ESCLUSIVA TLP - Pontedera, l'allenatore Indiani: "Quest'anno fare il quarto miracolo di fila sarà dura. E' una sfida stimolante e mi aiuto con i 10 km di corsa al giorno"

L'allenatore toscano si accinge a vivere il suo quarto anno sulla panchina del Pontedera con l'obiettivo di salvarlo anche stavolta
22.09.2015 12:00 di  Daniele Mosconi   vedi letture
Paolo Indiani
TMW/TuttoC.com
Paolo Indiani
© foto di Marco Conterio

Lo slogan del primo Silvio Berlusconi in politica del 1994 era: "Per un nuovo miracolo italiano". Se andiamo a guardare le ultime tre stagioni del Pontedera di Paolo Indiani - secondo dietro la Salernitana nel 2012/13, promosso in Prima Divisione. Ottavo l'anno successivo e nello scorso campionato di "Lega Pro unica" un lusinghiero nono posto - il vero "miracolo italiano" l'ha fatto lui con squadre giovanissime (età media 23 anni e mezzo) portando a casa risultati importanti e valorizzando molti giocatori, uno su tutti Andrea Arrighini, ma possiamo citare Libertazzi, Settembrini, Anacoura, Della Latta, senza dimenticare l'evergreen Luigi Grassi, ad Ascoli in B che con Indiani a Pontedera in 78 partite ha segnato 47 gol.

Gli attaccanti con il tecnico toscano si trasformano: da brutti anatroccoli a principi...del gol. Chiedere ad Abdel Kader Ghezzal che con Indiani in panchina a Crotone ha fatto il suo record di gol in carriera (20 compresi i play off).

Se non sono miracoli questi. Però quest'anno: "E' più dura degli altri anni. Con la storia dei contributi federali devo far giocare molti giovani, con tutti i rischi del caso".

La partenza dei granata a dire il vero dice il contrario: un pareggio interno contro il Tuttocuoio e una vittoria esterna contro L'Aquila, che prima di sabato aveva infilato due successi di fila.

In questa intervista esclusiva concessa ai microfoni di TuttoLegaPro.com, Indiani parla della quarta stagione a Pontedera ma si lascia andare anche a considerazioni di carattere generale sulla sua categoria, confessandoci che se solo si fosse ammorbidito su certe posizioni, la sua carriera da allenatore sarebbe stata diversa. Appunto, sarebbe.

Mister, ci dica la verità: a L'Aquila le hanno fatto qualcosa?

"Perché?".

Quattro volte è andato a giocare a L'Aquila da quando è a Pontedera, ottenendo tre successi e un pareggio.

"E' vero! A me non hanno fatto nulla comunque (ride divertito, ndr). Forse mi portano fortuna".

Tre punti importanti contro un avversario a punteggio pieno.

"Sono soddisfattissimo di come si è giocato".

E se non ci fosse stata quell'espulsione di Di Santo nel finale...

"Una vera bischerata che non ci voleva proprio. A tempo scaduto poi...".

E' arrabbiato ancora con lui?

"Se gioca sempre come sta facendo lo perdono, altrimenti no".

Quest'anno si appresta a fare l'ennesimo miracolo?

"Eh ma quest'anno è più dura, mi creda. Negli anni passati una base minima della stagione precedente c'era sempre rimasta, quest'anno praticamente nessuno. Con il cambiamento dei contributi federali, siamo rimasti in pochi ad andare avanti come se ci fossero le vecchie regole che richiedevano l'utilizzo massiccio di giovani. Mi ritrovo a farne giocare sette, otto a partita".

Notando il Pontedera, una delle cose che spicca è la vostra attenzione, quasi maniacale al gioco da fermo: calci d'angolo o su punizione è difficile che vi facciano gol. Quindi è vero quello che dicono di lei che è un malato della tattica.

"Difficile no. Diciamo che ci lavoriamo parecchio su questo aspetto".

Arrivato al suo quarto anno a Pontedera si sente più un maestro o un gestore di un gruppo?

"Tutto, fuorché un gestore. Le squadre che facciamo qui a Pontedera, solo a gestirle non andresti da nessuna parte".

Quindi lei si sente un maestro?

"Diciamo che tento nel mio piccolo di insegnare qualcosa".

Pensa che nel calcio ci siano più gestori che maestri?

"Penso proprio di sì. E anche nei posti dove non bisogna esserlo. In alcuni è opportuno esserlo, ma nella maggior parte non credo".

Dando un occhio alle statistiche, bisogna dire che gli attaccanti con lei hanno sempre fatto fortuna. Ultimi in ordine di tempo Grassi e Arrighini,ma in precedenza c'è stato Ghezzal a Crotone con i suoi venti gol in una stagione per lui irripetibile.

"Negli ultimi due anni abbiamo mandato undici giocatori in serie B, non solo attaccanti".

Cosa fa lei agli attaccanti per farli rendere in questa maniera?

"Se mi seguono ci divertiamo".

Quando non la seguono che fa?

"Nulla: semplicemente non miglioreranno. E' successo anche questo".

Lei è uno che non scende a compromessi, forse anche per questo non ha fatto una carriera migliore?

"E' molto probabile che sia così".

Non sarebbe stato meglio per lei scendere a patti?

"Con il mio carattere no, perché sarei stato un pessimo allenatore".

I suoi detrattori dicono che lei è un testardo.

"Può darsi. Anche se con il tempo mi sono ammorbidito: non sono più quello di dieci anni fa".

Anche con i calciatori bisogna essere testardi?

"No, ognuno di loro è una storia a sé".

Il suo credo è: voglio perdere una battaglia, ma la guerra voglio vincerla io.

"Vorrei, vorrei, non sempre riesce ma vorrei".

Lei è un sacchiano di ferro.

"Più che un sacchiano di ferro, sono cresciuto in quell'epoca e credo che in tanti debbano ringraziarlo".

A proposito di Sacchi: "In Italia l'importante è vincere. E' il fine che interessa, non il mezzo per raggiungerlo".

"Ha ragione, purtroppo".

Non è neanche semplice nel suo ruolo di fare spettacolo.

"Comprendo, ma cercare di costruire qualcosa, quello sì".

Quest'anno è arrivato a 61 anni. Dove trova gli stimoli per ricominciare ogni stagione?

"Me lo chiedo anch'io. Mi ricarico d'estate: arrivo a maggio sono morto".

Ancora va a correre?

"Sempre. Ogni mattina dai 7 ai 10 km. Secondo lei sarò malato?".

No, anzi le faccio i complimenti.

"La ringrazio, però mi rendo conto che è un'esagerazione".

Le capita di vedere qualche suo calciatore che non corre come lei?

"Capita eccome. Dopo tornano a correre come dico io".