TuttoLegaPro.com ... in rosa: Silvia Spinelli (Arbitro)

C'è chi sogna di fare l'astronauta, chi il calciatore e chi...l'arbitro. Una decisione che può sembrare strana ai più ma che diventa speciale nel caso di Silvia Spinelli, unica presenza femminile tra i direttori di gara di Lega Pro. Barese, ma appartenente alla sezione di Terni, fischia (quasi) ogni domenica in Terza Serie da oltre due anni. Una presenza di spicco la sua: Internazionale, ha diretto incontri di Mondiali, Europei e Champions League femminili. TuttoLegaPro.com ringrazia l'AIA per aver concesso questa intervista esclusiva nella rubrica dedicata alle presenze femminili in 1^ e 2^ Divisione.
Com'è nata in lei l'idea di diventare arbitro?
"Ero una grande appassionata di calcio: seguivo la squadra della mia città, il Bari, andando sia agli allenamenti sia alle partite. Avrei voluto giocare a pallone, solo che all'epoca - inizio anni '90, avevo 14/15 anni - il calcio femminile non aveva preso ancora piede come adesso, c'erano molti più pregiudizi. Dove abitavo io non c'erano né squadre né la possibilità di allenarsi insieme ai ragazzi. Inoltre i miei non erano particolarmente d'accordo: mio padre non riteneva il calcio uno sport adatto alla propria figlia. Per cui mi restava solo di guardare le partite. O di arbitrarle. Era il 1991, iniziavano ad aprirsi spiragli per le donne nel mondo dell'arbitraggio: sono stata la prima a Bari. Avevo trovato il modo per vivere in prima persona il calcio, da lì non mi sono più fermata. Fino ad arrivare in 1^ Divisione. Penso spesso all'emozione fortissima dell'esordio tra i Pro: si giocava Lucchese-Lanciano. Era maggio, la giornata molto calda: dopo alcuni fischi iniziai a sentire, per la tensione e il nervoso, forti dolori muscolari. Ero distrutta, pensavo di essere vicina alla fine del primo tempo e invece, guardando l'orologio, scoprii che eravamo ancora al quarto minuto! Poi però tornai in me e la partita andò liscia: fischiai anche un calcio di rigore, ritornando padrona del mio ruolo".
Dal calcio giocato a quello arbitrato. Alla fine la sua famiglia si è trovata d'accordo?
"Papà è stato sempre un mio sostenitore: da quando non mi ha permesso di praticare il calcio, sentendosi in colpa mi ha iscritto al corso per arbitri. Lui segue tutte le mie partite e vuole sapere come mi sono comportata. Mia madre, invece, all'inizio sperava che questa infatuazione per l'arbitraggio passasse, come l'influenza. Ricordo ancora quando, ogni settimana, rientrando la domenica sera con i vestiti sporchi di fango, mi guardava ed esclamava: "Figlia mia, ti stai rovinando la vita, con tutto il freddo che prendi". E anche adesso, quando mi capita di avere anche solo un piccolo raffreddore, lei dà subito la colpa al mio essere arbitro. Però è tanto orgogliosa anche lei. La mia famiglia mi ha aiutato molto: fare l'arbitro a questi livelli si può vivere come un hobby, ma in effetti è molto impegnativo e prende tanto tempo. Ma è una passione e ai sacrifici non ci si pensa"
A questo punto non potrà andare in Can B visto che tifa Bari...
"(ride, ndr). Ho iniziato seguendo la squadra della mia città, ma quando si diventa arbitri non ti interessa più il tifo. Ricordo con piacere quelle domeniche passate ma ormai non penso più al Bari. Impari a guardare le partite da un altro punto di vista: quello tecnico, legato alle decisioni del direttore di gara. Allo stadio da spettatrice, ormai, patisco questa deformazione: analizzo solo il collega e i suoi assistenti. Guardo le diagonale, se si trova nella giusta posizione, i segni convenzionali e codificati. La partita diventa bella sotto altri punti di vista, ma non più con l'occhio del tifoso. Quello si perde, ma si guadagna in altro, anzi si impara sempre.
Inoltre sono contentissima di arbitrare in Lega Pro, era il mio sogno ed è un onore esserci. Per il resto bisogna fare i conti con i propri limiti: ci ho messo più tempo rispetto ai colleghi uomini ad arrivare lì dove sono adesso, arbitrando molti più anni in categorie inferiori. Il calcio è sempre più veloce rispetto a quando ho iniziato e purtroppo a malincuore vedo molto difficile la possibilità che io salga di categoria. Se fossi stata più giovane sicuramente avrei cercato di dire la mia. Ma ripeto, il mio grande traguardo l'ho già raggiunto: arbitrare in Lega Pro significa essere tra i migliori 140 arbitri d'Italia".
Quando ha iniziato lei l'arbitraggio femminile era poco, o per nulla, diffuso. Ha vissuto sulla sua pelle tanti pregiudizi?
"All'inizio si. Ricordo ancora un giocatore: mi disse che non capivo niente e che dovevo andare a fare l'uncinetto. Si beccò il cartellino rosso. La cosa divertente è che avevo imparato a lavorare all'uncinetto da piccolina, dal momento che avevo studiato dalle suore. Quel suo tipo di disprezzo era frutto di un pregiudizio diffuso. In Seconda Categoria, ad esempio, arrivavo col borsone e gli addetti al campo non mi facevano entrare allo stadio. Quando rispondevo che ero l'arbitro, sgranavano gli occhi e si chiedevano: "Una femmina?". Quando andavo a fare l'appello dei giocatori, c'era un silenzio irreale e mi guardavano come fossi un ufo.
L'ambiente del calcio è maschile e noi donne siamo entrate in punta di piedi, senza creare molti disagi. Piano piano ci siamo fatte conoscere ed accettare. Se un arbitro è bravo, i giocatori lo riconoscono. L'errore può capitare a tutti ed è dall'errore che si impara. Adesso sono tutti più abituati e anche i ragazzini sanno che può arrivare un arbitro donna: non c'è più la sorpresa, ma la "quasi" normalità. La nostra vittoria deve essere la normalità: non si devono accorgere della nostra presenza".
Eppure il presidente del Chieti, Bellia, venne inibito per questa dichiarazione nei suoi confronti: "Vanno in giro arbitri che farebbero meglio a stare a casa, specie se donne: dovrebbero fare la calzetta". Cosa ha pensato?
"Mi fece male aver ricevuto una critica pesante al mio arbitraggio. Molto meno per la frase sopra: ero abituata. Una donna che fa un'attività prettamente maschile deve mettere in conto certe differenze di pensiero. Ma quello che può far male ad un arbitro, ribadisco, è essere giudicata in un certo modo dal punto di vista tecnico".
La CAN Pro, in questi anni, ha visto crescere la sua pattuglia di donne: oltre a lei vi sono nove assistenti.
"Tutto partì con Anna De Toni, collega della sezione di Schio, che arbitrò un paio di volte in Serie C. Poi c'è stato un boom di reclute donne che fisiologicamente si è abbassato col tempo: essere arbitri è molto impegnativo, sia per gli uomini che per le donne. Ringrazio comunque la Lega Pro per l'attenzione nei nostri confronti. Ricordo quando Ghirelli e Macalli chiesero al nostro Designatore Stefano Farina la possibilità di avere una quaterna tutta femminile per una partita amichevole tra Nazionale palestinese e una Rappresentativa di Lega Pro. Una grande apertura della Lega Pro verso l'arbitraggio in rosa: è stato un riconoscimento sul campo ed una bellissima esperienza. Inoltre, per noi è molto importante avere come designatore e formatore Stefano Farina, persona molto competente ed un vero professionista.. Erano otto anni che mi trovavo in Serie D senza essere mai riuscita a passare di categoria: lui mi ha vista arbitrare e ha scommesso su di me. Mi ha dato la giusta preparazione e credibilità. Ci sono bravi dirigenti che sanno valutare al meglio possibile, ma bisogna mettere tanto del proprio bagaglio".
Ha viaggiato molto per arbitrare: Giappone, Svezia, Cile solo per citare alcuni Paesi. La sua preparazione è come quella di Lando Buzzanca che, nel film "L'Arbitro", studiava le parolacce nelle lingue straniere per poterle riconoscere in campo?
"(sorride, ndr). Devo dire che all'estero paradossalmente ho trovato più correttezza, anche tra i tifosi. Sarà che mi occupo di calcio femminile e di per sé è un mondo più corretto. In Inghilterra e in Scozia mi è capitato di arbitrare in campi dove non ci sono neppure le reti di protezione: una volta tornando verso gli spogliatoi, alcuni tifosi in kilt mi urlarono "Good job", buon lavoro. E' stata un'esperienza strana: completamente un'altra cultura. In Italia, invece, arbitrando da tanti anni, oramai certe parole non le sento neanche più. In campo è tutto molto più ovattato e si è concentrati su ciò che si sta facendo".
Che differenze ci sono nell'arbitrare una partita di calcio femminile ed una di calcio maschile?
"Il calcio femminile è molto cresciuto negli ultimi anni e il livello tecnico è molto elevato. Le donne non perdono tempo: rimettono subito il pallone e rispettano le distanze quando devono andare in barriera. Si gioca in modo più continuo. Il calcio maschile è più impegnativo dal punto di vista della gestione della gara. Si conosce il temperamento maschile: c'è rispetto, ma bisogna tenere con più energia le redini della partita altrimenti può capitare che i “cavalli” si imbizzarriscano. Nel calcio femminile c'è più correttezza, rispetto per le decisioni arbitrali e fair play, però io dirigo le fasi finali delle competizioni internazionali, per cui ho a che fare col meglio del calcio femminile. Non so se scendendo di categoria le cose cambiano. In ogni caso la persona educata lo è a prescindere dall'essere donna o uomo. Di certo il calciatore si fa prendere da più trance agonistica. Le calciatrici sono più rispettose delle decisioni e protestano di meno".
Che tipo di rapporto ha instaurato con i colleghi?
"All'inizio, nei ritiri, c'erano sguardi particolari, di sorpresa e stupore. Poi però molti si sono ricreduti e hanno capito che l'arbitraggio non è una prerogativa maschile. Il rispetto è stato conquistato sul campo. Dal 1991 ad oggi si è creata una parità di trattamento tra colleghi: non mi fanno sentire strana e c'è molta collaborazione, molto sostegno e anche solidarietà. L'ambiente è amichevole: abbiamo fatto passi da gigante e noi donne ci sentiamo amate".
Lei nella vita di tutti i giorni è un ufficiale giudiziario: come concilia le due cose?
"Io eseguo gli sfratti e i pignoramenti, un lavoro non facile. Ma il fatto di essere un arbitro mi ha aiutata: infatti sono diventata prima direttore di gara, poi mi sono laureata (in Giurisprudenza, con lode NdR) e sono diventata ufficiale giudiziario vincendo un concorso.
Durante uno sfratto bisogna rapportarsi con un creditore ed un debitore, quindi tra due parti con interessi contrastanti che è un po' quello che succede in una partita. Sono quindi arbitro anche sul lavoro, cerco di gestire al meglio delle situazioni non felici. Qualche appassionato di calcio a volte mi ha riconosciuta, ma non porto i cartellini rossi quando lavoro (ride, ndr)".
Un consiglio che si sente di dare alle giovani che vorrebbero intraprendere questa carriera?
"Di non mollare mai. Avere sempre tanta tenacia e testardaggine perché alla fine se piace il calcio e fai qualcosa che ti appassiona non devi mai scoraggiarti neppure se ti scontri con i pregiudizi. Bisogna lavorare duro, allenarsi con diligenza, tenersi aggiornate perché il lavoro paga sempre. E' un ambiente difficile e quindi non bisogna buttarsi giù: ci sono momenti in cui pensi chi te lo fa fare, perché devi andare a prenderti solo insulti... Ma se c'è la passione poi ti senti anche soddisfatta quando prendi le decisioni giuste. E' impagabile fare le giuste valutazioni in campo. E' quello che ti fa tornare a casa col sorriso sulle labbra. Quindi mai demoralizzarsi".
Oltre alla CAN Pro, anche la Lega Pro ha avuto una forte apertura nei confronti delle donne: oltre 250 presenze femminili in tutti i settori. Se n'è accorta?
"Certo! Io sono contentissima quando trovo un'altra donna che mi accoglie, sia per quanto riguarda le funzioni societarie sia quelle afferenti allo stadio, come gli ispettori di Lega. Vedo questa apertura e mi riempie di gioia. Ci sono segnali molto forti, di sostanza e non di facciata, da parte della Lega Pro. Sento di far parte di un gruppo che sa tutelarmi".
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