. Quelli di oggi nel calcio che ho vissuto io, stenterebbero a fare panchina".

Nella tua carriera da calciatore c'è stato lo spazio per il rimpianto?

"Si certo. Potevo andare alla Fiorentina e misurarmi con una squadra che puntava più in alto e provare a vincere qualcosa, ma non se ne fece nulla. Credo che con il senno di poi posso ritenermi soddisfatto. Ho fatto una carriera importante e le mie soddisfazioni me le sono tolte".

Con un argentino non si può non parlare dell'elezione di Papa Bergoglio.

"Noi argentini siamo molto religiosi ed è stato un evento di portata storica l'elezione di questo Papa. Per la prima volta viene nominato un cardinale del sudamerica e per giunta argentino".

Si sente l'emozione nelle sue parole: "Mi piace questo pontefice perchè ha conosciuto la povertà e ha l'umiltà giusta. Di argentino non ha perso nulla, compresa la sua inflessione quando parla. Da questo punto di vista noi non perdiamo mai quella particolarità nel pronunciare le parole. Anche io nonostante siano trent'anni che vivo in Italia, non perdo mai quell'inflessione che mi rende orgoglioso di essere argentino".

Argentino ma con genitori italiani.

"Si, nativi di Bitonto in provincia di Bari".

E sicuramente i tuoi avranno vissuto la crisi dell'Argentina del 2001, quando il paese è stato sull'orlo della bancarotta.

"Ricordo molto bene quel periodo. Ma penso che tutto sia partito dalla dittatura militare (dal 1976 al 1983). La pentola doveva esplodere prima o poi, è stata una conseguenza di ciò che si era prodotto in trent'anni di storia del paese. Dispiace per la gente che ha perso tutti i risparmi che aveva messo da parte per una vita intera".

Adesso la situazione sembra che stia migliorando.

"E' vero, ma c'è ancora molto da fare. E' stato un duro colpo per un paese che era meta di turisti dall'Europa e dall'Italia in particolare. C'erano molti vostri connazionali che venivano da noi a farsi le vacanze. La Presidente (Cristina Kirchner, ndr) sta lavorando sodo per rimettere in sesto le cose. Speriamo bene per l'Argentina stessa".

Per chiudere torniamo alla tua esperienza in Italia con il Lecce. Torni ogni tanto al "Via del Mare"?

"Si, ma è un colpo al cuore vedere lo stadio vuoto. Quando giocavo c'erano le tribune stracolme di gente e la domenica era una festa".

Il tuo gol più bello?

"Senza dubbio: Lecce-Bari 2-1. Un gol di testa".

Prossimo appuntamento con "Mi ritorni in mente" è per domenica 9 giugno.