Braglia: "A Rimini abbandonati. Non sono scappato, era questione di dignità"

Piero Braglia, ex allenatore del Rimini, è intervenuto nel corso di 'A tutta C', trasmissione in onda su TMW Radio e Il 61, condividendo le sfide e le difficoltà affrontate durante il suo breve ma intenso periodo alla guida della squadra romagnola.
Sono state settimane difficili per lei alla guida del Rimini, anche se dalla tribuna. Ci racconta com’è stata questa esperienza?
"Sì, sono state settimane complicate, soprattutto perché non si vedeva una via d’uscita. Ogni giorno emergeva una novità, una difficoltà diversa. Ci siamo affidati al direttore Nember, che però, alla fine, ha potuto fare ben poco. Le problematiche erano evidenti e crescenti. Sapevo della penalizzazione in arrivo e avevo chiesto una squadra in grado di competere per la salvezza, puntando a circa 50-52 punti. Ma quella squadra non è mai arrivata, anzi, è stata smembrata".
Quindi, nel caos del Rimini, il direttore Nember è stato un punto di riferimento per lei? Come funzionava la struttura societaria?
"Onestamente, nel Rimini era difficile capire chi comandasse. C’era il presidente Scarcella, c’era Nember, ma le difficoltà erano legate a una mancanza di fiducia fin dall’inizio. Un giorno dicevano che la vecchia gestione avrebbe risolto, poi che non si poteva fare una certa operazione, poi che si sarebbe andati in banca per sistemare tutto, ma non si risolveva nulla. Alcuni giocatori importanti per la categoria sono stati lasciati liberi di andare altrove. A un certo punto, io e il mio staff ci siamo guardati in faccia e ho detto: “Basta”. Ci siamo sentiti presi in giro e, in parte, abbandonati. A parte il team manager, il fisioterapista, Andrea Gatta e pochi altri sempre presenti, non c’era più nessuno. Non rispondevano nemmeno al telefono".
Ha menzionato di voler ringraziare qualcuno. Chi vuole ricordare?
"Non ho ringraziamenti particolari da fare, ma voglio dire che a un certo punto ho visto una situazione insostenibile e ho deciso di andarmene. Non mi piace lasciare le cose a metà, non sono mai scappato dalle difficoltà in 36 anni di carriera, ma qui non si trattava di scappare: era più una questione di dignità. Mi sentivo preso in giro, e questo mi ha dato fastidio".
Conoscendo il suo temperamento e il suo percorso, cosa l’ha spinta ad accettare una sfida così complessa come quella del Rimini, che già si preannunciava difficile?
"Sono stato contattato da Nember, una figura di spessore, che ai tempi del Chievo era tra i migliori direttori in Italia. Mi fidavo di lui. Abbiamo discusso di un progetto, ma le aspettative non sono state mantenute. Non puoi buttare via una carriera per una situazione del genere. Non era giusto per me, per il mio staff, per Di Cuonzo, e soprattutto per i ragazzi, che si sono comportati da più che professionisti. Siamo rimasti finché abbiamo potuto per dare loro un punto di riferimento, ma alla fine non ce la facevo più. I giocatori stessi sono andati in sala stampa a parlare, e mi dispiace davvero per loro e per l’ambiente".
Lei è stato visto in tribuna, non in panchina. Era un segnale alla piazza o alla proprietà? E il suo contratto era stato depositato?
"Nessun segnale alla piazza o alla proprietà. Il mio intento era chiaro fin dal primo giorno: sarei andato in panchina solo con la squadra che avevamo concordato. Ma quella squadra non è mai stata costruita. Giorno dopo giorno, non c’era fiducia, non si potevano tesserare giocatori. Ho visto situazioni assurde, come un ragazzo arrivato dalla Svizzera e lasciato in albergo per dieci giorni senza che nessuno gli dicesse nulla. In queste condizioni, non si può parlare di calcio. Ho deciso di andarmene per dignità, per me e per gli altri. Mi piace ancora allenare, stare in campo, divertirmi, ma qui non c’era più niente da fare se non gestire i ragazzi e farli allenare".
Parliamo di una questione che mi ha colpito: la possibilità di tesserare giovani come “volontari”, senza contratto, entro una certa età. Questo mi sembra irrispettoso verso i giocatori e anche un fattore che altera l’equilibrio economico del campionato. Lei cosa ne pensa?
"Questa normativa mi ha fatto rabbrividire. Avere una squadra di “volontari” altera l’equilibrio di un girone, e potenzialmente dell’intero campionato, visto che i playoff si incrociano. È irrispettoso verso le altre squadre e verso i giocatori che vogliono il giusto stipendio, rischiando di passare per “cattivi” se non accettano certe condizioni. Mi fa rabbia vedere genitori che permettono ai propri figli, a volte minorenni, di entrare in queste situazioni. Abbiamo fatto giocare un ragazzo, Gagliano, bravo e in gamba, arrivato di notte dalla Svizzera per la prima partita contro il Gubbio. Ha giocato bene, ma non avevamo nemmeno un portiere disponibile! Una volta i genitori non si avvicinavano agli spogliatoi; oggi pagano per far giocare i figli, e questo non ha senso. Se un ragazzo merita, deve giocare per il suo valore, non perché qualcuno paga".
Lei ha accennato alla Serie C e alla Serie D, ma il livello del calcio italiano sembra calato anche in Serie A e B, come si vede dalla Nazionale. È un problema di regolamenti o altro?
"Il calcio italiano ha bisogno di semplificarsi. Gattuso, per esempio, ha fatto cose normali e ha ottenuto risultati. Non serve esaurire i giocatori con schemi complicati, ma metterli a loro agio. Quanto ai regolamenti, il numero di squadre professionistiche non è il problema, ma le tasse sono troppo alte. Un ragazzo che guadagna 50 mila euro deve versarne quasi il doppio in tasse, e questo pesa sulle società. Dopo dieci anni, molti calciatori si ritrovano senza una strada, e non è facile costruirsi alternative in Italia. È un problema sistemico".
Tornando al Rimini, con la penalizzazione e i rumors su un possibile passaggio di quote, si sorprenderebbe se la squadra non concludesse l’anno solare 2025?
"Non lo so, ma mi auguro per la gente di Rimini che la stagione venga completata. Hanno un centro sportivo con 11 campi e una foresteria da finire, ci sono troppi interessi in gioco. Far fallire tutto sarebbe poco intelligente, e il comune creerebbe problemi per altre acquisizioni. Credo che abbiano interesse a finire l’anno, anche perché ormai le spese più grosse sono state tagliate".
Ha mai avuto modo di confrontarsi con l’amministrazione comunale di Rimini, visto il conflitto con la proprietà?
"No, non ho mai parlato con loro. Non mi sentivo a mio agio, e la società ha le sue colpe, ma anche l’amministrazione, a mio avviso, ci ha messo del suo. Prima approvano l’iscrizione, poi si irrigidiscono, negano il campo e altre cose. Non è rispettoso verso i ragazzi che indossano la maglia del Rimini. Mi sarebbe piaciuto dirglielo di persona".
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