ESCLUSIVA TLP - Mi ritorni in mente : Vincenzo Lanotte

ESCLUSIVA TLP -  Mi ritorni in mente : Vincenzo LanotteTMW/TuttoC.com
© foto di Luigi Putignano/TuttoLegaPro.com
domenica 29 marzo 2015, 22:30Interviste TC
di Daniele Mosconi
80° appuntamento

Quando il viaggio di "Mi ritorni in mente" tocca l'ottantesima stazione, qualche risposta alla crisi del nostro calcio inizi a trovarla. Le domande sono ancora tante, ma ora hai le idee più chiare: la mancanza di passione è uno dei motivi principali nella perdita di credibilità (non solo per il calcio giocato) del nostro sistema. Quando parliamo di passione non intendiamo solo i protagonisti in campo, i giocatori, ma soprattutto di chi dovrebbe rendere quei ragazzi dei futuri uomini leader in mezzo ad un campo. Da Mondonico a Mazzone, passando per Notaristefano e Maiellaro, sono tanti i protagonisti del passato ospiti di questo spazio e in tutti loro c'è un unico comune denominatore che li unisce: "Nel nostro calcio manca la passione, la spensieratezza". 

Vincenzo Lanotte, attaccante che ha vissuto l'epoca d'oro del Barletta a cavallo tra la fine degli anni '80 e i '90, quello della B per intenderci, ha le stesse identiche idee degli altri: "Manca la passione, senza di lei non sarai mai un calciatore". 

Un problema annoso, difficile anche da risolvere: la coperta come la tiri, sarà corta comunque. Lanotte nella sua carriera da attaccante ha portato con sé come faro la passione e da questa l'ha fatta diventare una professione.

Come tutte le cose atipiche, come la professione del calciatore, ha legato il suo nome ad emozioni contrastanti che a distanza di anni non sono dimenticate. 

Arrivato a fine carriera, Vincenzo ha ancora il desiderio di dare un contributo al suo Barletta, la squadra della sua città. La dirigenza, impegnata a tornare nei Pro (2007/08, ndr) decide che è il momento di separarsi dalla sua "bandiera" e l'attaccante non la prende bene, scrivendo una lettera in cui c'è tutto il suo rammarico: "Un attaccamento, una dedizione, la cui unica ricompensa, proprio nella mia Città, è stata non avere un minimo di riconoscenza da parte della Società….forse perché scomodo a qualcuno…o perchè professionista troppo serio".

La lettera ha fatto rumore nella città biancorossa e una parte della tifoseria ha parlato di "ingratitudine" della punta, un'altra ha ringraziato Lanotte per quello che ha fatto, da barlettano nella sua città, per i colori biancorossi. E' il destino di chi ama: c'è chi odia e chi non dimentica. Le vie di mezzo, come nelle passioni, non esistono.

L'intervista esclusiva concessa ai microfoni di TuttoLegaPro.com con Vincenzo Lanotte per "Mi ritorni in mente" toccherà anche questo tema, ma le emozioni più belle le regaleranno i suoi ricordi e i suoi gol con quella maglia che ancora oggi sente sua. Gli anni sono passati e Vincenzo adesso è un operaio, ma quella passione non l'ha ancora deposta in un baule. Non potrebbe contenere tutti i ricordi.

Il tuo esordio in maglia biancorossa quando avviene?

"Campionato di serie B, in Barletta-Verona 1-5 del 3 marzo 1991. Ricordo che mi feci una foto con Pietro Fanna, uno dei miei idoli di allora. Un ala destra come non ce ne sono più. Ho ancora la gigantografia di quella foto a casa".

Cosa hai provato da barlettano ad esordire al "Puttilli" con la maglia biancorossa?

"Una gioia incredibile: era il coronamento di tanti sacrifici, di tanti anni dietro ad un pallone. Da barlettano, giocare con la maglia della squadra della mia città, comprenderai che la cosa non aveva un valore così marginale. Ammetto che ero visibilmente emozionato, ma ero un ragazzino che da poco entrava nello spogliatoio della prima squadra con una visione di questo sport che andava rivista e corretta: se prima giocavo per divertimi, da quel momento iniziavo a farlo per mestiere".

Hai rimarcato spesso nei tuoi interventi il tuo "attaccamento morboso alla casacca biancorossa".

"Sono stato uno dei pochi calciatori, pur essendo barlettano, ho tenuto molto alla casacca biancorossa. Se noti, la mia carriera inizia con la maglia del Barletta e finisce con la stessa".

Nella tua carriera hai giocato la domenica successiva alla scomparsa di tuo padre.

"Questo è un ulteriore smacco a quella poca gente che non credeva in Vincenzo Lanotte. Mio padre ci teneva a queste cose e mi diceva: nonostante tutto, pensate ad onorare la maglia che indossate. Ed io, anche in quella occasione, ho reso opportuno rendere omaggio a mio padre".

A fine carriera, pur di continuare a giocare con la maglia del Barletta (campionato di serie D 2007/08, ndr) hai anche accettato una consistente riduzione del tuo ingaggio. Questo non ti è servito, visto che la società ha poi avuto piani diversi, non affidandosi più a te.

"Questo è un altro punto d'orgoglio che ho. Pur di rimanere a Barletta e indossare la casacca biancorossa, mi sono ridotto l'ingaggio, nonostante le offerte non mi mancassero".

Nel Barletta hai avuto come allenatore Giorgio Rumignani.

"Venendo dalla Primavera, mi capitava il giovedì nelle amichevoli di trovarmelo davanti. Era un oratore come pochi e sapeva destare l'attenzione di tutti".

Quali altri compagni di quella squadra ricordi?

"Capitan Solfrini, Pileggi, Magnocavallo".

Soffermati un attimo sulla figura di Moreno Solfrini.

"E' stato un grande capitano e un uomo come pochi ne ho conosciuti in vita mia. Esempio dentro e fuori dal campo".

Uno dei più carismatici chi era?

"Giorgio Magnocavallo, che veniva soprannominato il vichingo per la sua personalità. Baffi, capelli lunghi e folti, aveva proprio le sembianze di un vichingo".

Nel 2007 come dicevamo prima, il Barletta decide di non puntare più su di te e in una lettera scritta ai tifosi hai parlato di "scarsa riconoscenza da parte della società". Il tuo rapporto con la tifoseria è ancora oggi contrastato. Secondo te da cosa dipende?

"Posso dirti che è una frangia minoritaria a non apprezzare appieno ciò che ho fatto per il Barletta e non mi so spiegare il motivo di questo loro atteggiamento nei miei confronti. Ancora oggi in molti mi fermano per strada e mi ricordano ciò che sono stato con questa maglia".

Il Barletta attuale invece come lo vedi?

"E' da apprezzare cosa stanno facendo i ragazzi in campo. La situazione non è facile e mi dispiace dire che fin dall'inizio il mi presentimento negativo confidato a degli amici non era così sbagliato".

Tu eri più favorevole ad una permanenza di Franco Tatò che all'arrivo di nuovi imprenditori.

"Si".

Tornando alla tua carriera c'è stato un momento drammatico a L'Aquila (stagione 1999/00, ndr) dove hai subìto un infortunio che ha rischiato di farti rimanere zoppo a vita.

"E' stato uno dei momenti più drammatici della mia vita. La fortuna è stata quella di trovare uno staff medico che mi ha subito preso in cura e mi hanno portato in Finlandia a curarmi e ancora oggi li ringrazio".

Parli spesso di "divertimento" nel ricordare i tuoi anni da calciatore: ma oggi ti diverte ancora vedere una partita di calcio?

"Per divertirmi, come dici bene tu, devo andare nei campi dove giocano i bambini. C'è quell'ingenuità e quella voglia di non arrendersi che mancano nel calcio dei grandi. Il problema è che poi i bambini diventano più grandi e iniziano le influenze dei genitori che subito vogliono il Cristiano Ronaldo della situazione. Quando ho allenato i bambini dicevo ai genitori di lasciare i propri figli liberi. Ma liberi di sbagliare".

Tu da ragazzino eri libero di sbagliare?

"Io non vedevo l'ora, finita la scuola, di andare in strada a giocare con gli amici. Partite interminabili - non erano a tempo, ma a gol, di solito a dieci e poi si ricominciava con la rivincita e la bella per decretare il vincitore -, ma dietro questo divertimento c'era un insegnamento che le scuole calcio oggi non sanno dare".

Quante volte ti sei fatto male durante quelle partite?

"Un'infinità di volte, ma il giorno dopo ero ancora lì. C'era l'orgoglio e la voglia di divertirsi che andavano oltre. Oggi i ragazzi non hanno fame e questo lo vedi dal loro atteggiamento in campo. Ti racconto un aneddoto: la mia avventura al Barletta è iniziata quasi per gioco. Ero al Barberini - un quartiere di Barletta dove c'era una piccola scuola calcio - e mi presero a fare un provino con la Primavera biancorossa. Ero già felice così, ma c'è un episodio che mi colpì e ancora oggi lo conservo dentro di me con orgoglio: quando facevamo le ripetute, mi giravo e non vedevo mai nessuno. L'allenatore della Primavera era il grande Gesualdo Albanese (di seguito allenatore della prima squadra, ndr) che diceva al segretario Nicola Italia: chi è quel ragazzo? E il segretario gli disse che ero in prova. Albanese gli disse subito che non c'era nulla da provinare, dovevo firmare subito e mi portarono subito nell'ambiente della Primavera".

Hai giocato nel Barletta ma non l'hai mai allenato. Ti sei mai dato la risposta a questa domanda?

"Forse sono un personaggio scomodo e non ho mai prestato il fianco a dei giochetti sulla mia pelle. Sono grato a mio padre che mi ha insegnato la cultura dei sacrifici e anche oggi che sono operaio vado fiero di me stesso".

Tuo padre cosa ti ha insegnato?

"L'onestà, il rispetto e l'amicizia".

Si sono un po' persi questi valori nel calcio di oggi?

"A distanza di anni mi sento con Stefano Sgherri (ex attaccante del Chieti, ndr). L'amicizia tra me e lui è andata avanti anche oltre il manto erboso e questo mi inorgoglisce".

Come giudichi l'esonero di Sesia?

"Non lo capisco e ho avuto modo di esternare il mio pensiero in varie sedi. Purtroppo il lavoro dell'allenatore è anche questo e non sarà l'ultimo a cadere dietro certe logiche".

La tifoseria non l'ha presa benissimo.

"Capisco il loro amore per questi colori, che è anche il mio, però bisogna andare avanti e sostenere il Barletta che è la cosa principale".

Attualmente i tuoi rapporti con la dirigenza del Barletta come sono?

"Non conosco nessuno. Rischiamo di tornare al discorso di prima: non sono un amante delle pubbliche relazioni. Ricordo un episodio: in prima squadra c'era Lello Sciannimanico e io allenavo gli Allievi del Barletta. Ottimi risultati in quella stagione e la dirigenza di allora già mi prospettava un discorso a più ampio respiro. Sai dov'ero l'anno dopo? A casa".

Credi che la crisi del Barletta troverà una soluzione?

"Non sono particolarmente ottimista e ho il sentore del baratro che potrebbe aprirsi da un momento all'altro. A prescindere da questo, quello che mi rende pessimista è la poca chiarezza che nasconde sempre qualcosa di poco bello. Spero vivamente di sbagliarmi".

Stiamo per concludere: un ricordo piacevole della tua esperienza a Barletta?

"L'esordio in B contro il Verona. Il gol a Salerno allo stadio "Arechi", contro la Salernitana e c'era il gemellaggio tra le due tifoserie. Un altro: penultima di campionato di serie B, a Palermo (1987/88, ndr): dovevamo fare punti per salvarci. Ricordo che entrammo in campo circa un'ora prima e non c'era nessuno sugli spalti. Più passavano i minuti e più lo stadio si riempiva, al punto che all'entrata in campo c'erano qualcosa come quarantamila persone. Che emozione pazzesca giocare davanti ad una cornice di pubblico simile. Praticamente volavi sul campo".

Un pensiero per la tifoseria del Barletta?

"Sono encomiabili: la sostengono, vanno in trasferta, sono vicini sempre alla squadra. Quello che dispiace è la situazione a livello societario che una tifoseria come quella biancorossa non merita. Purtroppo la poca chiarezza non giova a nessuno. Il problema è la non soluzione di questi ambiti: ad esempio a Barletta non c'è un settore giovanile come si deve. Sono passati anni e la situazione è sempre la stessa e questo significa solo una cosa: la scarsa volontà di crescere come società. Ma è normale che le squadre giovanili debbano allenarsi lontano da Barletta?".

Prossima intervista per "Mi ritorni in mente": domenica 12 aprile 2015