Come la Premier: e se la soluzione per cambiare il calcio italiano fosse separarsi dalla Serie A? La lezione di Franchi: solo la competenza ci salverà. Sudtirol, missione quasi riuscita. Bari, ora i DeLa al bivio

04.04.2022 00:00 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
Come la Premier: e se la soluzione per cambiare il calcio italiano fosse separarsi dalla Serie A? La lezione di Franchi: solo la competenza ci salverà. Sudtirol, missione quasi riuscita. Bari, ora i DeLa al bivio
TMW/TuttoC.com

Oggi, il calcio inglese per chi lo guarda da fuori è la Premier League. Fino al 1992, le cose non stavano esattamente così. In quell'anno, i club più ricchi d'oltremanica portarono a termine un lungo e conflittuale processo nel quale il massimo campionato si separò dal resto del movimento. È un aspetto tecnico, che lecitamente può appassionare poco i lettori, ma è fondamentale: al giorno d'oggi, la Premier League non è dipendente dalla federcalcio inglese, che gestisce invece i campionati dalla Championship (la B) in giù e le coppe nazionali. Un passaggio fondamentale, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti: grazie a quella frattura - oltre a una serie di altri fattori, per carità - l'Inghilterra viaggia dieci spanne sopra il resto del mondo. A livello sportivo, tecnico ed economico: un altro pianeta.

Dopo la delusione per la mancata qualificazione ai Mondiali, si è tornati a parlare di riforme e amenità varie. Da queste parti, vi abbiamo più volte raccontato come a oggi il percorso per innovare il calcio italiano sia impantanato nelle sabbie mobili. Magari un sussulto di dignità risveglierà prima o poi chi di dovere, ma a oggi sulla riforma non si è mosso nulla. Non che si voglia sostenere che sia semplice: però non può neanche essere impossibile, altrimenti questi siamo e questi resteremo. In tale scenario di immobilismo, gioca un ruolo non da poco la netta rottura fra la federcalcio, le leghe "minori" e la lega di Serie A. Peraltro acuita dai recenti eventi, in cui all'insegna della cordialità si sfiora il lei non sa chi sono io.

Intendiamoci: su molti aspetti, Gravina - fermo restando che avremmo trovato più onorevoli le dimissioni come fatto dai suoi predecessori per molto meno - ha tutte le ragioni di questo mondo. La Serie A è un insieme di venti ricchi litigiosi, ognuno dei quali guarda se tutto va bene fino al confine del proprio orticello. E che per la cronaca hanno collezionato una lunga serie di magre figure, spesso frutto di ottusità. Sta di fatto, però, che qualsiasi riforma o si fa con loro o non ha alcun senso. Piaccia o non piaccia. E qui arriviamo all'interrogativo: non può essere che imitare la Premier League sia la soluzione per salvare il nostro calcio? La Serie A da una parte, gli altri dall'altra. Tanto comunque ognuno fa i suoi comodi, ma quelle venti vivono - quasi tutte almeno - un altro mondo e un altro calcio rispetto alle serie inferiori, non proprio omogenee fra di loro ma almeno più affini. Nel mezzo, una serie di accordi per garantire solidarietà, più di quanto non succeda oggi, e dare anche una sforbiciata alle squadre professionistiche: fu questa una delle condizioni poste dalla federcalcio inglese ai futuri club di Premier per potersi staccare. Il tema è complesso, è già affiorato nei pensieri di più di un dirigente: meriterebbe quantomeno un approfondimento.

A cento anni dalla nascita di Artemio Franchi, la Lega Pro lo ricorda con una sontuosa iniziativa. Non proprio nel miglior momento per celebrare il calcio italiano, ma era imprevedibile. Ai più giovani, il nome non dirà molto se non per gli stadi di Firenze e Siena. A chi scrive, onestamente, altrettanto per ovvie ragioni di età, essendo Franchi scomparso prematuramente nel lontano 1983. Detto questo, ricordarlo ha un senso non solo per l'omaggio - doveroso - a quello che ha fatto per il pallone italiano, ma soprattutto per la lezione che può ancora  esserci utile in una fase di estrema difficoltà. Franchi è stato un grande innovatore e un dirigente competente. È quello che ci manca, oggi come oggi. Pensare fuori dagli schemi, ma anche essere capaci di supportare i propri pensieri con azioni adeguate. La competenza, spesso e volentieri, manca al nostro lamentoso calcio. Quanti direttori sportivi, per esempio, sono dei sissignore agli ordini del proprio presidente e quanti fanno mercato soltanto appoggiandosi agli agenti amici? Poi non lamentiamoci se questi ottengono il sopravvento. La competenza è la chiave per uscire dalle sabbie mobili. Qualche esempio? Non pretendiamo di essere esaustivi: a Palermo oggi brilla Brunori. Bella storia, per la cronaca. L'ha scoperto uno come Faggiano, che negli anni ha pescato gente come Galuppini, Lanini, Zamparo, Cheddira. Ancora, uno più giovane: a Vibo Valentia oggi sono praticamente in Serie D. Hanno vissuto grandi anni grazie all'ex ds Lo Schiavo, che non a caso è finito alla Roma. A Viterbo con la retrocessione facevano già i conti, poi è arrivato Fernandez e ha rimesso in riga le cose. A Lecco uno come Fracchiolla sta facendo miracoli. Per fortuna, di esempi positivi ne avremmo tanti. Ma sono di più quelli negativi: preferiamo non farli, per pensare in positivo.

A proposito di competenza e di direttori sportivi, brilla oggi Ciro Polito. Se il Bari torna in Serie B, lui ne è il principale artefice. Facile fare meglio di chi lo ha preceduto? Vero, ma ha costruito una squadra fatta per raggiungere l'obiettivo e lo ha raggiunto. È stato il primo a essere indipendente da Napoli e il risultato è la promozione con tre giornate d'anticipo. Viva Polito, e viva il Bari. Che ora festeggia, ma domani ha un grosso interrogativo da sciogliere: entro il 2024, i De Laurentiis devono decidere cosa fare. Il ricorso è legittimo, ma difficilmente destinato ad avere buona sorte. Cedere il Bari o cedere il Napoli? Scelte loro, a seconda delle opportunità. Il consiglio è di non ridursi all'ultimo - o anche a tempo scaduto - come fatto da Lotito a Salerno. A proposito di competenza, non ne difetta di certo Paolo Bravo, ds del SudTirol. Ha messo su un autentico miracolo, che però ha inspiegabilmente quasi raggiunto la propria missione suicida delle ultime settimane: dilapidato il ragguardevole vantaggio costruito a un certo punto della stagione, ha il fiato del Padova sul collo. Lo scontro diretto di Pasqua, tra due settimane, può essere il crollo o la rinascita. Attenzione: i playoff, per chi aveva il campionato in mano e dovesse averlo buttato alle ortiche, sarebbero molto difficili da affrontare dal punto di vista psicologico.