Addio al presidentissimo della Serie C: la lezione di Macalli

La domenica si è chiusa in maniera triste per la Lega Pro e per il calcio italiano. Vorrei offrirvi un ricordo personale del presidente Mario Macalli, spentosi ieri dopo una lunga malattia, ma la verità è che nel farlo sarei disonesto. Non avendolo vissuto in maniera diretta per questioni anagrafiche, penso che altri, anche nella redazione che mi onoro di dirigere, siano ben più titolati di me a raccontarvi cosa il presidentissimo della Serie C sia stato per il calcio italiano. Quello che possiamo fare, insieme, è ripartire da quella che può essere una lezione da imparare.
Macalli è stato tante cose, e il giudizio sulla sua lunghissima presidenza può essere positivo o negativo a seconda della prospettiva, addirittura l’una e l’altra cosa a seconda del periodo. Di sicuro, è stato un uomo di idee. Ha indicato una strada che, pur nelle divergenze relative alla governance, l’attuale Lega Pro continua a seguire e a buon ragione. Aveva capito quanto fosse indispensabile l’identità per questo campionato, e come sia i giovani che l’aspetto locale ne dovessero essere punti di forza.
Soprattutto, è stata sua l’unica vera riforma che il calcio italiano abbia vissuto negli ultimi trenta e passa anni, la riduzione del numero di squadre di C. Mentre altri temporeggiavano, ebbe il coraggio di fare quello che ancora oggi non si riesce a fare. E questo è uno dei motivi per cui oggi è miope pensare che il problema siano - solo - le sessanta società di terza serie. Fu un coraggio dettato da motivazioni molto chiare, di natura economica e quasi emergenziale. Fu una riforma quasi obbligata, oggi invece sarebbe bello e necessario vararne un’altra per convinzione e non solo per sopravvivenza. Fu, comunque, una riforma: il riconoscimento che nel pallone tricolore c’era qualcosa - più di qualcosa - che non funzionava. È una lezione, quella di voler e saper riformare, che non meriterebbe di essere trascurata.
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