Tre regine, tre trionfi diversi: non c'è una ricetta unica. Ora inizia un nuovo campionato. Multiproprietà e seconde squadre: se il futuro è dei grandi gruppi, forse la battaglia è persa in partenza

25.04.2022 00:00 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
Tre regine, tre trionfi diversi: non c'è una ricetta unica. Ora inizia un nuovo campionato. Multiproprietà e seconde squadre: se il futuro è dei grandi gruppi, forse la battaglia è persa in partenza
TMW/TuttoC.com

SudTirol, Modena, Bari. C'è chi arriva per la prima volta, c'è chi torna dove le compete e c'è chi dovrà ancora aspettare per arrivare dove sogna ma intanto si riavvicina. Tre squadre diverse, tre città diversi, tre modi diversi di arrivare al trionfo, anche in ragione dei valori tecnici emersi nei tre raggruppamenti, su cui ci sarà da riflettere in vista dell'anno prossimo, senza fare drammi. Più dei soldi, che le tre società hanno sicuramente investito, contano le competenze, le scelte. Quelle del Bari che si è affidato a un direttore sportivo come Polito - senza nulla togliere a Mignani, ma era quella la falla delle ultime due stagioni - o del Modena che ha dato le chiavi in mano a un tecnico come Tesser: anche in questo caso, nulla da dire su Vaira che ha fatto un lavoro straordinario, ma per i canarini la differenza l'ha fatta soprattutto uno specialista delle promozioni. Meriti suoi, loro, e di chi li ha scelti, ça va sans dire. E poi c'è il SudTirol.

In un certo senso, la vittoria della formazione altoatesina è il manifesto di quello che la Serie C può e forse deve essere. Programmazione, strutture, settore giovanile. Quest'anno ci credevano e lo hanno dimostrato sul mercato, ma più dei colpi o presunti tali - soprattutto quelli di gennaio - la differenza l'hanno fatta i giocatori cresciuti in casa. E ancora: nulla da rilevare sul lavoro strepitoso di Bravo e Javorcic, accoppiata ds-allenatore che in Alto Adige scrive un pezzo di storia. Ma qui il plusvalore lo dà una società che ha costruito il calcio dove il calcio praticamente non esisteva, e ha adottato un modello da prendere come esempio anche per realtà più blasonate.

Ora inizia un nuovo campionato, per tutte le altre. E non è un modo di dire: i playoff piacciono o non piacciono, ma chi li affronta deve resecare il resto della stagione. A chi scrive, per la cronaca, questa formula amplissima continua a piacere: rischia di annacquare il merito, sì. Ma offre alla stagione una coda molto competitiva, tiene sotto controllo qualche istinto "deviato" e poi di solito passano comunque le formazioni che hanno avuto una stagione migliore. Una favorita? Toccassero ferro all'Euganeo, ma per come ha finito il campionato il Padova dovranno guardarsi tutti da una formazione che mira a riprendersi negli spareggi quanto non è riuscita a raggiungere in regular season.

Chiudiamo con una riflessione su alcuni temi di attualità. In settimana, Luca Bargellini ha scritto delle seconde squadre e del "tifo" della FIFA, che dalla prossima stagione darà una sostanziale sforbiciata ai prestiti, per questa soluzione. A oggi, parliamo di una colossale occasione persa, e quindi di un sostanziale fallimento, su cui da troppo tempo urge una seria riflessione. Chi ha la pazienza di leggermi, sa quanto sia favorevole a questa soluzione, ma se ne rimane solo una il punto è che senso ha averle. Il tema si ricollega inevitabilmente alle famigerate multiproprietà, la più chiacchierata delle quali è quella che unisce Bari e Napoli, e non potrebbe essere altrimenti vista la dimensione delle due città. La battaglia alle multiproprietà è il rovescio della medaglia rispetto alla promozione delle seconde squadre, e anche qui: in passato ho scritto più volte di considerare giustissima questa crociata, per quanto non siano peregrine le riflessioni di chi - per esempio su queste pagine Luca Esposito - fa notare come in molti casi le multiproprietà abbiano salvato grandi piazze dalla scomparsa. Ci scontriamo, però, sempre con la realtà. Nel calcio, italiano e internazionale, prendono sempre più piede i grandi gruppi di società, delle vere e proprie holding. Una potrebbe sbarcare in C (o in B, dipende dai playoff) col City Football Group interessato al Palermo. In Italia abbiamo già Spezia e Genoa che fanno parte di due conglomerati diversi. Su gruppi che ospitano 4-5 società, o anche di più, limitare i prestiti ha un effetto risibile: si può cambiare la formula, diventa un dettaglio se acquirente e venditore sono lo stesso soggetto. La domanda è: ha senso, in questo contesto, insistere in una battaglia che va nella direzione opposta rispetto alla quale si sta muovendo il calcio? Non ho una risposta: penso di sì, che le motivazioni per insistere su questa strada siano più che valide, ma interrogarsi è d'obbligo.