ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente : Luigi Garzya

Ritrovarsi ad appena sedici anni catapultati nel grande palcoscenico della serie A è un evento che non capita tutti i giorni. Eppure a distanza di quasi trent'anni, Luigi Garzya ricorda quei momenti contro l'Udinese al "Friuli" come se la partita si fosse giocata ieri. Ne descrive il campo, le tribune e l'eccitazione del momento, come se ogni giorno ritornasse su quel terreno di gioco.
Nell'epoca in cui i giovani devono giocare, più per grazia ricevuta che altro, uno come Garzya sarebbe un pesce fuor d'acqua. Esordire con la maglia della propria squadra del cuore, quel Lecce a cui ancora oggi il pensiero corre veloce, ha sempre un sapore particolare.
Nella sua carriera ha girato l'Italia dimostrando una particolarità che l'ha sempre contraddistinto: la lealtà. L'avversario sul campo non era mai un nemico, ma uno a cui doveva impedire di segnare.
Difensore centrale si chiamerebbe oggi, stopper un tempo, di "bestie" dell'area di rigore ne ha marcate tante e tra queste ne ricordiamo solo alcuni: George Weah (Milan), Jurgen Klinsmann (Inter), Marco Simone (Milan) e il più forte di tutti i tempi, cioè El pide de oro: Diego Armando Maradona.
Garzya può vantarsi di non aver mai fatto segnare Maradona. Che poi la sua squadra perdesse era un dato più per gli amanti delle statistiche, ma rimane che con lui il più forte di sempre non ha mai avuto vita facile.
Sarà proprio Luigi Garzya il protagonista di questo nuovo appuntamento con "Mi ritorni in mente", lo spazio che TuttoLegaPro.com dedica ogni due settimane a quei giocatori, allenatori o dirigenti che nel passato hanno fatto la storia dei club che adesso militano in Lega Pro.
Attuale allenatore della Primavera del Trapani, dopo alcune esperienze in qualità di secondo come Moriero (a Crotone e Frosinone), ha deciso di fare il grande salto e noi ne abbiamo approfittato per farci una lunga chiacchierata e alla fine ne è venuta fuori questa intervista esclusiva, dove ci ha raccontato gli anni vissuti sui campo di calcio. Un racconto lineare, pulito, senza fronzoli in una carriera vissuta tra Lecce, Reggina, Roma, Torino, Grosseto, Taranto e l'odiato (dai leccesi) Bari.
Luigi tu esordisci a 16 anni con la maglia del Lecce. Non è da tutti, specie in Italia, entrare nel calcio che conta così giovane.
"Difatti è verissimo. Sono davvero pochi quelli che si possono pregiare di questo record, se così vogliamo chiamarlo".
Cosa ricordi di quel giorno?
"Al "Friuli", contro l'Udinese. Eravamo in A e con me c'erano giocatori come Barbas, Pasculli e Causio. Il barone Franco Causio. Ricordi? Stadio enorme e ti ritrovi catapultato in una realtà più grande di te senza neanche avere il tempo di poter capire dove sei".
In panchina c'era Fascetti.
"Esatto".
Non ti aveva detto nulla il sabato sera che avresti giocato?
"Assolutamente nulla. Il mister sotto questo aspetto era bravo a tenere tutti sulla corda".
Un allenatore duro Fascetti.
"Magari dall'esterno dava questa impressione, ma in fondo era uno timido e mascherava questo aspetto, reagendo in quel modo. Però come allenatore era un grande ed è rinomato per uno che ha sempre lavorato bene con i giovani, facendone esordire tanti nel calcio che conta: vedi Cassano contro l'Inter".
Nella tua carriera hai avuto sempre a che fare con attaccanti che ti toglievano il sonno.
"Senza voler mancare di rispetto a nessuno, ma quando giocavo io c'erano davvero attaccanti con i fiocchi e ogni domenica dovevi sudarti le tue sette camicie per tenerli a bada".
Alcuni attaccanti che hai marcato?
"Veramente forti ce n'erano davvero tanti: penso a Marco Simone, che aveva quel guizzo felino e dovevi sempre tenerlo d'occhio perché quando meno te lo aspettavi ti faceva gol".
Era più facile marcare un giocatore di nome o uno che aveva meno fama?
"Paradossalmente quello che mi preoccupava di più era quello considerato "normale", perché psicologicamente lo affrontavi con meno tensione e alla fine ne pagavi le conseguenze".
Mentre con il più forte.
"Sapevi che se facevi bene potevi uscire dal campo a petto in fuori".
Con Maradona come hai fatto?
"Guarda che con Diego mi è andata sempre bene perché a me non ha mai fatto gol. E non so quanti giocatori possono permettersi questo lusso. A parte questo, credo che il segreto per marcare Maradona fosse il fatto che riuscivo ad isolarmi del tutto dal contesto e pensavo esclusivamente a lui".
Spiegati meglio.
"Facile: Diego aveva la capacità di riuscire con una sola giocata, che per gli altri era impossibile ma per lui facile, a farti gol e gettare alle ortiche tutta la fatica dei novanta minuti dietro di lui".
Ma veramente quando si marcava a uomo, all'attaccante di giornata gli si dava il "benvenuto" con un colpo ben assestato per fargli capire che non era aria per lui quella domenica?
"Certo, ma io non l'ho mai fatto. Ma comunque rimane una cosa abbastanza normale. A nessun difensore piace prendere gol. Per fortuna io ho sempre fatto della lealtà sul campo il mio modo di giocare a calcio".
Che ricordo hai dello spogliatoio da giovanissimo?
"Entravo in un ambiente nuovo, per me che venivo dal settore giovanile. La mia forza è stata la capacità di rubare a tutti qualche segreto e alla fine ti fai voler bene e loro ti fanno da chioccia".
Chissà quante volte gli spogliatoi diventano polveriere.
"Spesso si tende a mitizzare questo ambiente, ma credo che quello che succede lì, in fondo avviene in tutti gli altri posti di lavoro. Credimi: non è facile mettere insieme venti, venticinque teste che la pensano in maniera diversa. Così magari lo schiaffo vola, ma è normale".
Tu adesso stai entrando nel mondo degli allenatori, quindi guardi il calcio da una prospettiva diversa. Quali sono le differenze di approccio che hanno i giovani di oggi rispetto a quelli come te, nell'arrivo nello spogliatoio?
"I giovani di oggi mancano di cultura del sacrificio e non hanno più voglia di fare niente. Per loro tutto è dovuto. Quando entravi nello spogliatoio eri l'ultimo arrivato e sapevi che dovevi rispettare tutti, perché da tutti potevi imparare tanto. Mentre adesso sembrano i padroni e non si rendono conto che si fanno solo del male. Senza il rispetto non si va molto lontano. Purtroppo questa è una generazione difficile e io me ne accorgo anche vedendo mio figlio. Tu pensa: da piccolo - ti faccio questo esempio - quando a scuola arrivava il maestro tutti ci alzavamo in piedi, mentre oggi gli danno del tu e magari gli alzano anche le mani".
Parlando del tuo ruolo: dove noti la differenza maggiori tra quando giocavi e oggi?
"A me quello che maggiormente preoccupa, quando vedo le partite di oggi, è la capacità dei difensori di prendere gol da polli. Ormai tutti sanno giocare a zona, conoscono i movimenti della zona, ma non sanno fare altro. Gli mancano le basi per poter competere ad un certo livello e infatti la qualità è scesa tantissimo".
Oggi un difensore come te come si troverebbe?
"Credo che non solo un difensore, ma anche un attaccante oggi giocherebbe con la sigaretta in bocca".
Da cosa dipende questo peggioramento secondo te?
"Purtroppo non si insegna più calcio. Ormai si fa soltanto un lavoro sulla tattica e all'estero ormai siamo diventati un campionato che non ha più il fascino di un tempo".
Parlando dei giovani: non credi che il fatto di trovarsi a firmare contratti milionari li renda anche più fragili e vittime di sé stessi?
"Capisco il senso della tua domanda e mi trovo d'accordo. Che ti devo dire: sarò stato sfortunato, ma prima che si arrivava a vedere qualche soldo buono, dovevi realmente farti la gavetta, ma quella dura. Normale che poi un ragazzo di vent'anni si trova a perdere il senso della realtà e lo vedi con la macchinona che se ne va in giro. Io per tanto tempo ho guidato la "Uno" e la "Panda". Non mi vergogno a dirlo, ma proprio per dimostrare che nessuno mi ha regalato niente".
Nella tua carriera hai anche giocato nella Roma. Quanto è difficile giocare in una città che vive di calcio ventiquattro ore al giorno?
"Credo che un po' devi immaginarlo quando firmi per una società simile, altrimenti puoi andare a giocare in C. Comunque è vero: a Roma si parla di calcio tutto il giorno. Magari di notte ti svegli, accendi la radio e stanno parlando di Roma e Lazio".
Tra le varie squadre in cui hai giocato, c'è stato anche il Bari. Tutti conosciamo la rivalità che c'è tra i biancorossi e i salentini. Te l'hanno perdonato questo "tradimento" i tifosi del Lecce?
"Ancora no! Anche con Antonio Conte ancora oggi c'è questo atteggiamento".
A proposito di Conte: quale è il difetto più simpatico del tecnico della Juventus?
"Sicuramente la sua sincerità. Magari il suo atteggiamento ai più non piace, ma la sua forza sta proprio nel suo modo di porsi. Se non fosse così, con questa Juventus non avrebbe mai vinto".
Un allenatore di cui porti un gran ricordo?
"Mister Mazzone era un grande e ti assicuro che quando perdeva le staffe ti incuteva timore, ma quello vero. Però sull'aspetto professionale non gli potevi dire niente perché sapeva adeguarsi ai tempi. La sua grande forza è stata sempre quella di non adagiarsi mai e di seguire i tempi in base a come cambiavano per non farsi trovare mai impreparato. Non è da pochi te lo assicuro".
Mentre l'attaccante che ricordi con più fastidio dal punto di vista sportivo?
"Salvatore Schillaci: con lui lotte all'ultimo sangue e porto di lui un ricordo indelebile, visto che per due volte mi ha spaccato il naso".
Nonostante il tuo passaggio al Bari, comunque del Lecce che ricordo hai?
"Ho un'immagine indelebile: la mia gioventù. Ho fatto tutta la trafila dalle giovanili alla prima squadra e insieme a me hanno esordito in maglia giallorossa Petrachi, lo stesso Conte, Morello. Orgoglioso di essere leccese".
Intanto nel Lecce che punta al ritorno in B c'è Miccoli.
"Fabrizio se sta bene fa ancora la differenza in A, figurati se non la fa in Lega Pro. Però attenzione: non basta un Miccoli per vincere. C'è bisogno di un gruppo forte e coeso per arrivare fino in fondo".
Nello scorso campionato i giallorossi si sono suicidati da soli a discapito del Trapani.
"Penso che l'errore sia stato l'esonero di Franco Lerda. Il tecnico conosceva la situazione dello spogliatoio e riusciva a mascherarlo con le vittorie. Poi il castello è crollato".
Hai un sogno nel cassetto?
"Come da calciatore, sto facendo la gavetta. Sono stato qualche anno fermo e ora mi ritengo un privilegiato perché sto lavorando. Voglio dimostrare di poter fare l'allenatore: se poi un domani sarà serie A, B o Lega Pro non importa. Sono abituato al pane duro e conosco le difficoltà".
Prossimo appuntamento con "Mi ritorni in mente": domenica 15 settembre.
Testata giornalistica Aut.Trib. Arezzo n. 7/2017 del 29/11/2017
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