Riforma, tra sfida e azzardo. Contano i fatti, non le etichette. L’oro della Juve dall’U-23

02.08.2021 00:30 di Ivan Cardia Twitter:    vedi letture
Riforma, tra sfida e azzardo. Contano i fatti, non le etichette. L’oro della Juve dall’U-23
TMW/TuttoC.com

Alla fine, quasi last second, ecco la riforma. Meglio, la proposta di riforma. Quella che sarà, che sarebbe, che per ora la FIGC del presidente Gravina ha messo sul piatto mentre sono ancora da definire gli organici di Serie B e Serie C, e la A l’ha già bocciata nella misura in cui si è mostrata, sia pure senza mosse ufficiali in tal senso, piuttosto refrattaria all’idea che per cambiare tutto bisogno che cambi anche lei. Il progetto partorito dalla federcalcio nei giorni scorsi è, a oggi, un buon proposito per il futuro: troppo poco se consideriamo da quanto se ne discute. Tantissimo se si pensa quanto sia complicato mettere d’accordo le varie, spesso litigiose e quasi sempre egoiste, anime e voci del calcio italiano.

È una sfida, perché per arrivare al traguardo bisognerà vincere tante resistenze. È un azzardo, perché a oggi è appunto un progetto, una proposta, non un accordo. C’è differenza, anche se, ovviamente, non si arriva a un annuncio del genere senza tanto lavoro preparatorio alle spalle. Se sarà così, se cambierà, lo vedremo e racconteremo, intanto siamo del partito che è qualcosa, pur se non tantissimo e di sicuro perfettibile. Due considerazioni da questo punto di vista: in primo luogo, che oltre ai numeri ci sono i soldi. Per ora mancano. Uno degli aspetti più difficili da raccontare è quanto sia cruciale tornare a discutere delle risorse e della loro redistribuzione. È un aspetto che va oltre la federcalcio e investe anche la politica, ma la verità è che le società professionistiche in Italia possono essere 100, 60 o 20, ma conta quanti sono i soldi che arrivano al movimento nel suo complesso e in che modo essi sono gestiti. Una riforma del pallone che non parti da una profonda revisione della legge Melandri è monca in partenza, per intendersi. Secondo punto: contano i fatti, più delle etichette. Si discute della riunione di B e C in una lega unica. Tanto per cominciare, ci sia consentito di nutrire qualche dubbio sul fatto che il problema sia l’esistenza o meno della Lega B e della Lega Pro come entità separate. Il che non vuol dire che fondersi sia un male, ma che è una formalità del tutto secondaria rispetto alla sostanza che ci deve essere sotto. C’è bisogno di una terza serie che sia un cuscinetto e non un salto nel vuoto: che poi si chiami Lega Pro o Lega B, C Elite o C Factor, è un aspetto che importa quasi o nulla.

Una considerazione finale su un tema caro a qualcuno e molto meno a tanti altri. Su queste pagine ho già scritto che, così come sono, le seconde squadre non hanno ragion d’essere e vanno ripensate in profondità. Ecco, credo che a oggi siano una grandissima occasione sprecata. Per come sono state gestite a livello federale, ma anche dai club del massimo campionato. Una prova, sia pur minima e tutta da convalidare: la Juve di Allegri riflette sul futuro di due ragazzi come Fagioli e Ranocchia. Percorso giovanile diverso, ma entrambi hanno potuto vivere l’impatto, potenzialmente traumatico, con la realtà di un grande club come i bianconeri, da una porta di accesso decisamente più comoda. Anche al professionismo, tra parentesi. Se diventeranno grandi o meno, starà a loro, ma intanto la Vecchia Signora “rischia” di pescare dalla bistrattata U-23 alcune pepite d’oro.