ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente: Maurizio Poli

Anni fa, quando ancora trasmetteva "Tele+", c'era un promo sul declino del Milan che veniva descritto con le immagini dei rossoneri sconfitti per 1-6 dalla Juventus (stagione 1996/97, ndr): i volti attoniti dei giocatori rossoneri davanti a quella disfatta, a cui seguiva il crollo di palazzi. Ad ogni gol della Juventus, c'erano i vari Maldini, Costacurta, ripresi con gli occhi smarriti e un palazzo che dava il senso del crollo definitivo del ciclo del Milan, durato almeno dieci anni, dall'arrivo di Arrigo Sacchi. Il tutto era corredato da una musica agghiacciante che rendeva il promo uno dei migliori che si siano visti sulla tv italiana. Le immagini in quel caso, non avevano bisogno di parole.
La stessa cosa, pensando ai rossoneri, si può dire della Reggina. Venti anni di successi con il culmine della serie A nel 1999 dopo un'attesa di quasi novant'anni, vissuti per lo più in C e campionati dilettantistici. Lillo Foti, il presidente di quella storica Reggina, uomo d'altri tempi abituato a ragionare con il cuore più che con la testa, difetto che diventa letale con la crisi di questi mesi, era visto come il profeta. Intoccabile. Aveva dato ad una città come Reggio Calabria il potere di sentirsi la rappresentante della regione, onore e onere capitato trent'anni prima al Catanzaro di Massimo Palanca. E con lui c'era quella squadra valorosa che ha costruito la prima promozione in A con un finale di campionato esaltante: esonero di Gustinetti a sei domeniche dalla fine e l'arrivo di Bruno "Maciste" Bolchi sulla panchina amaranto.
Capitano di quella squadra era un toscanaccio, nato a Pisa: Maurizio Poli.
Arrivato a Reggio nell'anno dei mondiali di Italia '90 dal Cagliari, ha preferito per motivi economici trasferirsi alla Reggina, lasciando la A appena conquistata con i sardi per combattere con gli amaranto e costruire con loro i migliori anni della storia del club calabrese.
La storia di Poli è particolare e merita di essere rivissuta: nato come attaccante - lui si schermisce e parla di "attaccante di movimento" -, a Cagliari sotto la guida di Robotti viene dirottato a fare il terzino sinistro. E' la svolta della sua carriera. In quel ruolo diventa il simbolo della Reggina, diventando con il tempo "Maurizio Poli uno di noi". Non si schermisce quando glielo ricordiamo: "Non ho mai lesinato una goccia di sudore, perchè conoscevo i sacrifici che facevano i tifosi per sostenerci. Mi hanno idealizzato come uno di loro e sono orgoglioso di essere stato quel che sono stato con la maglia della Reggina".
Ci sono tutti gli ingredienti necessari per iniziare questa intervista esclusiva ai microfoni di TuttoLegaPro.com
Maurizio, dieci anni di vita a Reggio Calabria.
"Praticamente tutta la mia carriera".
Prima di arrivare a Reggio eri a Cagliari dove hai anche vinto un campionato di B nel 1989/90. Il tuo arrivo in Sardegna merita di essere raccontato.
"L'anno prima ero al Frosinone e al "Matusa" c'era Enzo Robotti che mi prova terzino sinistro".
Non eri attaccante?
"Si, ma non mi vedeva in questo ruolo e allenamento dopo allenamento mi ha provato terzino sinistro. Devo dire che è stata la mia fortuna e la svolta della mia carriera. Contro i sardi gioco la mia prima partita nel mio nuovo ruolo e faccio gol. Il giorno dopo mi chiama Carmine Longo, allora Ds del Cagliari e chiede la mia disponibilità ad andare in Sardegna l'anno successivo".
Tu cosa rispondi?
"Anche di corsa e di fatto l'anno successivo con Ranieri vinciamo il campionato di B".
Avevi l'occasione di esordire in A con dieci anni di anticipo.
"E' vero, però parlai con Ranieri e mi disse chiaro e tondo che non ci sarebbe stato posto per me. Almeno fu onesto".
E arrivò l'offerta della Reggina in B.
"Si, accettai subito: l'offerta non si poteva rifiutare".
Quanto ti avevano offerto?
"Duecento milioni. Non potevo dire di no. Sono sincero".
Appena arrivato a Reggio dichiari: "A Cagliari facevo gli assist per Provitali, qui a Reggio li farò per Simonini e La Rosa".
"Eravamo un'ottima squadra, solo che non partimmo molto bene e lo stesso anno siamo retrocessi in C1. Sono rimasto senza batter ciglio, ripromettendomi che ci saremmo rifatti".
Chi c'era in quella Reggina?
"Rosin in porta, Attrice in difesa, Mariotto, oltre ai già citati Simonini e La Rosa".
In dieci anni ti sei fatto amare come pochi. Sapevi come toccare le corde dei tifosi.
"Infatti era questo che li faceva impazzire: uscivo dal campo sempre con la maglia zuppa di sudore. Ero uno di loro in mezzo al campo".
Alla fine i tifosi della Reggina ti hanno cantato "Maurizio Poli uno di noi". Simbolo di un rapporto che andava oltre i novanta minuti.
"Mi emoziona ancora quando lo sento. Mi hanno voluto bene perchè ho sempre rispettato la maglia che indossavo, dando tutto per lei".
Il tuo rapporto con Reggio è condensato da date quasi coincidenti. L'11 gennaio di quest'anno la Reggina ha compiuto cento anni e tu tre giorni dopo ne ha fatti cinquanta.
"Difatti li ho festeggiati a Reggio. Lo scorso anno, prima dell'esordio contro il Bari, alla presentazione della squadra eravamo presenti io, Giacchetta, Belardi, Cozza. E ricordo che i tifosi cantavano questo coro. Non potevo non emozionarmi. Penso di aver fatto tanto con la Reggina: ho giocato più di duecentocinquanta partite con la maglia amaranto, giocatore più anziano ad esordire in A con la stessa".
Con i tifosi non solo amore, anche contestazioni.
"Venivano anche sotto casa mia".
Non particolarmente piacevole.
"Ti racconto un aneddoto: una sera vennero e volevano parlare con me. Mia moglie gli disse: Maurizio non scende, se volete, salite voi. Un'altra volta invece, l'anno dopo che siamo retrocessi dalla A (2001/02, ndr), dopo aver perso alla prima giornata contro il Genoa per 7-1, tornammo a Reggio e trovammo le macchine sfasciate. Non solo: il martedì vennero fuori lo spogliatoio e ci beccammo una bella ramanzina. Era normale che venissero da me o da Giacchetta. Anche lo stesso Foti chiamava me o Giacchetta per tenere le cose a posto e quando c'era da prendersi gli insulti dei tifosi, i primi eravamo io e i vecchi dello spogliatoio".
Un quadro non edificante.
"Lo so, ma io comprendevo e comprendo ancora oggi i tifosi. Capisco i sacrifici che fanno: il loro è amore. Se qualcuno nello spogliatoio non capiva certe cose, si trovava sempre il modo di svegliarlo in qualche modo".
Tra i tanti momenti negativi quale ricordi con maggiore sofferenza?
"La retrocessione in B, fu un colpo enorme".
Quando siete arrivati per la prima volta in A (2000/01, ndr), in una tua intervista hai detto: "Ringrazio la Reggina per l'occasione che mi sta dando, facendomi coronare un sogno che tanti miei colleghi non potranno mai realizzare. Ho dato tanto e altrettanto ho ricevuto. Dalla C2 alla A, siamo qui tutto insieme".
"E' vero! Sono state gioie e dolori".
Spostiamo il tiro, anche se non ci discostiamo di molto, parlando della stretta attualità. Antonio Conte, Ct della Nazionale dopo l'amichevole contro l'Albania ha utilizzato parole pesanti: "Manca il gusto del sacrificio, non c'è più voglia di soffrire. Un sogno si corona se c'è voglia di arrivare e in Italia si sta perdendo questo sapore". Un diretto al sistema calcio italiano in pieno volto.
"Sono d'accordo con Antonio Conte e penso che abbia centrato il cuore del problema. Parlo del mio caso: io non giocavo mai all'inizio della stagione e non mi lamentavo mai. Anzi, mi allenavo anche il lunedì quando la domenica non giocavo. Però avevo un pregio: quando c'era da dare il mio contributo, c'ero. Ed in quei frangenti che devi dare e dimostrare di poter dare anche di più del minutaggio che ti viene concesso. Io dimostravo, sputando l'anima e non uscivo più. Le mie trenta partite a stagione me le facevo. E nessuno mi regalava niente. A Reggio ero Maurizio Poli, ma questo non mi faceva sentire uno che poteva fare quello che voleva, anzi, mi impegnavo anche di più proprio in virtù del fatto che sentivo il peso della responsabilità".
Riesci a vedere un nuovo Maurizio Poli?
"Il calcio è cambiato. Ma in peggio. A livello internazionale siamo indietro".
Cosa manca ai giovani di oggi secondo te?
"Guadagnano subito troppi soldi".
Pensi che sia un'aggravante il fatto che guadagnino molto?
"La mia aspirazione era quella di arrivare in A. Ci sono arrivato tardi, ma l'obiettivo l'ho raggiunto. Oggi è diverso: è più facile arrivare in A per un giovane".
Non credi che per un giovane, oggi arrivare in A sia anche più facile per l'abbassamento generale del nostro calcio?
"Sì, può darsi".
Non pensi che un allenatore debba allenare anche i valori che si stanno perdendo?
"Sì, sono d'accordo. Credo che quando ad un ragazzo dai a diciannove anni, cifre da capogiro, è naturale che si perdano gli stimoli. Allora arriva l'I-phone, la macchina nuova, le belle ragazze. Ai tempi nostri - anche se non parliamo di cinquant'anni fa - certe cose non c'erano: noi ruspavamo il campo".
Troppe comodità. Tu parli di campo da ruspare.
"Una volta si giocava anche sulla terra, oggi se il campo non è in sintetico non si gioca".
Il "Comunale" di Reggio, prima che divenisse il "Granillo" era un campo quasi ai limiti della praticabilità in certe zone.
"Sì, è vero, ma giocavamo. Il "Granillo" l'ho visto crescere e quando sono andato via era pronto".
Attualmente ti occupi di giovani per la Reggina. Scovi i talenti e li porti a Reggio Calabria.
"Mi piace molto. Anche se devo dire che non mi hanno trattato bene. Dopo dieci anni che sono a Reggio non puoi mandarmi Franco Colomba. Non ci salutavamo nemmeno: io facevo il giocatore e lui l'allenatore. Era una questione umana, non ci prendevamo per niente".
Cosa ne pensi dei giocatori che pagano per giocare?
"Ho visto due partite della Lazio e ci sono genitori che pagano per far giocare i figli. La trovo una cosa inconcepibile".
Un domani ti potremo vedere su una panchina?
"Ci ho provato, ma non mi piace. I giocatori sono bastardi e se si mettono d'accordo quattro cinque, ti fanno fuori".
Ti è capitata qualche volta occasione simile?
"No, per fortuna no. Quando veniva licenziato un allenatore era una sconfitta per noi. Secondo me non è mai colpa dell'allenatore, però allo stesso tempo capisco la società che trova più facile licenziarne uno che venti".
Foti non ti ha mai chiesto di fare l'allenatore?
"No, sa che non mi piace. Alla presentazione lo scorso anno mi sono proposto come osservatore e lui mi ha detto: tu inizia, quelli più bravi li mandi qui e li facciamo crescere".
Foti è troppo innamorato della Reggina?
"E' un difetto nel calcio di oggi".
Pensi che la Reggina ce la possa fare a salvarsi?
"Me lo auguro. Se riesce a salvarsi, il prossimo anno sarà una delle protagoniste per la promozione. E' sempre stato così".
Hai detto: "Preferisco far giocare un giovane della primavera piuttosto che uno straniero".
"Si, ce ne sono troppi. Quando giocavo io, ce n'erano tre e dovevano essere bravi. Oggi siamo invasi e la Nazionale ne risente".
Per concludere torniamo a parlare della Reggina. Nell'anno della prima storica promozione in A a sei giornate dalla fine il presidente Lillo Foti decide di esonerare Elio Gustinetti e prendere Bruno Bolchi. Prima di fare questa mossa ha chiesto il vostro parere?
"Assolutamente no. A Verona contro il Chievo io non c'ero, ero squalificato e alla fine abbiamo perso per 3-0. Il lunedì mi chiama Pedullà che non si sa per quale motivo ce l'aveva con noi e mi dice: avete perso 3-0, non ti sembra il caso di mandar via Gustinetti? E io dissi che non ero d'accordo. In quelle ore però la dirigenza stava già sostituendo Gustinetti con Bolchi".
Con il nuovo allenatore la svolta arriva contro il Pescara. Sullo 0-0 tu commetti fallo da rigore su Luiso.
"Si, ricordo. L'arbitro era Tombolini di Ancona. Ancora oggi mi chiedo come si possa mandare un arbitro di Ancona a dirigere una partita tra due squadre che si stavano giocando la stagione".
Gelsi dal dischetto lo calcia alto e rimane impresso nella mente dei tifosi reggini il tuo urlo qualche istante dopo che la palla andava fuori.
"Si, era l'urlo del guerriero, di chi capiva che potevamo farcela. Alla fine abbiamo vinto 2-0 con l'autorete di Cannarsa e gol di Possanzini".
Tra i tanti allenatori che hai avuto a Reggio, quello con cui non hai mai legato era Franco Colomba.
"Lascia perdere, non me lo nominare. Parlami di tutti: Guerini, Graziani - un vero spettacolo, in particolar modo dal punto di vista umano -, Ferrari, Gustinetti, Bolchi".
Franco Colomba ti ha fatto esordire nel posticipo della prima giornata di A al "Delle Alpi" contro la Juventus, 29 agosto 1999.
"A mezz'ora dalla fine, a 35 anni, sette mesi e ventinove giorni. E chi se lo scorda. Secondo me però non l'ha deciso io, gliel'hanno detto. Non mi avrebbe mai fatto giocare, ne sono certo".
Adesso invece le cose stanno precipitando: dopo vent'anni di gloria, arriva il declino.
"Bisogna prima toccare il fondo e poi avere la forza di rialzarsi. Non lo vedo come un male. Il primo anno che siamo tornati in C1, ci siamo salvati all'ultima giornata contro l'Ischia".
Hai anche giocato con Andrea Pirlo nell'anno della serie A.
"C'era anche Baronio. Ricordo che la stampa pompava di più quest'ultimo e alla fine Pirlo è diventato un fenomeno e Baronio è sparito".
Hai giocato fino a due anni fa in Seconda Categoria laziale e hai appeso gli scarpini al chiodo. Si diventa prima o poi ex giocatori?
"No, non credo. Quell'adrenalina ce l'hai nel sangue e non andrà mai via. Ancora oggi mi diverto a fare partite di calcetto e sono felice quando mi chiamano per disputare qualche torneo. Finchè ce la faccio, la gamba non la tiro indietro. Non ti sembrerà vero, ma faccio ancora tutte le cose che facevo da giocatore: mangio alle dieci e mezzo, mi tratto bene. Continuo a fare una vita regolare".
Gli scarpini al chiodo sono ancora lì?
"No, sono nella borsa. A tredici, a sei e quelli da calcetto".
Dovesse servire qualche cross te la sentiresti di rimettere la maglia della Reggina per darle una mano?
"Me l'hanno già chiesto. Penso che il "Granillo" che oggi è vuoto, si riempirebbe d'incanto".
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