ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Walter Tolu

ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Walter ToluTMW/TuttoC.com
© foto di Jacopo Duranti/tuttolegapro.com
domenica 13 aprile 2014, 23:20Interviste TC
di Daniele MOSCONI
55° appuntamento

La solitudine dell'ala destra, così potremmo parlare del ruolo che nella sua carriera ha avuto Walter Tolu da Sassari, bandiera (e non solo) della Torres.

Una posizione strategica questa del tornante - così era chiamato a quei tempi - dove per larghi tratti di una partita sei fuori dal vivo del gioco e all'improvviso ti trovi a sfidare il tuo dirimpettaio per superarlo.

E visto che mi "Mi ritorni in mente" si occupa del passato, allora c'era la consuetudine di saltare l'uomo e non superarlo in velocità con le triangolazioni di adesso. Ecco spiegata la tecnica maggiore di molti giocatori di qualche anno fa rispetto ad oggi: dovevi saper parlare al pallone e non soltanto correre - peculiarità che sembra essere l'unica arma a disposizione dei calciatori di oggi -.

Tolu ha battagliato per tanti anni su quella fascia, conoscendone ormai ogni segreto e giocando sempre in modo semplice, ma sapendo come fare per eludere l'intervento dell'avversario. I suoi cross sono serviti per i suoi compagni, tra cui ricordiamo Bardi, Ennas, Galli: "tutti sardi che avevano insita dentro di loro la sardità".

Ne parleremo di questo aspetto, la sardità, mostrato con orgoglio come una medaglia.

Per Tolu la maglia della Torres ha rappresentato qualcosa che non si può spiegare a parole. Era una parte di lui, cosciente che il professionismo l'avrebbe portato anche lontano dalla sua Sassari (vedi esperienze ad Andria e Francavilla).

Soffermandoci su queste stagioni in maglia rossoblù, l'occhio del cronista non può non cadere su quel campionato 1986/87: presidente Rubattu e in panchina Leonardi - altro personaggio indimenticabile della storia torresina -. In quella squadra faceva le sue prima apparizioni un ragazzino di Oliena: Gianfranco Zola. Ultima giornata e le tribune del "Moccagatta" di Alessandria sono piene di tifosi sassaresi: basterebbe un punto alla Torres e invece arriva la vittoria che regala la C1. Un'annata che i tifosi sardi non dimenticheranno facilmente.

Walter Tolu in questa esclusiva intervista concessa a TuttoLegaPro.com ci ha aperto questo cassetto e insieme abbiamo risentito l'agonismo e la tensione di quelle domeniche lontano dalla Serie A, quando lo stadio "Acquedotto" (oggi "Vanni Sanna", ndr) era un fortino invalicabile e tra le mura amiche si costruiva la salvezza per la stagione successiva.

Walter, non ti manca il calcio?

Prima di rispondere c'è una pausa - che diverrà con il passare del tempo il suo tratto distintivo tra un ricordo e un altro: "Sarei bugiardo se ti dicessi di no. Non è tanto il campo che mi manca, ma lo spogliatoio. Il clima che si viveva in quelle quattro mura".

Cosa hanno rappresentato quelle quattro mura?

"Per chi non ha vissuto lo spogliatoio sarebbe banale dire che sono quattro mura: lì dentro c'è la mia vita. Lì ci ho costruito insieme ai compagni vittorie importanti e, quelle che da fuori erano crisi di risultati, non erano altro che situazioni da chiarire che portavano a un netto cambiamento della squadra in campionato. Dirti tutte queste cose non è che il minimo, poiché lo spogliatoio ti forma come poche cose nella vita. Devi viverlo, averlo respirato per capirlo. Ti faccio un esempio per darti un quadro più chiaro: quando viene a mancare la qualità, c'è solo la forza degli uomini che può sopperire a questa carenza. E in uno spogliatoio unito, usciva fuori quel qualcosa in più che dava sostanza alla squadra".

Ne parla con molto orgoglio: quell'orgoglio che lo fa sentire tremendamente felice di parlare della sua carriera da calciatore.

Come hai posto lo spogliatoio, possiamo simboleggiarlo come scuola di vita per i più giovani.

"Si, mi piace come definizione. A dire il vero anche io ero un timidone, però in campo sapevo farmi rispettare. Non servivano minacce o altro, era il tempo e l'esperienza che ti formavano".

A Sassari hai giocato per tanti anni conquistando una C1 che ancora oggi fa brillare gli occhi dei tifosi torresini.

"Allenatore Lamberto Leonardi. Uno che all'inizio non mi aveva preso tanto bene. C'erano degli screzi tra me e lui. Venendo dalla Juventus voleva che giocassi come se fossi un giocatore di serie A, mentre io ero un onesto calciatore di serie C. A lungo andare ho imparato a rispettarlo e stimarlo come uomo e devo dire che mi ha insegnato tantissimo. La sua forza ci dava una carica enorme e come hai ben ricordato con lui abbiamo costruito una promozione incredibile in C1".

Un rapporto che vi ha portato anche lontano da Sassari.

"Infatti Leonardi mi portò con lui a Francavilla, Nocera con la Nocerina e ad Andria".

Quali altri allenatori hai avuto oltre a Leonardi a Sassari?

"Paolo Specchia, Francesco Liguori. Tutta gente che conosce la categoria - almeno la C che ho calcato - come se stessa".

In quella Torres che andò in C1 c'era anche un ragazzino alle prime armi: Gianfranco Zola.

"Si, uno sconosciuto" (ride).

Arrivate in C1 e il parterre che vi ritrovate è da brividi.

"Caspita! C'erano squadre fenomenali: Cosenza, Foggia, Cagliari, Salernitana, Palermo, Catania. Roba da accapponarsi la pelle. Ogni domenica dovevi dare il mille per cento. Ti garantisco che il livello era altissimo".

E voi vi facevate forti grazie al vostro catino: l'"Acquedotto". Almeno un paio di salvezze le avete raggiunte in casa.

"Era d'obbligo riuscire a costruirsi la salvezza in casa e il nostro stadio, quando giocavamo a Sassari, era così pieno, da divenire il dodicesimo uomo in campo".

La vostra squadra era composta da uno zoccolo duro di sardi.

"Ed era un altro dei motivi della forza di quegli spogliatoi: la sardità".

Cos'è la sardità?

"Era quel senso di appartenenza forte che solo noi sardi potevamo capire e sentivamo dentro di noi, come se quella maglia divenisse una missione da compiere: vivere o morire. Ho estremizzato, ma noi sardi siamo molto orgogliosi della nostra terra e quello spirito insito dentro di noi ci ha aiutato nei momenti peggiori. In una parola: c'era cuore".

La sardità come ingrediente per raggiungere certi obiettivi: Walter Tolu ne è fiero di questo aspetto.

In quel primo campionato di C1 (1988/89) giocate il derby contro il Cagliari di Claudio Ranieri che quell'anno tornerà in B dopo alcuni anni bui.

"Ne ho giocati due: uno allo stadio "Amsicora" e uno al "Sant'Elia" e posso garantirti che giocare in questo impianto davanti a quarantamila persone era qualcosa di eccezionale".

Riuscivi a dormire prima del derby?

"Si, non ho mai avuto di questi problemi per fortuna. Durante la settimana mi preparavo bene e il sabato notte riposavo bene".

Tu sassarese e tifoso del Cagliari.

"Certamente. La Torres è parte della mia vita, ma il Cagliari per un sardo è sempre qualcosa di diverso".

Quando hai deciso che era il momento di dire basta?

"Quando la palla correva più di me" (ride).

Il passato lo abbiamo vissuto, ora devi parlarci dell'attualità: fai l'agente di commercio ma la Torres dove si trova adesso?

"E' sempre lì nel mio cuore. La seguo sempre".

In questa stagione eravate partiti male e adesso siete in corsa per rimanere nella "Lega Pro unica". Tu avevi polemizzato con la dirigenza per il mercato.

"No, aspetta. Mettiamo in chiaro la cosa: ho criticato e i fatti con il tempo mi hanno dato ragione".

Spiegaci tutto.

"Il problema era unico: la dirigenza ha deciso che la squadra che aveva vinto il campionato di serie D non era idonea a giocare nei Pro. In questo modo hanno costruito una rosa nuova, con giocatori che fino a due mesi prima neanche si conoscevano. Quindi ho detto una cosa molto semplice: ho giocato tanti anni nei Pro e per farlo ho dovuto iniziare da una partita d'esordio. Se mai si comincia mai si fa esperienza".

Nelle scorse settimane c'è stata la reprimenda di Cari a Lisai: il tecnico ciociaro imputava al ragazzo una testa da dilettante e mezzi tecnici da serie superiore e finché le due cose non combaciavano non avrebbe fatto molta strada il giocatore.

"Ho seguito poco la vicenda, però conosco Marco (Cari, ndr), essendo un anno più grande di me e ci ho giocato contro quando era al Frosinone. E' persona di temperamento e se ha detto quelle cose avrà avuto le sue buone ragioni. Penso che il problema che pone Marco sia più generale".

In che senso?

"Quando guardo i prepartita vedo tanti giocatori che sembrano degli zombie: cuffiette alle orecchie, ognuno per conto proprio. E come fai (usa un termine più colorito, ndr) a creare un gruppo in questo modo. Me lo spieghi?".

Pensi che la tecnologia danneggi la creazione di un gruppo?

"Mi pare logico. Dai ragazzi, non scherziamo: se in uno spogliatoio al massimo si condivide una doccia e poi chi s'è visto s'è visto, come degli estranei, pensi che si vada lontano? Quale gruppo vuoi creare in questo modo! Questo mi fa tornare alla mente Leonardi quando tornò a Sassari in C2 qualche anno dopo. Quando si andava in ritiro in trasferta aveva vietato i televisori. E la sera controllava nelle camere che i giocatori dormissero. Non sono contro la tecnologia, però guarda caso quell'anno la Torres riuscì a salvarsi".

Il calcio per te è stato più sacrificio o gioia?

"Sacrificio il calcio? Ma cosa dici! Per me il calcio era ed è ancora oggi gioia. Sono altri i sacrifici nella vita, non giocare a correre dietro un pallone. Io rido quando sento dire: ho fatto tanti sacrifici. Li hai fatti tu o la tua famiglia? Sembrano quelli che devono scalare una montagna e invece devono giocare. Ma ti rendi conto? Gli esempi che hanno davanti non sono proprio il massimo. Tu pensa che quando giocavo, avevo come riferimenti gente come Platini, Zico, Falcao, Rumenigge. Gente che qualcosa sportivamente parlando me lo insegnava: sia in campo che fuori. Oggi chi c'è? Balotelli? Lasciamo perdere dai...".

Un paio di domande e ti congediamo: se non avessi fatto il calciatore?

Altro sospiro: "Avrei fatto sempre il calciatore. Non so vedermi in un ruolo diverso dal calciatore".

Cosa è per te la Torres?

L'ultimo e più emozionante sorriso lo dedica alla squadra della sua città. Sembrano secondi interminabili: "Tutto! Sono orgoglioso (il ritorno dell'orgoglio, ndr) da sassarese di aver vestito questa maglia che ha più di cento anni di storia e sempre da sassarese ho anche avuto l'onere - prima l'onere e poi l'onore - di avere la fascia da capitano. Sarà sempre qualcosa di speciale quella maglia sul manto erboso".

Prossima intervista per "Mi ritorni in mente": domenica 27 aprile 2014.