Rimini? Il problema è ultraventennale. Capita in C ma non è colpa della C. Il sistema Italia ha normalizzato il fallimento
Oggi Rimini, ieri Turris e Taranto, prima ancora tante, ma tante, altre. Quasi 200 dal 2000 a oggi. La maggior parte in Serie C. Ma il problema del calcio italiano non è la Serie C. È il calcio italiano. Che parla di sostenibilità e riforme ma poi non mette in pratica né la prima né le seconde.
La Serie C è un campionato che resiste come può. Che accoglie club dalla D che hanno tutt’altra fiscalità e club dalla B che hanno avuto, fino a un secondo prima, tutt’altri introiti.
Un campionato che ne fa salire 4 su 60, ovvero il 6,6% ma ne fa retrocedere 9, ovvero il 15%. Sempre in attesa di capire come il presidente Gravina intenda cambiare questi numeri.
Un campionato che, con i diritti TV, ci paga l’iscrizione al campionato e poco più, mentre nelle categorie superiori il piccolo schermo ti paga una bella parte di stipendi.
Un campionato che non riesce a reggersi nemmeno sui ricavi degli sponsor, degli stadi, del merchandising, se non in pochi casi.
Un campionato che aspetta con ansia gli sgravi fiscali del semiprofessionismo, più e più volte sbandierato ma ancora non attuato (e qui la politica non sportiva, prima ancora di quella sportiva, ha le sue colpe).
Il problema, insomma, è atavico. Pensare solo al Rimini o al passato recente è un grosso errore di valutazione. I club, in Italia, saltano in aria, con preoccupante regolarità, da decenni. E saltano soprattutto in Serie C. Ma non per colpa della C. Sostanzialmente per due motivi. Il primo: chi arriva dalla B non riesce a sostenersi perché non ha più gli stessi ricavi. Il secondo: chi non ha più intenzione di investire non sa a chi vendere e allora si cala la serranda, rendendo i club sempre meno solidi e sempre più in balia dei chiari di luna dei presidenti.
Del resto la stessa Serie C attuale è piena di nuovi club nati sulle ceneri dei precedenti. Basta guardare gli stemmi: Brescia, Novara, Catania, Livorno, Carpi, Sambenedettese, per fare alcuni nomi, non hanno il logo storico ma quello della ripartenza. Il sistema, insomma, ha normalizzato il fallimento e le esclusioni. Del resto, tra il 2017 e il 2019, erano saltate per aria, tra le altre, Como, Modena, Avellino, Cesena, Bari, Reggiana, Palermo. Che adesso ritroviamo tra A e B. Parliamo di pochi anni fa. Eppure sembra sia passato un secolo.
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