TuttoLegaPro.com ... in rosa: Elisa Tassinari (segretaria Bellaria)

TuttoLegaPro.com ... in rosa: Elisa Tassinari (segretaria Bellaria)
Elisa Tassinari
© foto di TLP
domenica 27 aprile 2014, 08:00Interviste TC
di Redazione TLP

Una passione che non conosce sosta, nel vero senso della parola. Contattiamo Elisa Tassinari, Segretario Generale tuttofare del Bellaria, il 25 aprile, giorno di festa. Per molti, non per la protagonista odierna di TuttoLegaPro.com...in rosa: "Non ci fermiamo mai: anche nel giorno della Liberazione tutte le squadre si sono allenate e per me è stata una giornata di lavoro normale. Tutti domenica scenderanno in campo e vogliono presentarsi al meglio: nonostante la retrocessione non si è mai abbassata la guardia. Questo è il nostro piccolo vanto: sapevamo che il campionato sarebbe stato difficile, però abbiamo intenzione di fare le cose per bene fino in fondo, nonostante la retrocessione".

Il tuo ruolo spazia da quello di segretario generale a quello di addetta stampa, senza dimenticare che stai frequentando anche il corso per direttore sportivo...

"Il Bellaria - come altre piccole realtà di Lega Pro - non ha alle spalle una grande struttura e quindi in società c'è necessità che ciascuna persona ricopra più di un ruolo, altrimenti l'intera gestione diventa difficile. Ed è anche questo un motivo che può portare a non ottenere brillanti risultati sportivi e a retrocedere: è dura trovare la forza per competere in campionati che stanno diventando sempre più importanti. Abbiamo sempre fatto benissimo in questo decennio ma con il taglio della 2^ Divisione la nostra missione è diventata impossibile. Ho una ragazza che mi dà una mano, ma la realtà è che in sede ci sono io tutti i giorni e anche tutti i piccoli contatti con la stampa - principalmente locale - li gestisco io".

Come sei arrivata a ricoprire questi ruoli?

"Il Bellaria ha trascorso undici anni in Lega Pro, ma io ho cominciato a collaborare nel mondo del calcio a Faenza, la mia città, promossa tra i professionisti nella stagione 1999/2000. Diedi una mano per quattro anni, di cui uno giocando nello stesso girone del Bellaria.
In questo modo ho allargato il mio giro di conoscenze e nel momento in cui il mio attuale team venne ripescato nell'ex Serie C2 grazie alla vittoria dei play-off di Serie D (stagione 2002/03, ndr), l'allora direttore sportivo Oberdan Melini - attualmente al Santarcangelo - mi chiese di lavorare con loro. Io quindi decisi di trasferirmi: a Faenza lavoravo nel mondo del calcio, ma con un altro tipo di approccio. Era quasi un passatempo, mentre quando Melini mi fece la proposta di lavorare nel Bellaria mi buttai trasferendomi appunto e cominciando a lavorare da sola seriamente come Segretario.
A Bellaria ho creato buoni rapporti sia con la precedente proprietà sia con l'attuale presidente. Sono ormai passati più di dieci anni, ma all'inizio mi sono scontrata con il problema di essere una donna all'interno di un mondo maschile. Però a Bellaria mi sono trovata bene: le cose sono sempre state fatte in maniera seria e professionale: non per niente siamo riusciti a disputare undici campionati tra i professionisti".

Hai brevemente accennato al fatto che una donna che lavora in questo tipo di ambiente si scontra inevitabilmente con diffidenza e pregiudizi: puoi approfondire questo aspetto?

"Io non li ritengo veri problemi. Quando ho iniziato a lavorare col Bellaria oramai avevo 28 anni e l'impatto con questo mondo lo avevo già superato grazie all'esperienza precedente col Faenza, quando invece di anni ne avevo 23/24. Allora sì che la situazione era diversa: le donne erano pochissime nel mondo del calcio e dall'altra parte era inevitabile trovare della diffidenza. Ci vuole più tempo rispetto ad un uomo per dimostrare che sei in grado di ricoprire quel ruolo.
Ricordo che a Faenza un direttore generale mi disse che stavo lì solo perché volevo correre dietro ai calciatori. Io davo una mano alla segreteria a tempo perso e gratis, cercando di imparare dal direttore sportivo: mi occupavo primariamente di biglietteria e non vedevo neppure le partite. Il mio lavoro primario allora era quello di barista e tutto il mio tempo libero lo passavo nella sede del Faenza ad imparare a fare i tesseramenti. Quando mi venne detta quella frase, guardai quella persona spiegandogli che se quello fosse stato il mio obiettivo avrei fatto come tutte le altre ragazze che si facevano trovare fuori dai cancelli la domenica alla fine della partita (ride, ndr).
Inoltre ricordo che quando andai col Bellaria al calciomercato - parliamo dell'estate 2003 - nella montagna di persone presenti, la quantità di donne era decisamente esigua: il mio direttore sportivo mi presentava come il suo segretario generale e i presenti mi guardavano straniti (ride, ndr). Ma a quel punto è diventata una sfida personale, molto divertente. Ripeto, comunque, che non ho mai vissuto queste situazioni come un problema"
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La tua famiglia come ha preso questo tuo cambio di lavoro: da barista a segretario di una squadra di calcio?

"Ho un flash importantissimo legato a mio padre, oramai scomparso. Nonostante siano passati tanti anni me lo ricordo come fosse allora: la spinta finale che mi ha convinta a 28 anni a prendere la valigia ed andare a vivere a Bellaria è stata data proprio dal mio babbo. Bellaria non è molto lontano da Faenza, ma io mi trasferii con la consapevolezza che mi sarei ritrovata da sola e poco convinta di essere pronta a questo passo: il primo anno avevo il terrore di sbagliare qualsiasi cosa, avendo la piena responsabilità della segreteria e non avendola mai gestita da sola. Ma il fatto che mio padre andasse al bar con gli amici vantandosi del fatto che io lavorassi per il Faenza era uno stimolo importante. 
Io mi sono avvicinata al Faenza proprio perché con papà feci l'abbonamento proprio nell'anno in cui vincemmo il campionato di Serie D: per me quindi divenne un motivo di doppio vanto. Io ero una tifosa appassionata, tanto che ho ancora le foto di quella stagione.
Il campionato successivo mi presentai quindi in sede chiedendo se c'era bisogno di una mano. Per me la promozione in Serie C del Faenza valeva come fosse la Serie A. Ero giovane e degli aspetti tecnici del calcio non sapevo praticamente nulla, ma vivevo con passione il fatto che la mia città potesse giocare tra i professionisti".

Molti giocatori importanti sono passati da Bellaria: prima erano tutti più grandi di te, ora invece il gap generazionale si è rovesciato. Che tipo di rapporto hai costruito con loro e soprattutto è cambiato qualcosa nel corso del tempo?

"E' chiaro che i primi anni la differenza di età tra me e i calciatori era talmente poca che c'era un rapporto di confidenza tra di noi. Ero vista un po' come la sorella di tanti di loro. Adesso li vedo bambini, ma il problema non è realmente legato all'età: è tutto cambiato perché innanzitutto è cambiato il mondo del calcio. Inoltre col tempo si capisce che non è necessario avere un rapporto così stretto con loro: i ragazzi a fine campionato vanno via e i primi anni io piangevo per il dispiacere. Poi capisci che questo mondo funziona così e che è giusto che i ragazzi se ne vadano quando arriva il loro momento. Ma soprattutto capisci che dopo una settimana che se ne sono andati già non si ricordano più".

Tra i tanti passati a Bellaria c'è un certo Emanuele Giaccherini...

"Per lui piango ancora ogni volta che gli succede qualcosa di bello (ride, ndr). Giaccherini è stato a Bellaria in un campionato bellissimo (la prima stagione fu nel 2005/06, la seconda - l'anno seguente - fu costellata da un infortunio serio, ndr): quell'anno ci salvammo senza play-out, lui era molto giovane ed era alla sua prima esperienza importante tra i professionisti. All'inizio ha faticato perché faceva poco gol: la palla gli sfilava sempre a fil di palo, usciva sempre al massimo di cinque centimetri.
​Ai tempi avevamo un allenatore importante come Franco Varrella: in separata sede a me diceva sempre che Giaccherini era bravo ma il problema era che la domenica non segnava. Da lì è cresciuto e poi esploso, ma quell'anno a livello psicologico visse un campionato difficile. Ma lui è un ragazzo splendido e non era possibile non affezionarcisi. A parte il bel rapporto comunque il giorno che ci siamo salvati, durante i festeggiamenti nel momento in cui l'arbitro aveva fischiato la fine della gara, io ero a bordo campo e quando venne ad abbracciarmi gli dissi: "Vedrai che diventerai un calciatore". 

Era uno sfogo per un campionato in cui secondo me lui aveva faticato troppo. Non lo sento più, ma quando lo vedo e leggo di lui sono sempre felice: per me si merita tutto quello che ha avuto: dalla Juventus alla Nazionale all'esperienza all'estero. E comunque parlo della persona che è fuori dal campo e non del calciatore: non sono un allenatore e non sta a me parlare del punto di vista tecnico".

Però frequenti il corso per Direttori Sportivi, quindi qualche conoscenza nel corso del tempo l'hai assorbita...

"(ride, ndr). Quello che sto frequentando io è ad indirizzo amministrativo: sono state quindi selezionate persone che ricopriranno il ruolo appunto di segretari. Siamo tutti ragazzi già operativi nelle società da questo punto di vista. E' un corso particolare che sottolinea comunque la divisione tra le due figure. Io ci ho messo tanti anni per poterci entrare, dato che si ha accesso grazie al punteggio calcistico".

Da un paio d'anni la Lega Pro si è dimostrata molto attenta al ruolo della donna nel calcio. Voi, però, sembra l'abbiate anticipata...

"La nostra è una società molto attenta alla componente femminile. Ad esempio in questa stagione abbiamo concesso alla squadra femminile del Bellaria, che milita in Serie B, di giocare nel nostro stadio: ormai fanno parte della nostra famiglia. Non a caso Veronica Misotti, che mi dà una mano in ufficio stampa, ricopre da tempo lo stesso ruolo nel team femminile. 
Da moltissimi anni, comunque, il Bellaria è rosa: la magazziniera, Mirella Zamarchi, è ormai una veterana del gruppo. Quando gli altri team arrivano allo stadio, le prime persone che vedono sono noi due. Qualcuno ancora si stupisce, ma per noi è la normalità.
Ammiro molto il lavoro della Lega Pro. Gaia e Nadia hanno messo su un'ottima squadra di addette stampa fortemente impegnata nel sociale. Io purtroppo sono quasi sempre impegnata e non riesco a partecipare di presenza alle loro iniziative: non siamo però assenti, dal momento che sul nuovo progetto delle adozioni a distanza ci saremo pure noi. Non perché creati da donne, attenzione, ma perché si tratta di bellissime iniziative". 

A livello personale quanto pesa il dover lavorare continuamente e, soprattutto, nel week-end?

"Da questo punto di vista sono abbastanza fortunata. Abito da sola, non ho legami e, quindi, sbrigo le mie faccende private abbastanza presto. Mi piace tanto il lavoro e quindi non lo vedo mai come un problema.
Io adoro la Lega Pro, da grande vorrei continuare a lavorare in questo splendido campionato. Sembrerò ruffiana ma è la verità. Non mi interessano la Serie A e la B, giuro. Dispiace per il Bellaria ma vorrei rimanere tra i professionisti". 

Quanto pesa questa retrocessione?

"Da morire, ma un filo meno delle altre. L'avevamo messa in conto, sia perché un campionato così difficile con nove squadre da condannare non ti dava molte speranze, sia perché sono più matura rispetto a un tempo. Le mie precedenti retrocessioni coincidono con i giorni più brutti della mia vita: a  Faenza fu più da tifosa, la prima col Bellaria, quando poi fummo ripescati, più da lavoratrice. Diciamo che col tempo ti passa, ti dispiace sempre da morire ma capisci che fa parte del gioco. La politica dei giovani, che il Bellaria ha sempre portato avanti, ti regala sia gioie quando vedi ragazzi spiccare il volo, sia sofferenze quando perdi partite per ingenuità ed inesperienza. Pecato anche per la dirigenza: ho un ottimo rapporto con il presidente Nicolini e il direttore sportivo Califano. In più sono molto contenta che l'ex direttore generale Ulizio sia approdato a un top team come il Monza".

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